Due, è meglio di uno

Assegnato un doppio Nobel

Riconoscimenti alla polacca Olga Tokarczuk e all’austriaco Peter Handke (in passato contestò la cerimonia). Sospeso a causa dello scandalo sessuale che aveva interessato il marito di una giurata, stavolta il Comitato tecnico ha inteso premiare due autori insieme: non accadeva da circa sessant’anni. Cerimonia il 10 dicembre a Stoccolma

Assegnati a due mitteleuropei premi Nobel. L’Accademia di Svezia ha inteso tributare non uno, ma due riconoscimenti per altrettanti scrittori coprendo il vuoto lasciato l’anno scorso (non accadeva da circa sessant’anni). Un vuoto allo scandalo sessuale che aveva interessato il marito di una giurata. Per questo motivo lo scorso anno il Nobel fu sospeso, per riprendere la sua attività quest’anno assegnando un riconoscimento per l’edizione 2018, alla scrittrice polacca, Olga Tokarczuk, e uno per l’edizione ricorrente, quella del 2019, al romanziere, drammaturgo e poeta austriaco Peter Handke.

Queste le motivazioni per i due vincitori. Ad Handke: «Per un lavoro influente che con ingegnosità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell’esperienza umana». Alla Tokarczuk: «Per un’immaginazione narrativa che con passione enciclopedica rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita».

Olga Tokarczuk, polacca di Sulechów, nata nel gennaio del ’62, ha studiato psicologia a Varsavia. Scrittrice e poetessa tra le più note in patria, è stata tradotta in trenta Paesi. Con il romanzo “I vagabondi”, pubblicato in Italia da Bompiani, aveva vinto il Man Booker International Prize 2018. Era stata anche finalista al National Book Award, conoscendo la popolarità internazionale. Autrice di diverse raccolte di poesie e vari romanzi, tra le sue opere pubblicate in Italia: “Guida il tuo carro sulle ossa dei morti” (Nottetempo) e “Nella quiete del tempo”, con il quale ha vinto uno dei più prestigiosi riconoscimenti polacchi, il Premio della Fondazione Koscielski.

Peter Handke, Nobel per il 2019, è famoso invece per vari e provocatori successi teatrali, da “Insulti al pubblico” (1966), a  “Kaspar” (1968), e per alcuni romanzi come “Breve lettera del lungo addio” (1972) “Infelicità senza desideri” (1972), dedicato alla prematura morte della madre, “La donna mancina” (1976), opere che lo hanno reso uno degli autori contemporanei più importanti.

Particolare curioso, a dimostrare quanto la giuria tenga più al fatto squisitamente tecnico (e di sostanza) nell’assegnare il più prestigioso riconoscimento per la letteratura, il fatto che  l’autore austriaco sia un contestatore del Nobel. Famosa, infatti, la sua dichiarazione del 2014 in occasione dell’assegnazione al francese Patrick Modiano.

Dopo aver riconosciuto la grandezza del collega, affermò: «Il Premio Nobel andrebbe finalmente abolito, perché porta un momento di attenzione, nelle pagine dei giornali, ma per la lettura non porta nulla». Handke, però, aveva ammesso che l’essere stato inserito nella rosa dei candidati al Nobel non lo aveva lasciato indifferente: «Certo che ti prende, ti infastidisce, e allora ti infastidisci con te stesso perché ci pensi: è una cosa così indegna e al contempo si diventa per un po’ se stessi indegni».

Lo scrittore austriaco è stato raggiunto dalla notizia nella sua casa. La Tokarczuk, invece, ha appreso la notizia della vittoria del Nobel mentre era alla guida della sua auto, in Germania, dove è in impegnata in un ciclo di conferenze.

Entrambi i vincitori sono attesi alla cerimonia di premiazione del 10 dicembre a Stoccolma

«Voglio un selfie!»

Un dirigente scolastico del Varesotto e una giustifica originale

«Gli studenti non possono assolversi con la voce “sciopero”. Il Ministero mi ha chiesto prove tangibili a motivare la marcia ecologica. Dunque, foto e biglietti del viaggio in treno. I ragazzi hanno compreso, tutto è stato espletato». Con buona pace di preside e del Ministero della Pubblica istruzione. 

E’ successo a Gallarate, due passi da Varese. Ma avrebbe potuto essere Manduria, provincia di Taranto. Canicattì, un soffio da Agrigento. La sostanza non cambia, il messaggio è di quelli importanti: i ragazzi non vanno a scuola, giustificano l’assenza attribuendola al loro forte impegno ambientalista accanto alla piccola Greta. Bene, il dirigente scolastico rispetta la posizione dei suoi studenti, ma vuole vederci chiaro: i ragazzi si sono assentati arbitrariamente, dunque disertando anche la marcia ecologica, oppure hanno davvero preso parte alla manifestazione che ha mobilitato interi Paesi in tutto il mondo?

Così il dirigente entra in tackle e avanza ai suoi studenti le seguenti richieste: un selfie e il biglietto del treno per giustificare l’assenza in classe degli studenti che, a fine settembre, hanno preso parte a scioperi e manifestazioni giovanili per chiedere un cambiamento degli stili di vita inquinanti, sulla scia dell’ormai famoso «Strike for climate» lanciato dalla piccola, diventata per tutti i suoi coetanei, una gigante: la svedese Greta Thunberg.

BOTTA E RISPOSTA

Detto-fatto. Fatta la provocazione, accettata la risposta. Ad accettare una foto degli stessi studenti scattata durante il corteo insieme con la “prova” del viaggio verso Milano come giustifica, è stato il dirigente di un istituto di Gallarate (Varese), la scuola “Gadda-Rosselli”. Anselmo Pietro Bosello, questo il nome del dirigente scolastico lombardo, ha voluto però chiarire che la sua richiesta è stata un’eccezione indicata espressamente dal Ministero allo scopo di favorire la consapevolezza dei ragazzi a proposito dei temi ambientali.

Bosello, infatti, ha tenuto a precisare che le disposizioni, rese ufficiali attraverso una specifica circolare, non sono state affatto uno sdoganamento dello sciopero degli studenti.

«La scuola non ha aderito ad alcuna manifestazione – ha tenuto a sottolineare, tante volte a qualcuno venisse in mente di strumentalizzare la figura di un qualsiasi dirigente scolastico – e nessuno ha mai invitato studenti a parteciparvi: i lavoratori possono scioperare, non gli studenti».

GLI STUDENTI NON “SCIOPERANO”

Chiarito il fatto squisitamente tecnico, il responsabile dell’istituto Gadda-Rosselli, ha aggiunto. «Per questo la giustificazione per l’adesione a uno sciopero, seppur firmata dai genitori, non è di norma accettata». Strappo alla regola. «Questa volta – il dirigente scolastico prosegue – l’abbiamo fatto, vista la sollecitazione del Ministero, ma abbiamo invitato gli studenti affinché producessero pezze giustificative opportune e non avessero fatto una semplice capatina piacevole a Milano in una giornata di sole».

Ecco l’idea del selfie. Un “autoritratto” degli stessi alunni, scattato con il cellulare.  Qualcosa di normale, un esercizio cui i ragazzi si sottopongono numerose volte al giorno con i loro telefonini. Insomma, una prova inoppugnabile che attestasse che, chi ha marinato la scuola, l’avesse fatto per prendere parte davvero ai cortei organizzati a Milano.

Il risultato non è tardato ad arrivare. Una cinquantina di studenti dell’istituto “Gadda-Rosselli” hanno scelto questa soluzione. Foto ben dettagliate, che ognuno dei ragazzi ha consegnato al proprio insegnante di riferimento, perché la vicenda ambientalista fosse archiviata anche formalmente. Con somma soddisfazione del dirigente scolastico e del Ministero della Pubblica istruzione.

«Prendiamoci il futuro»

“Friday for future”, studenti in corteo anche a Taranto

Due giorni fa grande manifestazione per le vie del centro. Ragazzi fra piazza della Vittoria e la Rotonda del Lungomare. I più grandi “bisticciano”: Peacelink, ex Arpa e Arcelor Mittal non si danno tregua. Fra i cartelli, «Ci siamo rotti i polmoni»e «+carbonara e -carbone».

Anche Taranto ha aderito al “Friday for future”, il “Venerdì per il futuro”. La città e la provincia che si sentono martoriate dall’industria inquinante hanno risposto in modo massiccio. Giusto, in buona parte. Un po’ meno per quella risicata ribellione organizzata che si è messa alla testa di migliaia di studenti che ci hanno creduto (e ci credono ancora). Quando una cosa diventa strumentale, scade, non ha l’effetto contrario, ma si corre il rischio come sempre di fare una frittata. Venerdì scorso sono state 160 città italiane hanno fatto sentire i loro cori “verdi”: da Milano a Torino, da Firenze a Roma, da Napoli a Taranto.

«Il siderurgico è nella top ten europea delle emissioni di Co2!», tuona Alessandro Marescotti di Peacelink in una sortita rivolta al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. C’è una manifestazione, questo il punto di vista “ambientale”, carichiamola di significati. E non finisce qui. Giorgio Assennato, infatti, ex direttore dell’Arpa, fa a pezzi l’uscita del leader degli ambientalisti:  smonta questa sortita: «È bassa propaganda: Marescotti banalizza temi importanti».

Interviene anche Arcelor Mittal, l’ex Ilva, che replica  alle dichiarazioni di Peacelink. In tutto questo, altro intervento: c’è chi ha lanciato l’allarme sui lavori alla scuola “Vico”, ma è stato subito subito smentito dall’Ufficio per le bonifiche. Chi voleva capirci qualcosa, a fine corteo aveva le idee un po’ confuse. Taranto e provincia, in prima fila le scuole, hanno manifestato in massa, e questo è stato un grande segno di civiltà. E, alla fine, poco importa che il corteo, nel cuore della protesta, abbia espresso sensazioni e partecipazioni diverse.

TUTTI IN CENTRO!

Qualche istituto scolastico ha fatto a gara a chi era più originale, dunque partenza del corteo dall’Arsenale alle nove del mattino: gran parte in via Di palma e via D’Aquino, fino in piazza della Vittoria; una parte, non considerevole, ma significativa – si dice per non urtare la sensibilità degli interessati – a raccogliere sulla Rotonda del Lungomare tutti i rifiuti raccolti durante il tragitto. E poi un camioncino al posto di un’Ape Piaggio rivoluzionaria, un giovanotto a suggerire “bandiere rosse” e “vaffa”, per non scontentare tutti i presenti. Un politico che aveva manifestato solidarietà si stacca dal corteo, un collega lo imita, non gradisce fischi e cori nei pressi della sede di un partito. Ce n’è per tutti e per il contrario di tutti.

Non è un’occasione sprecata. Va bene così. Il segnale sono le migliaia di ragazzi scesi in piazza, anche se alla prossima occasione dovranno fare più attenzione sui visini o dirimpettai di corteo: chi scantona dal tema principale, è out dalla manifestazione.

Quella appena trascorsa è stata una settimana dedicata alla grande mobilitazione mondiale per chiedere alle nazioni industrializzate strategie più incisive contro il riscaldamento globale: 2500 eventi in 150 Paesi del mondo, numeri che hanno fatto del “Friday for the future” la più grande manifestazione per l’ambiente mai organizzata: cortei, flash mob e altre iniziative, hanno avuto luogo ovunque, dagli Stati Uniti all’Iran, dal Giappone all’Australia, dall’India all’Europa.

In prima linea per il “Global Strike For Future”, soprattutto gli studenti. Giovani che scelgono di disertare gli impegni scolastici per chiedere provvedimenti urgenti ed efficaci nel contrasto ai cambiamenti climatici.

«VOGLIAMO AZIONI CONCRETE!»

Gli scioperi per il clima, sono nati nell’estate dello scorso anno su iniziativa di Greta Thunberg, per chiedere ai governi forti di rendere la lotta al cambiamento climatico il fulcro della loro azione politica. Tra i cardini intorno a cui ruota l’anima giovane e verde di questo movimento sempre più global: portare a zero le emissioni climalteranti entro 2050 (e in Italia nel 2030) per contenere entro i 1.5 gradi l’aumento medio globale della colonnina di mercurio; transizione energetica attuata su scala mondiale. In buona sostanza, valorizzare la conoscenza scientifica, ascoltando e diffondendo i moniti degli studiosi più autorevoli di tutto il mondo. La scienza da anni informa sulla gravità del problema e sugli strumenti utili per contrastarlo. Agire, ora, è una prerogativa prettamente politica.

Cosa chiedono e hanno chiesto anche i nostri ragazzi, gli studenti delle scuole di Taranto e provincia: rivedere i programmi didattici per evidenziare le conseguenze dell’utilizzo di combustibili fossili (“Più carbonara e meno carbone” su un cartello agitato da una ragazza; una collega “Ci siamo rotti i polmoni!”), inserire in tutti i programmi insegnamenti basati su modelli di sviluppo ecofriendly. Infine intimare uno stop a tutte le collaborazioni tra il Miur e le aziende inquinatrici che ad oggi non si sono ancora impegnate in un piano di decarbonizzazione totale entro il 2025 e un piano esplicito di bonifiche e risarcimento danni. «Vogliamo azioni concrete per fermare il cambiamento climatico a partire da scuole e università», l’invito dei nostri studenti. Al netto di posizioni e slogan strumentali.

«Nessun pietismo»

Ezio Bosso, grande pianista, assalito da una malattia degenerativa

«Ma se mi volete bene, non chiedetemi di mettermi al pianoforte e suonare. Sono felice lo stesso, perché continuerò a fare il mio mestiere: il direttore d’orchestra». Tre anni fa commosse la platea di Sanremo. «Ce ne sono una quindicina simili, ma la stragrande maggioranza non ha cure definitive», l’opinione di un esperto.

Parla appena, le sue parole quasi si rifiutano di uscire dalle sue labbra. Eppure le sue lente espressioni vengono fuori a singhiozzi, accompagnate da espressioni di gioia e sorpresa. Lo avevamo visto tre anni fa, in una platea sterminata, non quella dell’Ariston per poche centinaia di eletti, bensì quella televisiva di milioni di spettatori che da casa stavano seguendo il Festival di Sanremo. Ezio Bosso, grande musicista, assalito da una grave malattia degenerativa, aveva voluto stupire lo stesso il pubblico. Più che sferrare un pugno nello stomaco, sensibilizzare le coscienze, esibendosi come poteva. Arrampicandosi, quasi, a quel pianoforte dal quale cavava lo stesso note straordinarie. La sua forza nel raccontare il dramma con il sorriso sulle labbra, nonostante tutto, nonostante la malattia lo avesse già minato, aveva commosso tutti. Il pubblico all’Ariston, quello da casa, l’intera platea europea collegata quella sera al Festival.

Non è dato conoscere come viene chiamata la malattia che sta annientando il grande pianista, compositore, direttore d’orchestra, oggi quarantottenne. Una cosa è certa, purtroppo: un giorno dopo l’altro, gli sta sfilando il pianoforte dalla carezza delle sue dita che hanno eseguito sinfonie che ci hanno fatto sognare.

IL CORPO INGABBIATO

Malattia terribile che lo costringe in una gabbia, senza appello. Una malattia che prosegue lenta, in modo inesorabile. Accade che Bosso è lucido, ma il suo corpo si sta arrendendo. Le gambe, le braccia, lo stanno abbandonando. Pensate il dramma. Ma anche la sua grande dignità. Ha commosso il mondo con le sue ultime dichiarazioni rese al pubblico barese della Fiera del Levante. «Vi prego, se mi volete bene, non chiedetemi di mettermi al pianoforte e suonare: non immaginate la sofferenza che provo, non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza». Certo, non vuole sentire ragioni, nessuno dica che vuole lasciare la musica. Qualsiasi sia la malattia che lo ha colpito, il suo talento resta intatto. Bosso continuerà a fare il direttore d’orchestra. «Nessun pietismo, non ho detto addio alle scene», dichiara su facebook. «Ho solo risposto che non faccio più concerti da solo al pianoforte perché lo farei peggio che mai e già prima ero scarso. Cosa che avevo già annunciato due anni fa. Ma sono felice lo stesso, perché continuerò a fare il mio mestiere, quello di direttore d’orchestra».

Molte, troppe, sono purtroppo le malattie che possono imprigionare il talento e l’anima sono molte. Numerose le ipotesi scientifiche su quella che ha colpito Bosso. Si era parlato di Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), tesi poi smentita. Quello che è certo, è che la diagnosi sull’artista torinese è arrivata qualche anno fa, dopo un intervento per rimuovere un tumore al cervello. Una malattia che, oggi, compromette l’uso delle sue mani, domani non sappiamo cosa. Ipotesi, si diceva: una malattia autoimmune, forse, come la neuropatia motoria multifocale – spiegano gli studiosi – che colpisce i nervi motori, quelli che trasmettono i segnali dal sistema nervoso centrale ai muscoli. I sintomi, quelli, sono molto simili a quelli della Sla, come gli spasmi muscolari, ma non è la Sla.

AVAMBRACCIO, MANO, DITA…

I primi problemi iniziano spesso a livello di avambraccio e mano, a volte in punti specifici come il polso o le dita. Ma le malattie che per eccellenza imprigionano il corpo sono quelle che colpiscono il motoneurone, di cui la Sla ne è un esempio. «Le malattie del motoneurone sono un gruppo molto eterogeneo di condizione neurodegenerative che colpiscono le cellule nervose deputate al controllo dei muscoli», spiega Adriano Chiò, professore ordinario del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Torino. Oltre alla Sla, rientrano in questa categoria l’atrofia muscolare progressiva, la sclerosi laterale primaria, la paralisi bulbare progressiva e così via. «Ce ne sono una quindicina e ognuna ha tempi di esordio e progressione, così come sintomi e decorso, molto variabili; purtroppo la stragrande maggioranza non ha una cura definitiva».

«Ci sono solo farmaci che possono rallentarle», prosegue l’esperto. La progressione è quindi inesorabile. Ma non bisogna perdere la speranza: noi ricercatori non ci arrendiamo». E Bosso, un segnale, forte, lo mandò dalla platea sanremese, intervistato da Carlo Conti. «La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme». Proseguì, lentamente, ma con grande forza. «Noi uomini diamo per scontate le cose belle. La vita è fatta di dodici stanze: nell’ultima, che non è l’ultima, perché è quella in cui si cambia, ricordiamo la prima. Quando nasciamo non la possiamo ricordare, perché non vediamo, ma lì la ricordiamo, e siamo pronti a ricominciare e quindi siamo liberi». Aveva parlato di nascita e vita Ezio Bosso, mai di fine o di malattia e il suo entusiasmo era stato tanto, contagioso, raccolto anche da chi ha mani buone, ma non sa usarle come ha fatto finora Bosso, un grande della musica, un gigante della vita.

Svolta “bio”

Pugliesi a favore del «mangiare sano per vivere meglio»

Alta qualità al prezzo giusto. Valore aggiunto per gli enti pubblici sensibili alla corretta alimentazione di adulti e bambini. L’imprenditore biologico oggi sta attivando nuove forme di contatto con il consumatore.  La spesa è diventata più consapevole e meno casuale.

Prosegue l’aumento dei consumi. E insieme a questi, il numero di ditte di trasformazione e dei servizi connessi alla filiera dell’agricoltura biologica: agriturismi, mense “bio”, ristoranti e operatori certificati, con un aumento pari all’80%. Un dato da capogiro, secondo qualcuno esagerato, se non fosse che la tendenza viene certifica dalla stessa Coldiretti-Puglia, associazione sempre cauta nell’enfatizzare notizie che, in realtà, autorizzano a pensare che nella nostra regione si stia sulla strada giusta.

Dunque, la Puglia va assumendo connotati da regione capofila, un territorio sempre più “bio”. Parliamo di coltivazione, per esempio: bene, sono aumentate non di un punto percentuale o massimo due a volere essere generosi.  Le coltivazioni hanno registrato un dato a dir poco sorprendente: sono cresciute del 4,5%. Se non è una cifra importante questa, quale potrebbe essere.

Le informazioni a riguardo, sono state diffuse in una occasione ufficiale, importante: durante il “Salone internazionale del biologico e del naturale” svoltosi a Bologna e durante il quale ha presenziato il mercato di Campagna Amica, sigla che ha chiamato a raccolta numerosi agricoltori biologici italiani.

COLDIRETTI IN CAMPO

In rappresentanza di questa categoria, si è pronunciato a nome della Puglia, direttamente il presidente regionale di Coldiretti, Savino Muraglia. «In Puglia – ha dichiarato il massimo rappresentante dell’associazione che conta numerosi iscritti – stiamo assistendo a un processo di stabilizzazione e normalizzazione rispetto alla diffusione del metodo biologico mentre; a fronte di ciò, prosegue l’aumento tendenziale dei consumi, delle ditte di trasformazione e dei servizi connessi alla filiera dell’agricoltura biologica come agriturismi, mense bio, ristoranti e operatori certificati, il tutto pari ad un aumento superiore dell’80%».

In breve, Puglia uguale a biologico. Più o meno. Le coltivazioni “bio” proseguono nella crescita, salgono ad un saldo del +4,5% registrato lo scorso anno, in seguito alla maggiore attenzione dedicata dai pugliesi al mangiare sano per vivere bene.

L’allargamento del segmento, coniugato ai nuovi stili di vita, attesta autorevolmente la Puglia sull’intero territorio nazionale conferendole  un posto sul podio delle regioni considerate le più “bio” d’Italia. Sfiora il gradino più alto per la classica incollatura occupando, però, autorevolmente il secondo posto.

La Coldiretti, attraverso il suo presidente, parla di una vera e propria “svolta bio” che interessa tutti i comparti agricoli su una superficie di duecentosessantaquattromila ettari coltivata a biologica. Il bio prevale per l’ulivo (74.000 ettari), seguito dai cereali (55.000), le colture foraggere (29.000) e la vite (17.000). Le ultime stime parlano di ben 9.275 operatori biologici che operano in Puglia.

E NON E’ FINITA…

Secondo quanto dichiarato dal presidente Muraglia, la continua richiesta di prodotti freschi e di stagione stimola l’imprenditore biologico a ricercare ulteriori forme di contatto con il consumatore. Non è finita. Oltre ad un sensibile cambio dei costumi sociali, sono cambiate pure le abitudini alimentari per una serie di fattori. I consumatori, per esempio, spaventati dagli allarmi e dagli scandali alimentari, oggi sono più informati e più attenti alla qualità dei prodotti da mettere nel carrello. Proprio in virtù di ciò, la spesa dei pugliesi è diventata più consapevole e meno casuale.

Altro punto centrale del progetto sostenuto da Coldiretti sul biologico è l’attenzione alla sicurezza alimentare nei servizi di ristorazione collettiva, diventato un preciso dovere degli enti locali. Il settore biologico, infatti, potrà diventare uno sistema di valorizzazione e un bacino di approvvigionamento di prodotti di alta qualità al prezzo giusto e un valore aggiunto per gli enti pubblici sensibili alla corretta alimentazione di adulti e bambini.

«Amate i nemici!»

Papa Francesco in Mozambico 

«A volte, quanti si avvicinano con il presunto desiderio di aiutare, hanno altri interessi. Siamo tutti parte di uno stesso tronco». Dal 2002, il progetto “Dream”, esteso in dieci Paesi africani: più di centomila i bambini nati sani da madri sieropositive.

«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici». Sua santità, Papa Francesco, a Maputo in Mozambico. Una riflessione universale che va oltre i confini del Paese.

E’ l’ultima scossa che imprime al mondo intero, non solo una popolazione in sofferenza nonostante gli impegni e un accordo di pace siglato bel 1992, ma ancora non del tutto semplice da applicare in ogni punto sottoscritto.

Amare i nemici. Sua Santità si spiega in portoghese. Applausi commossi. Ma Papa Francesco sa che il processo per accettare un simile invito è lungo. Bisogna sforzarsi. Non lo dice lui, riporta a quel popolo martoriato dalla sofferenza, le parole di Cristo. «Gesù con l’invito alla gente, “amare i nemici”, vuole chiudere per sempre la pratica tanto comune secondo la quale si possa essere cristiani e vivere ugualmente secondo la legge del taglione: non si può pensare il futuro, costruire una nazione, una società basata sull’“equità” della violenza. Non possiamo seguire Gesù se l’ordine che promuovo e vivo allo stesso tempo, è questo: “occhio per occhio, dente per dente”».

Papa Francesco, per dirla in due parole, è uno che non le manda a dire. Il suo Pontificato, dal primo giorno, non lascia scampo a interpretazioni. Essere cristiani, dunque, costerà sacrifici. Sorvolare alla cattiveria altrui, come rinunciare al proprio benessere a discapito di migliaia di persone.

Sono oltre quarantamila, invece, le persone che lo accolgono nello stadio di Maputo fra canti, balli e grida di gioia. E’ l’ultima messa di Francesco in Mozambico, prima della partenza per Antananarivo, capitale del Madagascar, seconda tappa del suo viaggio in Africa.

Il Papa aveva già visitato l’ospedale di Zimpeto, una fondazione della Comunità di Sant’Egidio. Quante baracche circondano il centro cittadino, la zona abitata da coloni portoghesi fino all’indipendenza e dove oggi esistono moderni grattacieli.

FINE AL MILITARISMO

Anni difficili, poi l’accordo di qualche settimana fa con cui si è scritta la parola “fine” a interventi militari. L’invito di Papa Francesco è rivolto a quanti hanno fede, ai cristiani per primi, perché lavorino per la pace chiudendo una volta per tutte , ripete Sua santità, «la pratica tanto comune – ieri come oggi – nell’essere cristiani vivendo secondo la legge del taglione». «Non si può pensare il futuro – insiste – una nazione, una società basata sull’equità della violenza: non posso seguire Gesù se l’ordine che promuovo e vivo è questo: “occhio per occhio, dente per dente”». «Nessuna famiglia – riprende Papa Francesco – nessun gruppo di vicini, nessuna etnia e tanto meno un Paese, ha futuro, se il motore che li unisce, li raduna e copre le differenze è la vendetta e l’odio».

Il Mozambico è un Paese che vanta ricchezze naturali e culturali. Nonostante ciò, gran parte della popolazione vive al di sotto del livello di povertà. «A volte – ha detto Sua Santità – sembra che quanti si avvicinano con il presunto desiderio di aiutare, abbiano altri interessi. E’ triste quando ciò accade tra fratelli della stessa terra che si lasciano corrompere; è molto pericoloso accettare che questo sia il prezzo che dobbiamo pagare per gli aiuti esterni».

ABBATTIAMO L’AIDS

Fra le diverse piaghe del Paese, l’Aids. Francesco ne parla durante la sua visita nell’ospedale di Zimpeto, fondato dalla Comunità di Sant’Egidio. «Non è impossibile sconfiggerlo. Questo Centro ci mostra che c’è chi si è fermato e ha sentito compassione, chi non ha ceduto alla tentazione di dire “non c’è niente da fare”, “è impossibile combattere questa piaga” e si è dato da fare con coraggio per cercare delle soluzioni».

A Maputo, una persona su quattro è sieropositiva. Dal 2002 Sant’Egidio ha avviato il progetto “Dream”, esteso in dieci Paesi africani, grazie al quale più di centomila bambini sono nati sani da madri sieropositive. Il sogno di un’Africa libera dal contagio del virus sembra possibile. Molte donne salvate da “Dream” girano per gli slum e le zone più povere e sperdute del Paese per raccontare alle altre donne che una soluzione esiste, che si può vivere anche se sieropositive, che esiste una speranza. Gli attivisti dell’ospedale, in buona parte donne, hanno costituito l’associazione “EuDream”, persone che hanno sperimentato su di sé l’efficacia delle terapie e si impegnano a informare sulle prescrizioni sanitarie fondamentali e convincere chi è malato a curarsi. Girare, raccontare storie, tendere la mano anche a chi, fino a ieri, per un qualsiasi motivo era contro, è lo scopo cristiano. O comunque di chi ha fede. Cominciando con il convincere che non è giusto trarre beneficio per pochi e a farne le spese siano migliaia, centinaia di migliaia di persone innocenti. La migliore “arma”, spiega Papa Francesco, è il perdono.

Se passa lo straniero…

Una impresa su dieci parla “estero”

Cinesi, marocchini, rumeni: commercio, costruzione, ristorazione. Roma e Milano guidano, Taranto e Brindisi fra le province medie italiane. Dati Unioncamere. Nei due capoluoghi pugliesi, si attesterebbero al 3%. Il commercio di casa nostra invita a leggi meno restrittive e una minore pressione fiscale.

Imprese italiane, una su dieci è gestita da stranieri. Nell’ordine, cinesi, marocchini, rumeni. Commercio, costruzione, ristorazione. Taranto e Brindisi guidano le province di media grandezza rispetto al resto del Paese. Ad una incollatura Terni. Nel segmento analizzato da Unioncamere, le attività a conduzione straniera, specie nei due capoluoghi pugliesi, si sarebbero attestate intorno al 3%, media sicuramente superiore rispetto al resto delle italiane.

Se il 90% delle imprese italiane, a questo punto, segna il passo e, purtroppo la cessazione di attività rispetto al saldo in fatto di aperture, un motivo ci sarà. Magari i paletti, troppi, riservati agli italiani che intendono fare impresa. Piccole e grandi leggi, un regime fiscale soffocante, i costi di gestione e, dunque, i problemi per l’assunzione di personale; un qualsiasi tipo di autorizzazione, le tasse sulle insegne, il costo del suolo pubblico per quanti intendono impegnare i marciapiedi per fare attività (ristoranti, bar, paninoteche). Per gli stranieri ci sarebbero, condizionale obbligatorio, maglie in qualche modo più larghe. Per dirne una, se su un’attività gestita da italiani – piccola o media che sia, che stenta a decollare sostenendo spese maggiori rispetto agli incassi – si abbattesse lo spettro del fisco, sarebbe la fine.

Non ci sarebbe prova d’appello. Peggio se questa fosse a conduzione familiare. Non c’è prova d’appello. Diverso, ma non ce ne vogliano gli stranieri – la maggior parte di questi, svolge egregiamente il ruolo di impresa – se un cinese o un marocchino fallissero la loro prima occasione, non sarebbero così braccati dalle cartelle esattoriali. Nomi e cognomi complicati, imprese che restano negli stessi locali, ma che nell’arco di due anni cambiano tecnicamente di mano, sopravvivono. Pare sia più semplice cambiare il nome del gestore. Altro dato, comunque insignificante nel ragionamento complessivo. Trattasi di curiosità: la percentuale di multe elevate ad attività straniere e non pagate – per fare un altro esempio – pare sia superiore rispetto a quelle fatte agli italiani. “Noi abbiamo da perdere – dicono alcuni imprenditori – auto, casa, così facciamo debiti fino a quando è possibile, magari in attesa che l’attività nella quale abbiamo creduto, decolli, invece ci tocca chiudere”.

ROMA CAPITALE

Proviamo ad estendere il ragionamento a livello nazionale. Un buon 40% di imprese a conduzione straniera si realizza nei grandi centri. A farla da padrona è Roma, settantamila attività parlano straniero. In termini di crescita in un segmento più ristretto, rispetto al semestre in causa, nel periodo aprile-giugno, sono state alcune delle città con dimensioni più ridotte, la provincia per intenderci, a far registrare aggiornamenti degni di nota. Come detto, in testa alle città con una popolazione media, guidano il plotoncino “straniero” Brindisi e Taranto, per cominciare, con Terni, immediatamente al seguito delle due città pugliesi.

Dunque, nel nostro Paese in buona sostanza “parlano” cinese, marocchino o rumeno un impresa su dieci. Lo asserisce Unioncamere, lo conferma InfoCamere: le imprese gestite da stranieri alla fine di giugno hanno superato le 600mila unità. Queste, nel secondo trimestre dell’anno, hanno fatto registrare una crescita di 6.800 unità (rispetto al trimestre precedente +1,1%, praticamente il doppio della media delle imprese nello stesso periodo: +0,5%).

Gli investimenti delle imprese straniere  si concentrano nella maggior parte nel commercio, nei lavori di costruzione e nella ristorazione e, in otto regioni su venti, rappresentano oltre il 10% delle attività economiche.

DATI AL DETTAGLIO

Dati di Unioncamere e Infocamere: commercio al dettaglio (161.000), lavori di costruzione specializzati (113.000), servizi di ristorazione (47.000). Questi i settori in cui le imprese di stranieri sono più numerose, sottolinea il rapporto preso in analisi.

Nei primi due ambiti, inoltre, così come nelle “attività di supporto per le funzioni d’ufficio e altri servizi alle imprese”, nelle “attività di servizi per edifici e paesaggio” e nella “fabbricazione di articoli in pelle”, una impresa su cinque è guidata da persone di origine non italiana. In altri due settori, addirittura, le imprese di stranieri arrivano a rappresentare un terzo del totale. Sono diciassettemila le attività di “confezione di articoli di abbigliamento” (31%) e delle 3.400 imprese del settore delle “telecomunicazioni” (33%).

Nella globalizzazione, però, ben vengano gli investimenti stranieri. Commercianti e imprenditori italiani invocano leggi uguali per tutti, possibilmente una minore pressione fiscale, quanto sarebbe alla base di un decremento negli investimenti nel settore privato. Gli stranieri, invece, chiedono un trattamento che incoraggi gli investimenti. Ci fosse una strada interlocutoria, una crescita del commercio – fra italiano e straniero – in un periodo di crisi, sarebbe meglio per tutti.

Il Mediterraneo è tuo!

Giochi del 2026 assegnati a Taranto

Grande occasione di rilancio del tessuto economico-sociale della città. «Giornata storica, ripagato l’impegno dell’Amministrazione», ha dichiarato il sindaco Rinaldo Melucci.«Siamo una squadra fortissima, è stata offerta una prova superlativa», ha aggiunto il governatore pugliese Michele Emiliano. «Il momento ufficiale della proclamazione è stato è stato emozionante per tutti», il commento di Mino Borraccino, assessore allo Sviluppo economico per la Regione Puglia.

La XX edizione dei Giochi del Mediterraneo si svolgerà a Taranto. L’assegnazione è avvenuta ieri, sabato 24 agosto, a Patrasso, in Grecia, nel corso dell’assemblea annuale del Comitato Internazionale dei Giochi del Mediterraneo (Cijm) che ha stabilito anche di posticipare l’edizione pugliese al 2026 (slittando di un anno). Taranto ha avuto un verdetto unanime da parte dei ventisei Paesi partecipanti all’assemblea. A proclamazione avvenuta, i rappresentanti istituzionali hanno firmato il relativo contratto con i vertici del Comitato internazionale.

I Giochi del Mediterraneo rappresentano una fantastica occasione di rilancio del tessuto economico-sociale della città ma anche di tutto il territorio, della sua antica cultura e della sua tradizione sportiva. L’impulso che ne deriverà in termini di infrastrutture, impiantistica, mobilità sostenibile e promozione turistica andrà di pari passo con il recupero e la valorizzazione delle radici storiche e agonistiche di una città straordinaria. In buona sostanza, è un evento che non mancherà, per stessa ammissione dello stesso Emiliano, che coinvolgerà l’intera regione con importanti ricadute economiche.TarantoGIORNATA STORICA

«È una giornata storica per Taranto, siamo emozionatissimi: l’impegno che stiamo mettendo per far ripartire la città è stato premiato». Rinaldo Melucci, il sindaco che aveva subito creduto nella possibilità che Taranto potesse davvero farcela convincere il Comitato Internazionale dei Giochi del Mediterraneo (Cijm). A seguirlo in questa avventurosa…avventura, l’intera città. O quasi. Un po’ meno certa parte politica che, di jannacciana memoria, voleva prima «vedere di nascosto l’effetto che fa». Nessuna polemica, lo spazio concesso dagli strumenti di comunicazione di mezza Europa andavano amministrati come si conviene a un amministratore.

Sul carro dei vincitori c’è posto per tutti – ha  lasciato intendere il sindaco – non è il caso di scuotere la scarpa per far scivolare fuori i sassolini che pure qualche piccolo fastidio lo hanno provocato. Il senso è nascosto dall’emozione, dal sorriso, dagli abbracci e dalle strette di mano per tutti. Per quanti lo hanno seguito a Patrasso, Michele Emiliano compreso, perché c’era da firmare il protocollo d’intesa, ma anche per quanti hanno seguito da Taranto con grande palpitazione la diretta streaming proiettata su maxi-schermo nell’Arena Villa Peripato e in alcuni club e spiagge tarantine. Nell’accordo con il Comitato, ballano centinaia di milioni di euro, una ricaduta economica non indifferente, ed è bene che ognuno si assuma la sua responsabilità.

«Siamo una squadra fortissima – ha detto proprio il governatore pugliese Emiliano – il Coni, l’Italia, la Regione Puglia e Taranto hanno offerto una prova superlativa, ora tiriamo sul le maniche e cominciamo a lavorare, c’è un tanto lavoro da fare, la responsabilità che abbiamo assunto con questa firma è enorme e bisognerà preparare l’intero programma in modo impeccabile».

ANCORA IN PUGLIA

Dimostrare come la macchina amministrativa anche da queste parti lavori bene e con una certa snellezza superando passaggi burocratici. Nella lunga e meticolosa fase che ha portato a candidare Taranto, c’è stata piena unità d’intenti fra ASSET (Agenzia Regionale Strategica per la Sviluppo Ecosostenibile del Territorio), Comune di Taranto e Regione Puglia. «Il momento ufficiale della proclamazione – ha dichiarato Mino Borraccino, assessore allo Sviluppo economico per la Regione Puglia, anche lui presente a Patrasso – è stato è stato emozionante per tutti noi presenti».

I Giochi si erano già svolti a Bari nel 1997. Sono sul modello Olimpiadi, con le stesse discipline sportive, comprese le paralimpiche, ma a differenza della manifestazione iridata la partecipazione prevede solo atleti dei Paesi che si affacciano sull’area del Mediterraneo.

In rappresentanza del Coni erano presenti in Grecia la vice presidente Alessandra Sensini, il membro onorario del Cio, Mario Pescante, Elio Sannicandro, membro del Consiglio nazionale del Coni e coordinatore del dossier della candidatura, i presidenti federali Michele Barbone (danza sportiva) e Angelo Cito (taekwondo). La delegazione italiana era formata, fra gli altri, dal governatore della Puglia, Michele Emiliano, dal sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, dall’assessore regionale allo Sviluppo economico Mino Borraccino.

Puntuale l’intervento del presidente del Coni, Giovanni Malagò. «Il 2026 sarà un anno speciale per lo sport italiano, oltre alle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina, infatti, l’Italia, con Taranto e la Puglia, ospiterà la XX edizione dei Giochi del Mediterraneo. Si tratta di un nuovo e importante riconoscimento per il nostro Paese e, in particolare, per il mondo sportivo che fa riferimento al Comitato olimpico nazionale italiano e che è apprezzato all’estero per le capacità mostrate nell’organizzazione dei grandi eventi». La dichiarazione del presidente del Coni, Giovanni Malagò. «I miei complimenti vanno alla delegazione azzurra presente a Patrasso. Rivolgo, inoltre, le mie congratulazioni al governatore della Puglia, Michele Emiliano, al sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, al governo e al Parlamento che hanno sostenuto la candidatura, a Elio Sannicandro, che ne ha curato il dossier, e a tutti rappresentanti di un territorio che, attraverso questa importantissima manifestazione sportiva, troverà certamente una straordinaria occasione di promozione e rilancio della Regione, anche in termini di riqualificazione dell’impiantistica sportiva», ha concluso il numero uno del Coni.

Acciaio addio?

Un concreto progetto di “blue economy” potrebbe rilanciare un territorio

Arriva da Bari la scossa per Taranto e provincia. Il porto, la turca Ylport e la riassunzione dei dipendenti Evergreen, l’aeroporto “Arlotta”, l’università, nuovi corsi di laurea e “Casa dello studente”. Alcuni degli elementi per slegare un nuovo progetto di economia dal Polo industriale.

Ad  ottobre a Taranto si svolgerà la Fiera del mare. Obiettivi principali dell’iniziativa: sostenere e valorizzare il processo di trasformazione del tessuto socio-economico ionico, risorse locali, filiere produttive artigianali, industriali e agro-alimentari legate anche alla “blue economy” e convogliare investimenti esterni per favorire l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese pugliesi.

E’ uno degli snodi principali della cosiddetta “economia blu”, che altro non è se non il processo di creare un ecosistema, naturalmente sostenibile, in seguito alla trasformazione di elementi fino ad oggi poco valorizzati in un organismo redditizio per l’intero territorio che comincerebbe a smarcarsi dal polo industriale che, in qualche modo, ha governato sul territorio.

Occorreva avviare un procedimento che valorizzasse le diverse potenzialità della provincia ionica. Alcune già affermate, ma che necessitavano di una spinta per rimettere in moto meccanismi che, insieme con altri progetti, potrebbero condurre Taranto e provincia finalmente lontano da logiche che negli ultimi sessant’anni avevano prodotto risultati (e sentimenti) contrastanti.

Le novità sulla “blue economy” indirizzata sulla provincia ionica, arrivano direttamente da Bari. Promotore di un documento che spiega, punto per punto, il percorso necessario da affrontare per porre Taranto al centro dell’economia del Mezzogiorno, l’assessore regionale allo Sviluppo Economico, Mino Borraccino. La riflessione di Borraccino che menziona strumenti dei quali il territorio si starebbe dotando per delineare la Taranto futura, è lo spunto di una riflessione sulle potenzialità di Taranto, la sua provincia, strategici per un rilancio economico del quale l’intera regione possa beneficiare. L’impegno del politico pulsanese si concretizza dalla sottoscrizione della Legge regionale speciale per Taranto promossa dal consigliere regionale Gianni Liviano. Secondo Borraccino, infatti, starebbero maturando le condizioni perché Taranto vada oltre la monocultura dell’acciaio, liberandosi da un destino che sembrava averla segnata per sempre.

PORTO STRATEGICO

Fino allo scorso 10 giugno era stata attiva la consultazione pubblica sul Piano Strategico per Taranto, promossa da Regione Puglia e ASSET (Agenzia regionale strategica per lo sviluppo ecosostenibile del territorio) in collaborazione con Comune di Taranto. Cittadini, imprese, associazioni, enti e istituzioni insieme hanno espresso opinioni sul primo documento di analisi e sugli obiettivi strategici per sviluppo e valorizzazione del territorio tarantino.

In forma partecipata, sono scaturiti i primi elementi  di una  visione complessiva che puntasse a una città libera dal “carbone” e, finalmente, porto del Mediterraneo, orientata alla conoscenza, alla cura di ambiente, persone, lavoro e sviluppo.

Fra gli obiettivi principali, la rimozione di ostacoli a uno sviluppo socio-economico sostenibile e una riorganizzazione e diversificazione del tessuto economico per generare nuova occupazione soprattutto per i giovani e le donne.

Nello scorso mese di luglio, la Giunta regionale ha approvato la variante al “PRG” (Piano Regolatore Portuale) del Comune di Taranto con la massima attenzione rivolta a vincoli territoriali, aspetti ambientali, paesaggistici e urbanistici.

Grande importanza, pertanto, ha rivestito l’approvazione della delibera in questione, considerando che dal 30 luglio scorso la società turca Ylport, una delle più quotate al mondo, ha assunto la gestione dell’area portuale. Ylport, come noto, succede ad Evergreen riavviando l’attività dopo un fermo di alcuni anni. Realizzate le ultime formalità nel passaggio di consegne, Ylport darà formalmente corso alla fase di un riassorbimento graduale delle centinaia di lavoratori già dipendenti di Evergreen.

NUOVI SCENARI ECONOMICI

La ZES Jonica interregionale, istituita con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri nello scorso giugno, aprirà  importanti scenari di sviluppo economico per il nostro territorio (coinvolta anche la vicina Basilicata).

Previsti, per l’occasione, benefici fiscali e semplificazione amministrativa per le imprese che vorranno investire sui 1.518 Kmq dei territori di Taranto, Martina Franca, Massafra, Mottola,Manduria, San Giorgio Jonico,Monteiasi, Statte, Carosino, Faggiano, Francavilla Fontana e Grottaglie, oltre ai comuni della Basilicata. Mentre altri 89 Kmq di territorio saranno assegnati ai Comuni che ne faranno richiesta.

Il Piano di Sviluppo Strategico Z.E.S. Puglia e Basilicata, come relaziona l’assessore regionale Mino Borraccino, è reso possibile per legge dalla presenza del porto di Taranto e dell’aeroporto di Grottaglie. Arricchito dal Centro intermodale di Francavilla Fontana, questo delinea le prospettive di sviluppo prevedibili per la Puglia, individuando i numerosi settori che ne beneficerebbero: agroalimentare, logistica, meccanica, navalmeccanica, settore aeronautico, commercio e costruzioni. Senza sottovalutare lo specifico interesse che susciterebbe la Z.E.S. per la Cina e la cosiddetta “Nuova via della seta”.

A tale scopo, andrebbe pertanto ripensata la funzione dell’aeroporto di Grottaglie, che rivestirebbe un ruolo da protagonista per il futuro socio-economico non solo della provincia ionica, ma dell’intero Paese. L’aeroporto “Marcello Arlotta” infatti, inserito dal 2016 nel Piano Nazionale Aeroporti (categoria aeroporti di interesse nazionale), parte integrante del programma internazionale per la produzione in loco delle fusoliere del Boeing 787, possiede anche tutti i requisiti per diventare definitivamente la piattaforma integrata per la sperimentazione degli aeromobili a pilotaggio remoto.

Questo esercizio, alla luce del rilancio delle attività portuali di Taranto, assicurate dalla concessione del terminal container alla grande società turca Ylport, potrà contare sulla crescita dei servizi di cargo-logistica, con ottime ricadute occupazionali. L’industria aerospaziale rappresenta, oggi, una delle principali voci che concorrono a determinare il P.I.L. della nostra regione, con significativi risultati soprattutto in termini di export che fanno di questo comparto uno dei settori trainanti della nostra economia.

Regione Puglia e, in particolare, l’Assessorato allo Sviluppo cconomico,  forniranno il loro contributo attivando misure di aiuto mirate e cofinanziando le buone iniziative imprenditoriali.

MEDICINA E CASA DELLO STUDENTE

Dal prossimo anno accademico a Taranto partiranno nuovi corsi universitari: Laurea in Medicina e Chirurgia, Magistrale di Scienze e Tecniche dello Sport. Ed è a tale proposito di che Borraccino sottolinea il suo impegno. “Mi attiverò – assicura l’assessore regionale allo Sviluppo economico – per un altro progetto fondamentale per Taranto: la costruzione della Casa dello studente, per favorire quel fermento culturale di cui sono portatori straordinari le nostre giovani generazioni”.

“Per favorire lo sviluppo di Taranto e della sua provincia – conclude Borraccino nella sua nota – è necessario valorizzare le potenzialità di un territorio importante dal punto di vista strategico. Occorrono, insieme, una visione di lungo respiro e una grande coerenza nel mettere in campo iniziative e investimenti per superare le attuali condizioni di emergenza (bonifiche, ambientalizzazione, riqualificazione ambientale), per migliorare la qualità della vita, per diversificare l’economia e l’occupazione (economia circolare, ricerca e sviluppo, valorizzazione degli eco-sistemi), per promuovere uno sviluppo urbano sostenibile (qualità dell’ambiente urbano, energia, ciclo dei rifiuti) e per ridare fiato al turismo culturale, che ha nel Museo Archeologico Nazionale un fulcro centrale, e a quello balneare, che interessa la costa ionico-salentina”.

«Se vuoi, puoi!»

Cento donne (italiane) che stanno cambiando il mondo

Non solo personaggi noti, dal cinema alla stampa. Il settimanale “D” (Repubblica) indica alti dirigenti d’azienda, atlete, un’astronauta, calciatrici che hanno sfidato preconcetti e ottusità. E adesso guidano settori strategici per l’economia italiana. E non possiamo che ringraziarle per il loro costante impegno.  

In copertina, appena ieri, l’attrice, ballerina e modella Sarah Gordy, nemmeno sfiorata dalla sua sindrome di Down. E’ l’orgoglio rosa, una categoria che mostra i muscoli a quello che comunemente viene considerato il «sesso forte». Cominciamo con il cancellare una espressione cara agli uomini quando vogliono indicare una donna di carattere. Ma quale «carattere» – dicono – è «una donna con le palle!». Volgarità sferiche a parte, queste cento donne che il settimanale di Repubblica, “D”, indica ai lettori e lettrici, potrebbero essere molte di più. Ma è il gioco della rivista Forbes: cento. E cento siano.

Così, riprendendo l’idea del quindicinale americano di economia, “D” ha espresso il meglio “made in Italy”. Certo, gli americani sono americani e, secondo una logica, come dire, tutta americana, la maggior parte dei fenomeni, che siano donne o uomini (ci sono top cento maschili), risiedono negli Stati Uniti. Ma l’idea delle Cento donne più autorevoli è loro, dunque, che se la cantino e suonino come meglio credono. Noi cambiamo almeno la base musicale.

Così, “D”, lancia la sua speciale chart italiana. Meno modelle e più modelli. Meno donne fatali e più donne cui ispirarsi. Con il giornale in edicola ieri, a fare da “panino” a Repubblica, è tornato l’appuntamento annuale con le “100 donne che cambiano il mondo”. Il magazine vuole indicare una strada, spiegare alle giovani che «…le condizioni di nascita, la grande lotteria della fortuna, contano poco: se vuoi, puoi». Donne attive pescate in più settori della società (quattordici i settori esaminati). Storie di creatività o di sport, di economia o di politica, di scienza o di giustizia, di ambiente o di diritti.

Dunque, se Forbes indica Greta Thunberg, Carola Rackete, Ursula von der Leyen, Christine Lagarde, Claudia Sheinbaum, sindaco di una metropoli difficile come Città del Messico, Sonita Alizadeh, afghana, che affida al rap la sua lotta contro il fenomeno delle spose-bambine, la versione cartacea di “D” ci racconta i fenomeni al femminile di casa nostra. L’intero elenco lo rimandiamo al cartaceo D-Repubblica, qui ci limitiamo a una menzione, a una scrematura delle tante manager a capo di aziende che rappresentano con orgoglio l’Italia in campo internazionale.

Dunque, «Le cento donne (italiane) che stanno cambiando il mondo». Successo giusto, indipendenza, libertà, legittimazione, riconoscimento. Riuscire ad emergere e assaporare gli effetti di un’auto-realizzazione personale e lavorativa è di per sé una grande soddisfazione, ma è inutile negare che per una donna, lo è ancora di più. Perché «…per una donna – scrive ancora “D” – la strada verso l’affermazione, purtroppo, è ancora una corsa a ostacoli».

Proprio per questo, le 100 donne italiane di successo del 2019 individuate da Forbes Italia non sono solo motivo di orgoglio nazionale ma anche una grande fonte d’ispirazione. Un concentrato di «competenze, creatività, carisma, tenacia, capacità» che delinea l’evoluzione dell’empowerment (consapevolezza, determinazione, carattere) femminile anche nei piani alti. Attrici e conduttrici che hanno dimostrato di sapere il fatto loro, designer emergenti, scienziate o icone dello sport, che hanno trasformato il sudore in medaglie e trionfi, imprenditrici e manager al timone di grandi aziende o di piccoli family business di cui sono la colonna portante.

Forbes Italia ha stilato «il meglio dell’Italia al femminile nel 2019» (in rigoroso ordine alfabetico) spaziando dall’enterteinment allo sport, dall’editoria all’imprenditoria, arrivando fino allo spazio (letteralmente). Fra le cento, le più note, considerando gli strumenti di cui dispongono: le conduttrici e giornaliste Lucia Annunziata (direttrice di HuffPost Italia), Laura Cioli (CEO del Gruppo editoriale GEDI), Lilli Gruber ( La7), Diletta Leotta (DAZN e Sky) e la “Iena” Nadia Toffa, che ha dimostrato coraggio e professionalità da vendere nell’affrontare e condividere la sfida più tosta della sua vita (un “male” da combattere). Uno sguardo al grande schermo: Paola Cortellesi, Valeria Golino e Micaela Ramazzotti; nello sport, la tuffatrice Tania Cagnotto e la calciatrice Sara Gama, capitano della Juventus femminile e della Nazionale, simbolo della battaglia rosa contro discriminazioni (sessismo, gender pay gap, maschilismo e pregiudizi nel mondo dello sport). Un applauso convinto, a tutte loro e alle “colleghe” che solo per questione di spazio non trovano menzione.

Nella lista di Forbes Italia, la prima italiana ad andare nello spazio, Samantha Cristoforetti. Insieme con lei, l’astrofisica Marica Branchesi, le grandi manager e imprenditrici come Katia Bassi (CMO di Lamborghini), Silvia Damiani (vice presidente dell’azienda di famiglia), Micaela Le Divelec (ad di Ferragamo e Elena Miroglio presidente di Miroglio fashion (il gruppo di Motivi, Elena Mirò, Fiorella Rubino, Oltre e così via…) e Cristina Scocchia (CEO di Kiko). Donne che si sono contraddistinte in percorsi e progetti vincenti che hanno fatto, fanno e faranno la differenza. Un bel successo, meritatissimo. E che questo riconoscimento non sia solo per un giorno.

Avete comprato Repubblica, bene. Ora, non lasciate l’allegato sul mobile d’ingresso o parcheggiato sotto l’ombrellone, per leggere dell’ennesima crisi di governo o passare di corsa alle pagine di spettacolo e sport. Dopo che l’avrete offerto, gentilmente, alla signora, chiedetele di passarvelo una volta letto. Ecco, gli uomini dovrebbero spesso sfogliare e leggere le pubblicazioni riservate a prima vista al gentil sesso (anche se “ha le palle!”, accidenti) e avvicinarsi un po’ di più a quell’universo che solo romanticamente definiamo “l’altra metà del cielo”. Perché spesso lo dimentichiamo. Proviamo a non distrarci. Buona lettura. E buona domenica.