Ezio Bosso, grande pianista, assalito da una malattia degenerativa
«Ma se mi volete bene, non chiedetemi di mettermi al pianoforte e suonare. Sono felice lo stesso, perché continuerò a fare il mio mestiere: il direttore d’orchestra». Tre anni fa commosse la platea di Sanremo. «Ce ne sono una quindicina simili, ma la stragrande maggioranza non ha cure definitive», l’opinione di un esperto.
Parla appena, le sue parole quasi si rifiutano di uscire dalle sue labbra. Eppure le sue lente espressioni vengono fuori a singhiozzi, accompagnate da espressioni di gioia e sorpresa. Lo avevamo visto tre anni fa, in una platea sterminata, non quella dell’Ariston per poche centinaia di eletti, bensì quella televisiva di milioni di spettatori che da casa stavano seguendo il Festival di Sanremo. Ezio Bosso, grande musicista, assalito da una grave malattia degenerativa, aveva voluto stupire lo stesso il pubblico. Più che sferrare un pugno nello stomaco, sensibilizzare le coscienze, esibendosi come poteva. Arrampicandosi, quasi, a quel pianoforte dal quale cavava lo stesso note straordinarie. La sua forza nel raccontare il dramma con il sorriso sulle labbra, nonostante tutto, nonostante la malattia lo avesse già minato, aveva commosso tutti. Il pubblico all’Ariston, quello da casa, l’intera platea europea collegata quella sera al Festival.
Non è dato conoscere come viene chiamata la malattia che sta annientando il grande pianista, compositore, direttore d’orchestra, oggi quarantottenne. Una cosa è certa, purtroppo: un giorno dopo l’altro, gli sta sfilando il pianoforte dalla carezza delle sue dita che hanno eseguito sinfonie che ci hanno fatto sognare.
IL CORPO INGABBIATO
Malattia terribile che lo costringe in una gabbia, senza appello. Una malattia che prosegue lenta, in modo inesorabile. Accade che Bosso è lucido, ma il suo corpo si sta arrendendo. Le gambe, le braccia, lo stanno abbandonando. Pensate il dramma. Ma anche la sua grande dignità. Ha commosso il mondo con le sue ultime dichiarazioni rese al pubblico barese della Fiera del Levante. «Vi prego, se mi volete bene, non chiedetemi di mettermi al pianoforte e suonare: non immaginate la sofferenza che provo, non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza». Certo, non vuole sentire ragioni, nessuno dica che vuole lasciare la musica. Qualsiasi sia la malattia che lo ha colpito, il suo talento resta intatto. Bosso continuerà a fare il direttore d’orchestra. «Nessun pietismo, non ho detto addio alle scene», dichiara su facebook. «Ho solo risposto che non faccio più concerti da solo al pianoforte perché lo farei peggio che mai e già prima ero scarso. Cosa che avevo già annunciato due anni fa. Ma sono felice lo stesso, perché continuerò a fare il mio mestiere, quello di direttore d’orchestra».
Molte, troppe, sono purtroppo le malattie che possono imprigionare il talento e l’anima sono molte. Numerose le ipotesi scientifiche su quella che ha colpito Bosso. Si era parlato di Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), tesi poi smentita. Quello che è certo, è che la diagnosi sull’artista torinese è arrivata qualche anno fa, dopo un intervento per rimuovere un tumore al cervello. Una malattia che, oggi, compromette l’uso delle sue mani, domani non sappiamo cosa. Ipotesi, si diceva: una malattia autoimmune, forse, come la neuropatia motoria multifocale – spiegano gli studiosi – che colpisce i nervi motori, quelli che trasmettono i segnali dal sistema nervoso centrale ai muscoli. I sintomi, quelli, sono molto simili a quelli della Sla, come gli spasmi muscolari, ma non è la Sla.
AVAMBRACCIO, MANO, DITA…
I primi problemi iniziano spesso a livello di avambraccio e mano, a volte in punti specifici come il polso o le dita. Ma le malattie che per eccellenza imprigionano il corpo sono quelle che colpiscono il motoneurone, di cui la Sla ne è un esempio. «Le malattie del motoneurone sono un gruppo molto eterogeneo di condizione neurodegenerative che colpiscono le cellule nervose deputate al controllo dei muscoli», spiega Adriano Chiò, professore ordinario del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Torino. Oltre alla Sla, rientrano in questa categoria l’atrofia muscolare progressiva, la sclerosi laterale primaria, la paralisi bulbare progressiva e così via. «Ce ne sono una quindicina e ognuna ha tempi di esordio e progressione, così come sintomi e decorso, molto variabili; purtroppo la stragrande maggioranza non ha una cura definitiva».
«Ci sono solo farmaci che possono rallentarle», prosegue l’esperto. La progressione è quindi inesorabile. Ma non bisogna perdere la speranza: noi ricercatori non ci arrendiamo». E Bosso, un segnale, forte, lo mandò dalla platea sanremese, intervistato da Carlo Conti. «La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme». Proseguì, lentamente, ma con grande forza. «Noi uomini diamo per scontate le cose belle. La vita è fatta di dodici stanze: nell’ultima, che non è l’ultima, perché è quella in cui si cambia, ricordiamo la prima. Quando nasciamo non la possiamo ricordare, perché non vediamo, ma lì la ricordiamo, e siamo pronti a ricominciare e quindi siamo liberi». Aveva parlato di nascita e vita Ezio Bosso, mai di fine o di malattia e il suo entusiasmo era stato tanto, contagioso, raccolto anche da chi ha mani buone, ma non sa usarle come ha fatto finora Bosso, un grande della musica, un gigante della vita.