Una impresa su dieci parla “estero”

Cinesi, marocchini, rumeni: commercio, costruzione, ristorazione. Roma e Milano guidano, Taranto e Brindisi fra le province medie italiane. Dati Unioncamere. Nei due capoluoghi pugliesi, si attesterebbero al 3%. Il commercio di casa nostra invita a leggi meno restrittive e una minore pressione fiscale.

Imprese italiane, una su dieci è gestita da stranieri. Nell’ordine, cinesi, marocchini, rumeni. Commercio, costruzione, ristorazione. Taranto e Brindisi guidano le province di media grandezza rispetto al resto del Paese. Ad una incollatura Terni. Nel segmento analizzato da Unioncamere, le attività a conduzione straniera, specie nei due capoluoghi pugliesi, si sarebbero attestate intorno al 3%, media sicuramente superiore rispetto al resto delle italiane.

Se il 90% delle imprese italiane, a questo punto, segna il passo e, purtroppo la cessazione di attività rispetto al saldo in fatto di aperture, un motivo ci sarà. Magari i paletti, troppi, riservati agli italiani che intendono fare impresa. Piccole e grandi leggi, un regime fiscale soffocante, i costi di gestione e, dunque, i problemi per l’assunzione di personale; un qualsiasi tipo di autorizzazione, le tasse sulle insegne, il costo del suolo pubblico per quanti intendono impegnare i marciapiedi per fare attività (ristoranti, bar, paninoteche). Per gli stranieri ci sarebbero, condizionale obbligatorio, maglie in qualche modo più larghe. Per dirne una, se su un’attività gestita da italiani – piccola o media che sia, che stenta a decollare sostenendo spese maggiori rispetto agli incassi – si abbattesse lo spettro del fisco, sarebbe la fine.

Non ci sarebbe prova d’appello. Peggio se questa fosse a conduzione familiare. Non c’è prova d’appello. Diverso, ma non ce ne vogliano gli stranieri – la maggior parte di questi, svolge egregiamente il ruolo di impresa – se un cinese o un marocchino fallissero la loro prima occasione, non sarebbero così braccati dalle cartelle esattoriali. Nomi e cognomi complicati, imprese che restano negli stessi locali, ma che nell’arco di due anni cambiano tecnicamente di mano, sopravvivono. Pare sia più semplice cambiare il nome del gestore. Altro dato, comunque insignificante nel ragionamento complessivo. Trattasi di curiosità: la percentuale di multe elevate ad attività straniere e non pagate – per fare un altro esempio – pare sia superiore rispetto a quelle fatte agli italiani. “Noi abbiamo da perdere – dicono alcuni imprenditori – auto, casa, così facciamo debiti fino a quando è possibile, magari in attesa che l’attività nella quale abbiamo creduto, decolli, invece ci tocca chiudere”.

ROMA CAPITALE

Proviamo ad estendere il ragionamento a livello nazionale. Un buon 40% di imprese a conduzione straniera si realizza nei grandi centri. A farla da padrona è Roma, settantamila attività parlano straniero. In termini di crescita in un segmento più ristretto, rispetto al semestre in causa, nel periodo aprile-giugno, sono state alcune delle città con dimensioni più ridotte, la provincia per intenderci, a far registrare aggiornamenti degni di nota. Come detto, in testa alle città con una popolazione media, guidano il plotoncino “straniero” Brindisi e Taranto, per cominciare, con Terni, immediatamente al seguito delle due città pugliesi.

Dunque, nel nostro Paese in buona sostanza “parlano” cinese, marocchino o rumeno un impresa su dieci. Lo asserisce Unioncamere, lo conferma InfoCamere: le imprese gestite da stranieri alla fine di giugno hanno superato le 600mila unità. Queste, nel secondo trimestre dell’anno, hanno fatto registrare una crescita di 6.800 unità (rispetto al trimestre precedente +1,1%, praticamente il doppio della media delle imprese nello stesso periodo: +0,5%).

Gli investimenti delle imprese straniere  si concentrano nella maggior parte nel commercio, nei lavori di costruzione e nella ristorazione e, in otto regioni su venti, rappresentano oltre il 10% delle attività economiche.

DATI AL DETTAGLIO

Dati di Unioncamere e Infocamere: commercio al dettaglio (161.000), lavori di costruzione specializzati (113.000), servizi di ristorazione (47.000). Questi i settori in cui le imprese di stranieri sono più numerose, sottolinea il rapporto preso in analisi.

Nei primi due ambiti, inoltre, così come nelle “attività di supporto per le funzioni d’ufficio e altri servizi alle imprese”, nelle “attività di servizi per edifici e paesaggio” e nella “fabbricazione di articoli in pelle”, una impresa su cinque è guidata da persone di origine non italiana. In altri due settori, addirittura, le imprese di stranieri arrivano a rappresentare un terzo del totale. Sono diciassettemila le attività di “confezione di articoli di abbigliamento” (31%) e delle 3.400 imprese del settore delle “telecomunicazioni” (33%).

Nella globalizzazione, però, ben vengano gli investimenti stranieri. Commercianti e imprenditori italiani invocano leggi uguali per tutti, possibilmente una minore pressione fiscale, quanto sarebbe alla base di un decremento negli investimenti nel settore privato. Gli stranieri, invece, chiedono un trattamento che incoraggi gli investimenti. Ci fosse una strada interlocutoria, una crescita del commercio – fra italiano e straniero – in un periodo di crisi, sarebbe meglio per tutti.