«Genitori, frenate i social!»

Addio a Martina, quattordici anni, una vita negata

Assassinata con tre colpi di pietra sul capo. L’ex fidanzato reo confesso. Non si fa in tempo a seppellire una ragazza, che si registra un altro femminicidio. Lo psichiatra Paolo Crepet invita a porre un freno all’uso di internet, specie ai giovanissimi. «Decine di migliaia di ragazzine a tredici anni escono a mezzanotte; mai che un padre si metta davanti alla porta, anzi, le danno pure cento euro», dice lo studioso

 

Altro femminicidio. Il trentaduenne romeno fermato mercoledì con l’accusa di aver ucciso Maria Denisa Adas, ha confessato. L’uomo, guardia giurata, sposato e con due figli, dopo il fermo ha confessato. «Denisa mi ricattava, per questo l’ho uccisa». La donna, trent’anni, scomparsa il 15 maggio scorso a Prato, è stata ritrovata senza vita nei pressi di un casolare abbandonato. Era stata strangolata la stessa sera della sua scomparsa.

Apriamo con questo nuovo fatto di cronaca registrato appena due giorni fa (in realtà l’articolo lo scriviamo solo un giorno prima, cioè ieri), perché la storia sulla quale volevamo soffermarci in questa rubrica è un altro femminicidio, l’ennesimo, drammatico come può esserlo un omicidio, peggio se consumato ai danni di una donna, di una ragazza acerba nel caso di Afragola.

 

 

MARTINA, COLPITA TRE VOLTE

«Martina ha rifiutato un abbraccio: era di spalle e l’ho colpita», ha confessato Alessio Tucci, diciotto anni, femminicida reo confesso, davanti al giudice per le indagini preliminari. L’ha colpita con una pietra e con inaudita ferocia, come accade in uno di quei “crime tv” che tanto piacciono a papà, mamme e figlioli, che eleggono ad eroi chi senza farsi scrupoli risolve il problema, anche con violenza. Una violenza che si è abbattuta sul capo di quella ragazzina, di spalle, come se avesse dato al suo assassino l’ultima risposta con la quale lo invitava a tenersi lontano da lei.

Colpita tre volte violentemente così da toglierle il respiro, cancellarla per sempre alla vista di quel ragazzo così violento che fra i suoi princìpi non considerava nemmeno lontanamente un rifiuto. «E’ stato un attimo…», abbiamo sentito dire da qualcuno in circostanze simili, come se fosse plausibile che per attenuare il giudizio del giudice valga tutto, qualsiasi cosa: anche giustificare un gesto così efferato come se fosse un attimo di distrazione. Così, Alessio, l’assassino, ha nascosto il corpo di Martina in un armadio in un casolare di Afragola, dove poi è stato rinvenuto il corpo della poveretta. Durante l’interrogatorio, svoltosi nel carcere di Poggioreale, il ragazzo, accusato di omicidio pluriaggravato ed occultamento di cadavere, ha risposto alle domande del giudice, alla presenza del suo avvocato: «Non sappiamo se fosse viva – ha detto il legale dell’omicida – ma Alessio ha detto che la povera Martina non respirava più».

 

 

«NESSUN ACCANIMENTO», DICE LA DIFESA

«Comunque – la tesi difensiva dell’avvocato – non c’è stato accanimento; tre colpi, la ragazza ha perso i sensi quasi subito, ma nessun accanimento». Basiti è dir poco, ma non vogliamo fare il processo nel processo. Della posizione di certi programmi televisivi, al limite dell’osceno, ne abbiamo già scritto: siamo per la libertà d’informazione, ma non per lo sciacallaggio a favore di audience o di plastico, specie quello esercitato sul dolore che hanno, puntualmente, i parenti e gli amici più stretti delle vittime.

Ma veniamo a quanto ha attirato la nostra attenzione. L’ennesimo intervento, uno dei pochi avveduti e fatti senza cercare consensi, se non quello di accendere una spia su uno dei temi dei quali si discute spesso, a casa come a scuola: quello dello psichiatra Paolo Crepet: «Il raptus è un’insolenza per l’umanità», ha detto rilasciato all’agenzia giornalistica Adnkronos. Il risentimento che traspare dalle sue parole è una risposta ferma, secca, a quanti nel raccontare la cronaca descrivono questi assassini come persone normali trasformate improvvisamente in mostri. «Chi dice che ci sono esseri umani che fino al sabato pomeriggio sono dei santi – spiega Crepet – e poi lunedì sono dei feroci assassini, lo raccontino nelle più brutte favole della storia!».

La sua provocazione che sentiamo di condividere: «C’è qualcuno contro i social? Qualcuno che ha detto che a tredici anni non si possono usare i social? Decine di migliaia di ragazzine a tredici anni usciranno, non alle nove, a mezzanotte; non ho mai conosciuto un padre che si mette davanti alla porta. Anzi, non solo aprono la porta e gli dicono “divertiti”, ma le danno pure cento euro».

 

 

SOCIAL, PONIAMO UN FRENO!

L’uso indiscriminato dei social. «Se uno ha un profilo social a soli undici anni c’è un problema», sottolinea i rischi che questi strumenti comportano nelle relazioni sentimentali giovanili. Il revenge porn (vendetta porno, la condivisione pubblica di immagini o video intimi tramite Internet, senza il consenso dei protagonisti degli stessi, ndc) rappresenta l’evoluzione digitale della violenza di genere che Crepet denuncia da trent’anni. «La dipendenza da social e i disturbi comportamentali che ne derivano – considera il sito, sempre molto attento ai temi che maturano nell’ambito dello studio, orizzontescuola.it, creano terreno fertile per relazioni tossiche». Crepet sottolinea come la società abbia scelto di «non sentire il peso» di questa responsabilità, preferendo l’ipocrisia delle fiaccolate alla fatica di un’educazione digitale consapevole. «Il sexting e l’adescamento online – conclude la considerazione orizzontescuola.it – completano un quadro in cui i minori sono esposti a dinamiche adulte senza gli strumenti per comprenderle, creando quella “insolenza per l’umanità” che lo psichiatra denuncia con forza».

Referendum, “Sì” e “No”

Domenica 8 e lunedì 9 giugno alle urne

Fra i quesiti, cinque complessivi, quello sulla cittadinanza italiana (scheda gialla). L’obiettivo sarebbe il perfezionare una legge che risale a  al 1992. Interviene su uno dei requisiti necessari per presentare la domanda di cittadinanza, dimezzando, da dieci a cinque, gli anni di residenza continuativa in Italia necessari

 

Domenica 8 e lunedì 9 giugno, in concomitanza con il turno di ballottaggio delle Amministrative (il primo turno si è svolto il 25 e 26 maggio), i cittadini sono chiamati a votare per i cinque referendum popolari abrogativi: quattro in tema di lavoro e uno relativo alla cittadinanza italiana (scheda gialla).

Detto che per avere validità un referendum deve superare il quorum del 50% più un voto, si parla dei quattro referendum per il lavoro, importanti, un po’ meno di quello sulla cittadinanza, così ci piace intanto iniziare dalla fine, perché questo riguarda due milioni di “italiani” non ancora regolarizzati. Dunque, il “Sì” al quinto referendum, va ricordato, sarebbe un primo significativo passo avanti per rendere migliore una legge che risale a più di trent’anni fa, e cioè al 1992, e che nel nostro Paese attualmente regola l’acquisizione della cittadinanza italiana. Nello specifico, il referendum, la quinta scheda, interviene su uno dei requisiti necessari per presentare la domanda di cittadinanza, dimezzando, da dieci a cinque, gli anni di residenza continuativa in Italia necessari. Tutti gli altri requisiti (reddito stabile, conoscenza della lingua, non aver commesso reati, aver pagato le tasse) restano invariati. Se un italiano condividesse la legge esistente, può mettere una croce sul “No”.

 

 

DUE MILIONI “ITALIANI” IN ATTESA

«Un quesito tanto semplice quanto impattante – si legge – sulla vita di oltre due milioni di persone che potrebbero accedere allo status di cittadini e cittadine dopo tanti anni di lavoro, studio e residenza ininterrotta in Italia». «Poter chiedere di essere cittadini italiani – spiega Renato Benedetto sulle colonne del Corriere della sera – dopo cinque anni di residenza nel Paese anziché dopo dieci: di questo tratta, andando a stringere, il quinto quesito, quello che si troverà sulla scheda gialla ai referendum dell’8 e 9 giugno, l’unico che non riguarda il lavoro; meglio sgomberare il campo subito, allora, dicendo di cosa non si tratta: non si parla di ius soli, né di ius scholae, di  minori che diventano cittadini italiani per nascita o per aver frequentato cicli scolastici: il quesito riguarda la cittadinanza italiana richiesta per residenza e si propone di accorciarne i tempi».

In breve: se vincesse il “Sì” e il referendum raggiungesse il quorum: la richiesta potrà essere avanzata dopo cinque anni; al contrario, se a vincere dovesse essere il “No”, la richiesta, come è oggi, continuerà a poter essere avanzata solo dopo dieci anni. Cosa cambia per i minori. «Con il referendum – spiega Benedetto – non si modificano i termini per i minori stranieri (che oggi possono acquisire la cittadinanza italiana se lo richiedono al compimento dei 18 anni, purché abbia risieduto in Italia legalmente e ininterrottamente dalla nascita).  Ma il dimezzamento dei tempi, in generale, per la richiesta di residenza indirettamente può riguardarli: i figli minori di chi acquista la cittadinanza italiana, se convivono con lui, la acquisiscono a loro volta». Il termine dei dieci anni è tra i più lunghi in Europa. Cinque sono gli anni che servono, ad esempio, in Francia, Germania, Portogallo, Paesi Bassi e Svezia. Dieci in Spagna.

 

 

I NODI DEL LAVORO

E veniamo agli altri referendum. Quesito numero 1 (scheda verde chiaro): legittimità sui licenziamenti. Il “SÌ” al referendum renderebbe più forte il diritto a non essere licenziati senza un valido motivo, nelle imprese con più di quindici dipendenti, ampliando i casi in cui si ha diritto a essere reintegrati sul posto di lavoro. “No” se si è di avviso contrario

Quesito numero 2 (scheda arancione). Il “SÌ” al referendum rende più forte il diritto a non essere licenziati senza un valido motivo, nelle imprese fino a quindici dipendenti, rendendo possibile un indennizzo più alto. “No” se non si è d’accordo.

Quesito numero 3 (scheda grigia): lavoro precario. Il “SÌ” al referendum mette uno stop all’abuso dei contratti a termine che, nel marzo del 2025, occupavano 2 milioni e 700 mila persone. “No” se si è di opinione contraria.

Quesito numero 4 (scheda rosso rubino): sicurezza sul lavoro. Il “SÌ” al referendum amplia la responsabilità in solido (ovvero di dovere corrispondere all’infortunato il risarcimento deciso dal giudice) dell’impresa appaltante nel caso di incidenti sul lavoro negli appalti e subappalti. “No”, nel caso non foste convinti sul quesito anzidetto.

«Siete in Puglia, dimenticate la dieta!»

Il video di uno steward Ryanair diventa virale

Diverte i passeggeri, promuove la cucina locale. Mette in guardia che non è il caso di fare vacanza e mantenere la linea. Quando si arriva in questa regione, non si contano le tentazioni della tavola

 

«Non pensate alla dieta, lasciatevi tentare dalla cucina regionale, non ve ne pentirete benvenuti in Puglia!». Non è una guida a pronunciarsi in questo modo, ma lo steward di un volo Ryanair che sta per atterrare nell’aeroporto di Bari. Non è proprio questo il messaggio, di questo ne scrive brillantemente Leonardo Pasquali nel suo report sul sito everyeye.it, ma è quanto in sintesi ha praticamente dichiarato lo steward, che con una mano reggeva il microfono e con l’altra già si vedeva a reggere una forchetta, comodamente seduto in uno dei tanti ristoranti del capoluogo barese. Di sicuro, dalla brillantezza e dall’ironia dello steward che la mette sul piano della “dieta pugliese”, un invito non una prescrizione, ne beneficia la compagnia aerea Ryanair. Questo è fare marketing. Questo dovremmo imparare per fare sempre più squadra: vanno bene i manifesti 3×4 e le locandine che raccontano e promuovono la Puglia nelle stazioni e negli aeroporti di Milano e Roma, ma Michele Emiliano dovrebbe tenere d’occhio anche queste forme promozionali per quanti arrivano in Puglia in aereo o in treno.

 

 

TU CHIAMALE, SE VUOI, STRATEGIE

Tu chiamale, se vuoi, strategie. Non sappiamo quanto ci sia della strategia di Ryanair e quanto dell’improvvisazione dello steward, sta di fatto che il fiuto di Pasquali ha posto per un giorno la compagnia aerea low cost irlandese al centro della cronaca. Finalmente una notizia bianca, finalmente un pensiero positivo, con tutta quella politica e quella cronaca nera che in questi giorni lottizza le prime pagine dei giornali. Piatto ricco, mi ci ficco: sulla notizia, e hanno fatto bene, si sono fiondati fiori di siti e organi di informazione che rivendicheranno la paternità del servizio. Una cosa è certa, everyeye.it, il sito che posto la notizia al centro della sua pagina il 30 maggio scorso, ha avuto l’intuizione che questa rappresentasse “la notizia”, quelle che noi tutti cerchiamo. “Penso positivo”, appunto, l’invito stavolta allude a Lorenzo Jovanotti.

Passetto indietro, la narrazione. L’aereo atterra con qualche minuto di anticipo. Lo steward alza la cornetta e parte compie il suo annuncio all’indirizzo dei passeggeri. Il tono è, però, ironico. Di questi tempi una modalità che andrebbe incoraggiata. Ai viaggiatori strappa sorrisi, mentre il video di questa breve, ma divertente performance diventa virale.

 

 

BENVENUTI IN PARADISO

«Benvenuti a Bari, siamo in anticipo di qualche minuto», si legge su everyeye. Il tutto mentre l’aereo sta per scivolare sulla lunga pista dell’aeroporto pugliese. Lo steward si rivolge ai presenti a bordo: dà il “bentornato” ai baresi, che il territorio, cucina compresa, lo conoscono bene, mentre ai turisti augura, in senso ironico, “buona fortuna”. Dove sta l’augurio: i turisti, con tutto il rispetto per le mitiche dodici fatiche di Ercole, dovranno superare le infinite tentazioni gastronomiche che questa magnifica terra ha da offrire.

«Adesso finalmente – argomenta lo steward, che meriterebbe l’attestato honoris causa come guida – potrete respirare l’aria pugliese; per i visitatori sconsiglio di seguire un regime alimentare rigido, la dieta: se ci riuscite mi complimento con voi». Più di così. Applauso e standing ovation. Anche perché adesso c’è da tirare fuori i bagagli e poi, ma non c’è bisogno che questo lo ricordi lo steward, si è fatta “una certa” ed è l’ora di pranzo. Il languore era parcheggiato in un angolo dello stomaco, dopo l’annuncio ecco il desiderio: «Dov’è il più vicino ristorante? Grazie…».

«Quarant’anni fa il dolore più grande…»

La comunità italiana e la tragedia dell’Heysel, la notte più lunga del calcio

Durante la finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, gli hooligans sfondarono una barriera di recinzione invadendo il settore occupato dai tifosi juventini. La folla in fuga provocò il crollo di un muro, morirono 39 persone. Quella storia, iniziata con una festa e finita nel sangue, nel racconto di Tonio Attino, che a Lussemburgo andò a realizzare servizi e interviste per il suo libro “Il pallone e la miniera”, presentato anche in video per Costruiamo insieme (https://youtu.be/ThnBFywOgLQ?si=FnH7Qi9yp2A_ccNL)

 

Il 29 maggio 1985, un mercoledì di quarant’anni fa, la tragedia nello stadio Heysel di Bruxelles. Durante la finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool gli hooligans sfondarono una barriera di recinzione invadendo il settore occupato dai tifosi juventini. La folla in fuga provocò il crollo di un muro, morirono 39 persone. «A quella storia – racconta il giornalista Tonio Attino, intervistato anche da “Costruiamo insieme”, a seguire il link – ho dedicato, nel libro “Il pallone e la miniera”, un capitolo dal titolo “Bruxelles”. È la tragedia vissuta dalla comunità italiana della vicina Esch-sur-Alzette, la città operaia lussemburghese che aveva garantito un lavoro e una casa agli immigrati italiani».

«Avete notizie? Diteci qualcosa per favore, voi siete lì…». Attacca così, Attino, il ricordo di quella tragedia immensa che investì una comunità, quella bianconera, ma anche il resto del mondo sportivo, non solo del calcio. Del mondo intero, visto che il primo ministro inglese, prima che si pronunciassero le sfere più alte della Uefa, punì i tifosi e le squadre inglesi con una squalifica lunga cinque anni. Dolore e indignazione, per una volta, andarono pari passo. Attacca così, Attino, in modo agghiacciante, il capitolo del suo libro “Il pallone e la miniera” dedicando nel suo blog tonioattino.it (tante storie, tutte affascinanti, non solo di calcio) il ricordo della comunità lussemburghese che alla Coppa Campioni con la sua Jeunesse aveva partecipato più volte. Con un nome simile a quello della squadra torinese e una maglia a strisce verticali bianche e nere, ispirandosi non a caso ai colori sociali della stessa Juventus.

 

 

QUEL 29 MAGGIO DI 40 ANNI FA…

La sera del 29 maggio 1985 il telefono del Caffè Conti continuava a squillare e Jean-Pierre Barboni, il capitano della Jeunesse, seguitava a rispondere non sapendo che dire. «Chiamavano dall’Italia, da Gubbio, da Palazzo Mancinelli, il mio paese, e tutti chiedevano piangendo cosa fosse successo. Volevano notizie sui parenti, in tanti erano arrivati in pullman per la partita, ma io non potevo dire niente perché non sapevo niente».

Avremmo potuto riscrivere, riportare le dichiarazioni di tarantini, all’epoca, che avevano preso parte alla tragedia che si consumò in quel maledetto settore Z.  La disorganizzazione, nessun rispetto per quei morti messi in fila, a terra, alla vista dei tifosi; la telecronaca di Bruno Pizzul, che non fece cenno a quanto stesse accadendo, mentre le telescriventi, con largo anticipo sul fischio d’inizio della gara, informavano che si erano già registrate decine di vittime; le dichiarazioni di Gaetano Conte, commerciante tarantino, tifoso bianconero, che rese allo scrivente cronista per il “Corriere del giorno”. Quanto negli anni, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, abbia influito quella tragedia. Conte si affidò anche ai legali. Voleva che quelle immagini fossero cancellate per sempre. «Ogni volta che trasmettono le immagini della Champion’s, della Coppa vinta dalla Juventus, non si scappa: puntualmente ci sono le immagini in cui vengo ripreso, seppellito da calcinacci e calpestato dal fuggi-fuggi generale, uno choc che non finirà mai…»; le interviste raccolte dallo stesso Pizzul e il calciatore juventino Antonio Cabrini, passati da Taranto per motivi professionali il primo, e un impegno sociale il secondo. Ma il racconto, per come lo scandisce lo stesso Tonio, è straordinario.

 

 

…ALLE 19.20, L’INFERNO

«Erano le 19.20 – scrive Attino registrando personalmente, a Esch in Lussemburgo, le dichiarazioni di Jean Pierre Barboni, bandiera della Jeunesse – quando l’onda rossa diventò una marea, sfondò la rete di protezione del settore “Z” e travolse famiglie, persone anziane, ragazzini. Chi arretrò e riuscì a non farsi schiacciare, finì contro il muro all’altro capo della curva, e il muro fu schiantato dal peso. Con altre quattrocentomila persone incollate alla tv, Jean-Pierre osservava, rispondeva al telefono senza sosta, ascoltava le parole di Pizzul. Non sapeva che dire».

«Quando il muro crollò – riprende Barboni – a decine furono travolti; altre decine precipitarono da una quindicina di metri di altezza; altri furono calpestati nel flusso tumultuoso di chi cercava una fuga disperata dietro la spinta degli hooligans; altri ancora invasero il campo di gioco per trovare una via di fuga sotto gli occhi dei poliziotti a cavallo».

In una sorprendente e inutile scenografia sventolavano i manganelli, ricacciando all’indietro chi invadeva il campo per salvare la pelle. La telecronaca di Bruno Pizzul su Rai Uno risultava un po’ vaga per l’impossibilità di avere notizie aggiornate e chi stava davanti alla tv – in Italia, a Esch o nel Caffè Conti della famiglia Barboni – intuì la gravità del momento, senza comprenderla fino in fondo. Benché la dirigenza juventina non volesse giocare in quelle condizioni, le autorità belghe, incapaci di tenere l’ordine e terrorizzate dall’idea di quanto sarebbe potuto accadere in caso di rinvio della partita, chiesero e ottennero, praticamente imposero il rispetto del programma sportivo. Ma di sportivo ci fu poco, nulla.

 

 

ANCHE GIOVANI VITE SPEZZATE

Juventus e Liverpool s’erano già incontrati cinque mesi prima e i torinesi avevano vinto la Supercoppa. A Bruxelles, il vecchio Heysel doveva essere l’occasione di rivincita per i Reds allenati da Joe Fagan e un’opportunità per la Juventus del Trap di dimostrarsi più forte. Fu un’altra cosa.

Conclude Tonio Attino. Quando l’arbitro fischiò la fine e i giocatori della Juve presero la coppa portandola in processione intorno al campo, ai piedi della tribuna c’erano in fila trentanove corpi. Trentanove morti, trentadue italiani, quattro belgi, due francesi, un irlandese. Anche un ragazzino di undici anni, Andrea Casula, accanto al corpo del papà Giovanni. Anche una studentessa, Giuseppina Conti, diciassette anni. I feriti furono seicento. «Di notte, il telefono smise di squillare».

 

Costruiamo insieme, l’intervista a Tonio Attino

https://youtu.be/ThnBFywOgLQ?si=FnH7Qi9yp2A_ccNL

Tanta voglia di Poohglia

A Bari in questi giorni, il gruppo dichiara il suo amore per questa regione

«L’emozione dei colori, l’armonia, le pietre bianche, i paesaggi e i borghi, i trulli. Lungomare di Bari, quello di Taranto, Gallipoli, che fascino il blu del mare che si intreccia con il bianco della pietra. Il Gargano, il Salento, due mondi diversi. Da qui non andiamo mai via senza l’immancabile “souvenir”: un paio di chiletti che proviamo a nascondere sotto la maglietta»

 

«Quando penso alla Puglia, sorrido: è più forte di me, amo questa terra; per dirne una: Bea, mia moglie, altoatesina, per il nostro viaggio di nozze ha voluto che venissimo anche in Puglia. Quest’estate, poi, dieci giorni di relax assoluto? Savelletri, non si batte…». Red Canzian, bassista della formazione musicale più amata del pop italiano, i Pooh, conferma tutto il suo amore per la Puglia. Come i suoi colleghi, il tastierista Roby Facchinetti, e il chitarrista Dodi Battaglia.

A sette anni di distanza dal loro ultimo tour, i Pooh tornano in Puglia, al Palaflorio di Bari, mercoledì 18 e giovedì 19 ottobre, con “Amici per sempre live 2023”. In odore di “nozze di diamante”, avendo debuttato nel lontano ‘66, tornano con Riccardo Fogli. Con loro, sul palco, anche Phil Mer (batteria) e Danilo Ballo (tastiere).

La Puglia nel cuore, Canzian prosegue. «L’emozione dei colori, l’armonia, le pietre bianche, i paesaggi e i borghi, i trulli: se vai sul Lungomare di Bari o su quello di Taranto, a Gallipoli, resti affascinato dal blu del mare che si intreccia con il bianco della pietra. Trovo che questa sia una terra baciata da Dio, lunga e stretta, cambia dal suo nord a sud: il Gargano al nord, il Salento al sud, due mondi diversi».

 

 

ERA ESTATE UN PO’ DI TEMPO FA…

Un concerto pugliese rimasto storico. «Estate ’79, Taranto, campo sportivo Mazzola – ricorda Battaglia – durante il concerto viene giù il diluvio, fuggi-fuggi generale e “live” recuperato il giorno successivo, con ingresso libero; una cosa buffa nonostante l’accesso fosse gratuito: i portoghesi del giorno prima, già che c’erano, scavalcarono daccapo con tanto di fune le mura di cinta del campo sportivo…».

Battaglia, cosa pensa quando viene da queste parti. «Al gemellaggio che la mia Emilia-Romagna ha con la Puglia: nella mia terra ci sono un sacco di pugliesi, studiano, lavorano, hanno messo su famiglia; in questo interscambio, molti artisti emiliani – fra questi, il sottoscritto e mio “fratello” Vasco… – hanno intrecciato vere liason con questo territorio: io con Bitonto, Rossi con Castellaneta Marina e via discorrendo. Poi, per dirla tutta, non andiamo mai via dalla Puglia senza l’immancabile “souvenir”: un paio di chiletti che tutte le volte proviamo a nascondere sotto la maglietta, perché qui si mangia così bene che ci facciamo prendere la…forchetta».

Torniamo a Canzian. Starvene lontani sette anni, gli uni dagli altri, che effetto vi ha fatto? «Ci siamo ritrovati meglio di come ci eravamo lasciati – spiega il bassista – ma con la grande voglia di tornare insieme, di capirci, anche grazie al fatto che, forse, avevamo scaricato cinquant’anni di lavoro, tensioni, preoccupazioni, avendo quattro caratteri da far combaciare: poi ci sono cose nella vita che ti fanno capire che i problemi sono altri; quando ti lascia uno come Stefano, anima pulsante della squadra, allora ti rendi conto che certe cose possono essere rilette, riviste, rifatte. Ed eccoci qua. Dopo un’altra serie di impegni ci fermiamo, ma non attacchiamo con un altro tour. Stiamo pensando, piuttosto, a come festeggiare i sessant’anni, quello sì, ma una cosa per volta…».

 

 

CHI POTEVA IMMAGINARSELO!

Facchinetti, uno dei primissimi Pooh. Ve lo immaginavate nel lontano ’66, che nel 2023 avreste ancora riempito teatri, stadi? «La cosa che ci fa sorridere, oggi – orgoglioso il tastierista – è che siamo in classifica con “Parsifal”, un album di cinquant’anni fa: forse è accaduto ai Pink Floyd con una riedizione di “The dark side of the moon”…».

Maestro, con l’eccezione delle canzoni-manifesto, c’è in particolare un titolo fra gli altri? «In questo tour avevamo messo insieme canzoni per quattro ore e mezza – conclude Facchinetti – ma tenere il pubblico lì per tutto quel tempo diventava un autentico “sequestro di persona”; alla fine cantiamo per tre ore, non immaginate il dolore nel selezionare i brani: quindici, venti successi purtroppo sono rimasti a casa, fra questi “Per te qualcosa ancora”, “Pronto buongiorno è la sveglia”, “Dove sto domani”; un titolo fra gli altri? Da autore: “Parsifal”, cinquant’anni portati alla grande, poi “La donna del mio amico”, una delle perle di Stefano, che insieme a Valerio Negrini, l’altro indimenticato autore dei Pooh, riusciva a parlare dello stesso argomento, l’amore, sempre da angolazioni diverse».

Puglia, roba da vip!

Ospiti Isabella Ferrari, Elisabetta Canalis e Can Yaman

E poi Facchinetti, Canzian e Battaglia con il “sold out” per due giorni a Bar. C’è chi sceglie Martina, chi Ostuni, chi Bitonto. Ma hanno il loro fascino anche altri angoli della regione Medaglia d’oro per il turismo 2023

 

La Puglia non finisce mai di stupire e interessare turisti di tutto il mondo. Non solo, da anni è diventata grande attrattore di celebrità e vip, con le sue bellezze che non hanno eguali. Parola, anzi, parole di riviste importanti con appeal in tutto il mondo.

La Puglia, ormai, è sempre più impegnata ad ospitare set cinematografici e televisivi per attori e attrici, e diventare fonte di ispirazione per i libri fotografici con protagoniste le più affascinanti fotomodelle provenienti da tutto il modo.

Nei giorni scorsi, per esempio, è stata la volta di Elisabetta Canalis, soggetto di un lungo servizio fotografico che la ritrae tra gli ulivi e i trulli nel circondario di Ostuni. Una sessione che, però, ha lasciato spazio anche ad alcuni peccati di gola, come – dicono le cronache – di dolci locali.

In Puglia è appena stato anche il modello e attore turco Can Yaman, che nei giorni scorsi è stato ospite a Bari ad un evento benefico organizzato dalla Fondazione Megamark. “Sono in viaggio per una bella serata”, aveva riportato sul suo personale social l’artista annunciando il suo arrivo nel capoluogo pugliese. In effetti, cosa c’è di più bello che prestare la propria immagine per fare solidarietà e descrivere a pubblico e media presenti i propri progetti di beneficenza.

 

 

LA FERRARI IN PUGLIA

E ancora, sempre in Puglia, la cena dell’attrice Isabella Ferrari a Taranto per girare uno dei suoi ultimi lungometraggi. L’attrice che si rivelò con “Sapore di mare” è stata fotografata nel ristorante “La Vela” di Torre a Mare. Un post del ristorante la ritrae insieme a uno dei proprietari con i ringraziamenti di prammatica sui social per la cortesia e, ovviamente, per aver scelto la Puglia e questo angolo della regione. “E’ stato un onore – ha scritto uno dei titolari – avere come ospite la bellissima attrice Isabella Ferrari. La sua presenza ha reso la nostra serata ancora più speciale.

Grazie per aver scelto di cenare con noi, Isabella!”. lsabella Ferrari, inoltre, ha fatto tappa a Martina Franca come turista d’eccezione, accompagnata dall’assessore alle Attività Culturali e allo Spettacolo, Carlo Dilonardo, nella visita al centro storico e al Palazzo Ducale. A fine visita, parole di apprezzamento per Martina, che ha ricambiato con un augurio di un grande successo per la fiction televisiva le cui riprese si stanno svolgendo a Taranto.

In questi giorni, in Puglia, anche i Pooh. Per lavoro, per due concerti al Palaflorio di Bari, ma anche in giro per la regione nei loro momenti di pausa. Facchinetti, voce e tastiere della formazione musicale italiana più amata, appassionato della cucina locale, matto per fave e cicorie e risotto a frutti di mare.

 

 

FACCHINETTI & CO.

E’ stato ospite di uno dei ristoranti più accoglienti di Bari vecchia. Ne farebbe scorpacciate, giura solennemente. Sulla stessa lunghezza d’onda Dodi Battaglia, che non appena ha avuto tempo a disposizione, ha raggiunto i suoi amici a Bitonto, dove si reca spesso per gustare i piaceri della tavola. Red Canzian non ha fatto in tempo, data la distanza da Bari, per recarsi a Savelletri dove il mese scorso è stato in relax per una decina di giorni. Sarà nei prossimi giorni.

La Puglia è Medaglia d’oro per il turismo. Regione fra le più affascinanti d’Italia, conosciuta per le sue bellezze naturali e paesaggistiche, ma anche per il suo patrimonio storico e culturale. Si è affermata negli ultimi anni come regione Medaglia d’oro del 2023 raggiungendo un primato italiano.

Aumentano di anno in anno i visitatori che scelgono la Puglia come regione per trascorrere le vacanze soprattutto estive. Proprio ad agosto infatti si è aggiudicata questo prestigioso riconoscimento per le sue bellezze naturali, ma anche artistiche e culturali.

Lucano, cadono le accuse

In appello per l’ex sindaco di Riace cancellata la richiesta di tredici anni

Aveva impiegato le risorse economiche previste dallo Sprar per l’accoglienza di extracomunitari. Fra le accuse: aver brigato per far ottenere la cittadinanza italiana ad una donna nigeriana senza permesso di soggiorno. E di aver affidato la raccolta dei rifiuti urbani a due cooperative. I giudici inoltre, hanno, ridotto le condanne a carico di diciassette collaboratori del primo cittadino poi destituito

 

«Posso aver sbagliato, ma ho agito per aiutare i più deboli». Domenico “Mimmo” Lucano, ex sindaco di Riace, condannato a un anno e sei mesi con pena sospesa, lo ha deciso la Corte d’Appello di Reggio Calabria. Una sacrosanta rivincita, tanto che è bene ricordare che l’amministratore del comune calabrese in primo grado era stato condannato a tredici anni e due mesi, con una Procura generale che nella stessa occasione aveva chiesto per Lucano una condanna pesante (dieci anni e cinque mesi). I giudici, evidentemente, hanno deciso diversamente.

Lucano, che era stato condannato solo per “abuso d’ufficio”, ha preferito attendere la sentenza del processo a casa. Una sentenza che ha avuto un epilogo dopo sei ore di Camera di consiglio. Ovviamente, quei sostenitori che avevano voluto seguire la sentenza in aula, hanno festeggiato la sentenza, dentro e fuori dall’aula.

La sentenza, dunque, può considerarsi qualcosa di simile all’assoluzione. La Camera di consiglio ha sostanzialmente la decisione del Tribunale di Locri che due anni fa aveva condannato l’ex sindaco a tredici anni e quattro mesi, dopo l’inchiesta sul «modello Riace».

 

 

IMPUTAZIONI SMONTATE

Cadute, di fatto, tutte le imputazioni: dall’associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina, al peculato, alla truffa aggravata ai danni dello Stato. In un primo momento era stato chiesto per Mimmo Lucano qualcosa come dieci anni e cinque mesi di reclusione. Fra le altre accuse: aver brigato per far ottenere la cittadinanza italiana ad una donna nigeriana senza permesso di soggiorno. E di aver affidato senza gara d’appalto la raccolta dei rifiuti urbani a due cooperative.

Con l’ex primo cittadino rispondevano anche suoi collaboratori (diciassette), indagati per la gestione del sistema di accoglienza fondato, secondo l’accusa, utilizzando i fondi destinati all’accoglienza dei migranti, per trarre personali vantaggi economici. Non solo, gli imputati, in testa Lucano, avrebbero dovuto rispondere, a vario titolo, di “associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

Nel dibattimento d’Appello, i difensori di Mimmo Lucano, avevano affermato che la posizione dell’ex primo cittadino fosse una “innocenza documentalmente provata” poiché “era in linea con quanto riportato nei manuali Sprar circa accoglienza e integrazione”. Secondo i legali di Lucano, non c’è una sola emergenza dibattimentale, comprese le intercettazioni, dalla quale si evinca che il fine che ha mosso l’agire dell’ex sindaco di Riace fosse diverso.

 

 

«C’ERA GENTE DA AIUTARE!»

A Lucano era stato contestato un ammanco di oltre settecentomila euro di finanziamenti dello Sprar, per i richiedenti asilo e rifugiati che, secondo i giudici di primo grado, sarebbero stati spesi illegittimamente. Il verdetto d’appello ha sostanzialmente smontato l’accusa.

Giuliano Pisapia e Andrea Dacqua, difensori di Mimmo Lucano, avevano indicato nelle tesi accusatorie una sorta di «accanimento non terapeutico». Pisapia, ex sindaco di Milano, nella sua arringa aveva puntato sulla personalità di Lucano. «In tutta la sua vita – aveva sottolineato il legale – ha sempre fatto quello che serviva agli altri e non quello che serviva a se stesso».

Sempre nel suo intervento, Pisapia ha insistito sulla sparizione dei soldi: «Falcone, tra le tante cose, diceva di seguire i soldi, seguite i soldi di Lucano e non li troverete: come si fa, inoltre, a dire che ha fatto quello che ha fatto per motivi politici? Non c’è dolo e manca la consapevolezza e la volontà di un vantaggio economico». Infine, una volta ascoltata la sentenza, ancora Pisapia ha tenuto a sottolineare che «questa sentenza è importante, soprattutto alla luce degli ultimi avvenimenti: un conto è la giustizia, un conto è la politica».Infine, i giudici d’Appello hanno ridotto le condanne a carico di diciassette collaboratori di Lucano.

«In classe con un nero, mai!»

Bari, scuola elementare, abbandonano l’aula in quattro

«Genitori con bassa scolarizzazione. Cosa volete che ne sappiano i loro figlioli di razzismo o colore della pelle: dovremmo imparare da loro», dice il dirigente scolastico dell’istituto comprensivo Gerardo Macchitelli. «Ho firmato il nullaosta perché gli alunni fossero trasferiti altrove, per contro altri genitori sono tornati indietro sulle loro decisioni». L’intervento del Garante per i minori

 

«Mio figlio non può stare in classe con un nero!». La frase, detta con tono dispregiativo, sarebbe di una mamma barese che, insieme ad altri genitori, trova inadatta alla sensibilità del proprio figliolo una classe dell’istituto “Duse” di Bari.

Detta così sembra la solita provocazione. Una “fake” per realizzare like e catturare follower, comunque aprire un dibattito. Purtroppo è vera, non sacrosanta evidentemente. Domanda dell’uomo della strada, e chi sennò: «Possibile che nel Terzo millennio, in un Paese che ha trasferito milioni di connazionali all’estero, dagli Stati Uniti all’Argentina, nella lontana Australia, possa esserci qualcuno che non solo pensa, ma fa simili ragionamenti?». La risposta, purtroppo, è «Sì, è possibile».

Cose dell’altro mondo, direbbe qualcuno. “Altro mondo” che? Ci verrebbe da rispondere. Tutto questo è accaduto qui, in Puglia, a Bari. Lo racconta, con puntualità, dovizia di particolari, perfino andando a sentire il dirigente scolastico, l’edizione pugliese di Repubblica. L’accaduto risale all’inizio dell’anno scolastico. Alcune famiglie non soddisfatte della distribuzione dei propri figlioli nelle classi, si sono lamentano con il dirigente. Motivo?  «Troppi stranieri in classe!».

 

 

IN CHE MONDO VIVIAMO?

Della serie, «Va bene l’accoglienza, ma il troppo è troppo!». I genitori di quattro bambini della scuola primaria Don Bosco, che rientra nell’istituto comprensivo “Duse”, alla fine sono stati accontentati. L’hanno spuntata: le famiglie hanno ottenuto ciò che chiedevano, cioè il nullaosta per iscrivere i ragazzi in un’altra scuola, evidentemente di “visi pallidi”. Non diamo solo la colpa ai genitori, facciamo molta attenzione. Certo, l’educazione la impartiscono papà e la mamma, secondo una propria cultura, gli studi nei quali dovrebbe esserci una seppur modesta quota di educazione civica. Ai genitori saranno stati gli stessi piccoli a far notare la presenza di «Troppi neri!». Questione di cultura, l’ambiente nel quale questi ragazzini vivono, la tv che papà e mamma ascoltano. Così, secondo un punto di vista risibile, i bianchi con i bianchi, i neri con i neri, alla faccia della globalizzazione e dell’inserimento culturale.

Quattro alunni, quattro famiglie accontentate. Le richieste pare fossero di più, nonostante la scuola si trovi nel quartiere Libertà di Bari, uno dei più multietnici, tanto che quasi la metà dei ragazzi che frequentano la primaria non ha origine italiana, nonostante siano nati tutti a Bari. Lo spiega Gerardo Macchitelli a Repubblica. «Sono quasi tutti di qui», altro che l’adagio «A Bari nessuno è straniero».

 

 

BAMBINI, ESEMPIO PER I GRANDI

Macchitelli proprio non si capacita, tanto che spiega al cronista. «Pensa che a questi alunni importi qualcosa se l’altro ha pelle, i capelli, tratti somatici differenti?», dice il dirigente indicando i bambini che giocano in cortile. Dopo il primo giorno di scuola, invece, queste famiglie, evidentemente di bassa scolarizzazione, hanno richiesto il trasferimento in altra classe. «Oggi le iscrizioni – spiega Macchitelli – avvengono online, con gli stranieri che le fanno mediante Caf, quando non hanno a casa una connessione con internet. Insomma, la formazione delle classi, va tutto bene fino a quando i genitori non le vedono il primo giorno di scuola, quando la maestra le accoglie e chiama a sé gli alunni».

Così è accaduto nella scuola barese. «Alla vista di bambini stranieri, molte famiglie mi hanno chiesto il cambio classe. Inizialmente avevano nascosto la motivazione, fino a quando poi è venuto fuori che era proprio per la presenza di stranieri a trovare il disaccordo dei genitori».

 

 

«BUONA FORTUNA!»

I quattro nullaosta sono stati firmati il mese scorso, ma altri genitori – evidentemente consapevoli di essere stati di pessimo esempio per i propri figlioli – hanno ritirato le loro domande. Nessuna spiegazione agli alunni della classe interessata su che fine avessero fatto quattro dei loro compagni.

Massima vicinanza al dirigente scolastico anche da parte del Garante per i minori in Puglia. «Bene ha fatto – riporta una nota a firma di Ludovico Abbaticchio – ad essere fermo e deciso nel dire di no a simili richieste: queste famiglie dovrebbero tornare a scuola e imparare il valore del rispetto della persona, delle religioni e del vivere civile». Sempre l’uomo della strada, rimasto ad ascoltare, meglio, a leggere della vicenda, si pone una domanda che forse le vale tutte: «Fosse successo a parti inverse, se nella classe fossero stati tutti ragazzini neri e quattro bianchi, e i genitori dei primi non li avessero voluti, come sarebbe andata a finire». Risposta semplice: interpellanza parlamentare, statene certi.

Un’altra guerra!

Conflitto fra Israele e Palestina

Bocche di fuoco provocano migliaia di vittime fra i civili. Sparare, offendere, uccidere sembra sia l’unico modo per “spiegarsi” al nemico. Ancora vivo e drammatico il conflitto fra Russia e Ucraina, ecco un altro braccio di ferro insanguinato. Le agenzie non smettono di aggiornare, i giornali locali informano, spiega, fanno “parlare” i corregionali. Salentini rientrati con un volo militare

 

Non se ne esce più. Una guerra tira l’altra. Le bocche di fuoco che provocano, a migliaia, vittime fra i civili sembra siano ormai le uniche ad essere deputate a “spiegarsi” al nemico. Ancora vivo e drammatico il conflitto fra Russia e Ucraina, che ha perso ben novantamila uomini, numero preoccupante considerando la forza militare dello Stato governato da Zelensky.

Ecco il secondo conflitto, fra Israele e Palestina. Maturato sul finire della scorsa settimana. Era nell’aria, dicono gli esperti. Domanda dell’uomo della strada: possibile che nessuno abbia fatto qualcosa per evitare questo scontro frontale? Evidentemente, secondo qualcuno, doveva andare così. E se i governi non intervengono a far ragionare i due governi in conflitto, ecco che arriva stridente l’intervento di Biden, il presidente degli Stati Uniti che, invece di gettare acqua sul fuoco, suggerire un tavolo di trattative, si lascia andare ad un secco: “Saremo al fianco dell’esercito di Israele al quale non faremo mancare il nostro sostegno!”. Ecco, non acqua, ma benzina sul fuoco. Conta il principio, non gli esseri umani in fuga, fra questi donne e bambini. Presi in ostaggio, usati come scudi umani.

 

 

UN BRUTTO AFFARE

E’ un brutto affare, scriveva l’agenzia Ansa giorni fa. “A testimoniare la forza dello scontro in atto parlano le cifre: in Israele le vittime dei raid di Hamas, comprese quelle del terribile massacro del rave party israeliano alla frontiera, sono arrivate ad oltre 700; dei circa 2.500 feriti, molti sono gravi, e all’appello mancano ancora in centinaia: Tel Aviv e Gerusalemme appaiano città fantasma, con la popolazione barricata in casa dopo la pioggia di razzi di sabato scorso”.

L’Israele appare un Paese che sta chiudendo. Le compagnie aeree stanno cancellando i voli “da” e “per” l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Molti turisti, non solo italiani, sono rimasti bloccati. Sull’altro versante, parliamo di Gaza, i morti sotto gli attacchi dell’aviazione israeliana sono arrivati ad oltre i quattrocento tra civili e miliziani, con duemilatrecento feriti. Secondo un portavoce militare, a 48 ore dall’attacco, le forze di Hamas resterebbero ancora in territorio israeliano.

I social sono stati seppelliti da richieste di aiuto. Immediata la reazione di Netanyahu che ha nominato un generale in pensione “coordinatore per i prigionieri e i dispersi”. Il compito del militare è quello di occuparsi della vicenda con pieni poteri, mentre l’esercito ha creato una Unità di crisi per cercare di rintracciarli. Complicato reagire, accennare una minima mossa quando in ballo ci sono oltre cento ostaggi in mano nemica.

 

 

UN APPELLO “PUGLIESE”

Fino a poche ore fa erano in molti i pugliesi ad attendere risposte certe dalla Farnesina, l’Unità di crisi attiva per soccorrere in caso di necessità gli italiani presenti nelle zone nevralgiche della guerra. Non è un mistero che anche in Italia siano salite tensione e preoccupazione. Tanti fino a poche ore fa erano gli italiani bloccati nell’aeroporto di Tel Aviv, in attesa di voli che li riconducessero in Italia. Tra i tanti, l’appello di un gruppo di pugliesi che arrivano dal Salento. Ne scrive la Gazzetta del Mezzogiorno, che aggiorna attraverso il suo sito – non solo sul cartaceo – le notizie provenienti dalle zone calde con particolare attenzione rivolta ai propri corregionali. Raccogliendo le segnalazioni di molti pugliesi, il quotidiano con sede a Bari, riportava le perplessità dei propri lettori che si ponevano più di una domanda. A cominciare dal “perché altri Paesi, come la Polonia, stanno rimpatriando i propri connazionali e pare che non accada lo stesso per l’Italia?”. Mentre, in tempo reale, si cerca di fornire risposte a riflessioni sacrosante, ecco che arriva una buona notizia: quattro salentini sono ripartiti per casa con un aereo militare con scalo a Milano.

 

 

«PERCHE’ GLI ALTRI SI’…?»

Arrivano, dunque le prime risposte da parte del governo. Fino ad un paio di giorni fa, ripetiamo, gli interventi dei corregionali non erano accondiscendenti, la tensione la faceva da padrona. «Ci sentiamo abbandonati – scrivevano sui social – l’Italia venga a prenderci con un volo di Stato come sta facendo la Polonia; qui la situazione è terribile, con le bombe sulle nostre teste». A parlare è uno dei pugliesi in vacanza con altri tre italiani quando è scoppiata la guerra.

La Gazzetta riporta ancora. «Siamo in aeroporto ma stiamo andando via, l’ammassarsi di gente è inverosimile, ci saranno più di tremila persone nelle varie hall dell’aeroporto». La situazione è pericolosissima.  «Qui, in aeroporto – conclude il turista pugliese – potrebbe entrare un pazzo e compiere un disastro, non esistono controlli serrati in aeroporto, chiunque potrebbe superare i servizi di sorveglianza e far saltare il banco!».

Sorpresa! La Valle d’Itria

Come da consuetudine, i social scoprono e riscoprono il nostro territorio

Uno spettacolare lembo nel cuore della Puglia, tra le città di Bari, Brindisi e Taranto. Si estende tra le cittadine di Locorotondo, Cisternino e Martina Franca. Trulli, abitazioni in pietra a forma di cono, masserie e un suggestivo paesaggio rurale. E in estate, la Puglia, ha fatto registrare il pienone di turisti

 

Ancora oggi ci stupiamo che la gente si stupisca. E la cosa, che ha un che di sistematico, alla fine non ci dispiace nemmeno tanto. Per decenni completamente ignorati, in una vita fatta di social e comunicazioni, riviste e siti di ogni tipo, alla fine ci riempie ogni giorno d’orgoglio. Perché ogni giorno, a turno, quasi fosse un passaparola, questi strumenti di comunicazione ricampionano, “ricicciano” – come dicono i furbacchioni che prendono informazioni qua e là, senza indicare le fonti, che ci sembra il minimo sindacale – le informazioni sul nostro territorio, in questo caso il nostro entroterra. Dunque, non sorprendiamoci che anche l’ultimo cronista si imbatta in posti che non immaginava, dalla Valle d’Itria in poi. Insomma, il cuore verde della Puglia.

La Valle d’Itria, scriveva per esempio, in professionale reportage il Corsera, “adesso assomiglia a una immensa installazione di arte contemporanea”. Come non condividere una simile affermazione: tutto vero. Teli traforati sui quali si adagiano, descrive, le olive che cadono dai rami. All’interno del “territorio protetto dal parco delle Dune costiere di Ostuni sin sotto La Selva di Fasano, gli esemplari monumentali raggiungono i mille anni di età, come si evince dalla dimensione della circonferenza degli ulivi alla Masseria Brancati”, aggiunge.

 

 

SAN GIOVANNI, TORRE CANNE…

Anche attorno alla Masseria San Giovanni, non lontano da Torre Canne, e lungo il tragitto originale della Via Traiana, gli ulivi mostrano fusti longevi e si preparano alle settimane della raccolta. La Valle d’Itria non è altro che un lembo nel cuore della Puglia, tra le città di Bari, Brindisi e Taranto. Un territorio che coincide con la parte meridionale dell’altopiano delle Murge, e si estende tra le cittadine di Locorotondo, Cisternino e Martina Franca. La principale peculiarità della Valle, ne abbiamo scritto in più occasioni, sono i trulli, abitazioni in pietra a forma di cono, le masserie e il paesaggio rurale in genere caratterizzato dall’elevato uso della pietra locale utilizzata per costruire muri a secco e dal terreno di colore rosso acceso, tipico di questa porzione di Puglia.

Non è un caso che questa vasta area venga definita “Valle dei Trulli” che comprende le cittadine di Alberobello, Ceglie Messapica, Cisternino, Locorotondo, Martina Franca e altre contrade esistenti nel territorio di Ostuni al confine con Martina.

 

 

SUA ALTEZZA, MARTINA!

Quest’ultimo comune, fra gli altri, registra la massima altitudine (430 metri sul livello del mare) risultando anche il più popolato della Valle d’Itria, con Taranto, capoluogo di provincia più vicino e meglio collegato, distante una quarantina di chilometri da ogni comune.

Martina Franca, una scoperta che fa anche il Corsera, attraverso il suo puntuale reportage: la cittadina in provincia di Taranto, ha una flora che si compone di tratti di bosco e di macchia mediterranea, alternata a vigneti da cui si ricavano vini bianchi tra i quali il “Locorotondo” e “Martina Franca” DOC, proseguendo con oliveti secolari dai quali si produce olio di oliva extravergine. Da qui, inoltre, è possibile ammirare aree naturali come il Bosco delle Pianelle di Martina Franca e la Selva di Fasano.

La fauna è caratterizzata da volpi, ricci, pettirossi, falchi e diversi rapaci notturni, cinghiali, istrici, gatti selvatici, scoiattoli e daini; uccelli migratori di passaggio come cicogne bianche, gru, storni e tordi. Nonostante sia divisa tra Bari, Taranto e Brindisi, la Valle d’Itria presenta una notevole omogeneità culturale e antropica che si riflette anche nel dialetto.