Banfi colpisce ancora…

L’attore pugliese diventa testimonial di una campagna promossa dall’Arma dei carabinieri

Il Lino Nazionale conferma in pieno la sua grande umanità, mettendosi a disposizione degli anziani vittime di raggiri. Ospite della Masseria Don Cataldo insieme con Ron Moss (“Ridge” di Beautiful), durante le riprese del film “Viaggio a sorpresa” in tanti apprezzammo le sue doti di attore e di persona sensibile. Durante il lavoro, ma anche dopo i ciak, quando il regista stoppava i lavori

 

Lino Banfi è il nuovo testimonial della campagna di comunicazione promossa dall’Arma dei Carabinieri contro le truffe agli anziani. La scelta dell’attore pugliese, per tutti “Nonno Libero”, il nonno più amato d’Italia, viene motivata dall’esigenza e dal desiderio di avvicinarsi ancora di più agli anziani. Scopo principale, secondo le spiegazioni fornite dal comunicato diffuso dall’Arma dei carabinieri, trasmettere in modo immediato e allo stesso tempo efficace, consigli utili alla Terza età perché questa possa difendersi dai continui raggiri di cui, questa, è bersaglio. Specie nel periodo estivo, quando l’anziano viene isolato nel periodo delle vacanze estive. E’ proprio allora, che la gente in età diventa facilmente oggetto di raggiri da parte di malviventi senza scrupoli.

Insomma, Banfi, ottantotto anni, mai così sulla breccia, nemmeno quando era l’incontrastato re della commedia all’italiana. Tanto per intenderci, il comico pugliese è stato l’attore più ricercato da registi e produttori cinematografici nel periodo fra la stagione più bella del genere “all’italiana”, con Sordi, Gassman, Tognazzi e Manfredi su tutti, e la lunga serie di “cinepanettoni”, con Boldi e De Sica su tutti.

 

 

RE DEI BOTTEGHINI…

Banfi era l’incontrastato re dei botteghini, che recitasse da preside o professore un po’ strapazzato, ora da Gloria Guida, ora da Edwige Fenech, con le incursioni delle più belle che brave Nadia Cassini e Barbara Bouchet.

Banfi dopo aver coronato il suo sogno di attore al cinema, aveva virato alla conduzione, alle ospitate in tv, da Mediaset (contratto principesco) alla Rai, per vivere una seconda stagione di successi in qualità di protagonista di sceneggiati e film per la tv. Fra tutti, la serie di “Nonno Libero”. In realtà nata come “Un medico in famiglia”, oscurata dalla popolarità e, naturalmente, dalla bravura dell’attore che in qualche occasione non ha disdegnato di misurarsi con personaggi “seri”, qualche volta dai toni drammatici.

Banfi, e lo diciamo con un pizzico di orgoglio, abbiamo avuto modo di conoscerlo da vicino. La casa di produzione del film “Viaggio a sorpresa”, del quale il Lino Nazionale è stato protagonista insieme con Ron Moss (il Ridge di “Beautiful”), volle girare buona parte delle scene nella Masseria Don Cataldo di Martina Franca.

 

Banfi, ospite della Masseria Don Cataldo

 

MASSERIA DON CATALDO, COME A CASA…

Fu in quel periodo che apprezzammo anche le sue qualità umane, tanto da non stupirci affatto nell’apprendere che l’attore aveva dato disponibilità per realizzare una campagna pubblicitaria accanto all’Arma dei carabinieri in difesa delle fasce più deboli, nello specifico dei più anziani, molto spesso vittime di truffe e raggiri.

Nei contenuti che saranno diffusi sulle piattaforme social dell’Arma e sui media – conferma una nota dell’agenzia giornalistica Ansa – l’artista pugliese e il Comandante di stazione del quartiere in cui vive mettono in guardia gli spettatori dalle truffe. Nel corso del “botta e risposta” con il suo comandante di stazione, Banfi, con l’inconfondibile stile che lo contraddistingue, racconta di alcuni suoi conoscenti che hanno subito truffe, per poi cedere la scena al maresciallo dell’Arma che esorta il pubblico all’ascolto a prestare massima attenzione alla comunicazione ed a rivolgersi con fiducia ai carabinieri chiamando formulando il 112.

 

Masseria Don Cataldo – Una pausa delle riprese di “Viaggio a sorpresa”

 

“112” E “CARABINIERI.IT

Il contributo video si conclude con l’invito, per chi potesse farlo, avesse una certa dimestichezza con i social, a consultare il sito Carabinieri.it . Nel sito, infatti, sono illustrate le principali tipologie di truffe e come riconoscerle. Le tecniche adottate dai truffatori, infatti, per quanto subdole e fantasiose, hanno schemi ricorrenti: individuarli è il primo passo per difendersi. Un invito, perché no, anche ai parenti più stretti, nel non perdere di vista i propri congiunti che hanno superato gli “anta”. Avere un po’ di pazienza, perché tante volte l’anziano non ammette la sua vulnerabilità, tantomeno a confessare un episodio del quale è stato vittima. Parlarne, infatti, anche a cose avvenute, può evitare che altri anziani subiscano gli stessi torti allertando così le Forze dell’ordine.

Oltre a questa iniziativa, è stata realizzata una locandina che sarà affissa in tutte le caserme, nelle parrocchie e nei luoghi di ritrovo degli anziani, e un opuscolo pieghevole da distribuire ai cittadini.

Cari, carissimi italiani…

E’ cominciata l’estate più costosa degli ultimi cinquant’anni

Codacons impietoso. Tutto aumentato, fino al 30%. Utenze e benzina per prime, poi tariffe autostradali e alberghi. I ragazzi preferiscono le case-vacanza. Ma due italiani su tre, nonostante pagheranno duecento euro in più a testa, sono già in auto, in fila. Ma dopo la pandemia non dovevamo essere tutti più buoni?

Foto 24Emilia.com

Foto 24Emilia.com

Le vacanze di quest’anno sono le più care degli ultimi cinquant’anni. Due italiani su tre partiranno nonostante i prezzi. Gli italiani spenderanno fino a duecento euro in più a testa: dai trasporti ai pernottamenti. Eppure. Eppure, ricordate il primo, il buonista, che diceva “Dopo la pandemia diventeremo tutti più buoni”; l’altro, il pragmatico, “Dici? Non conosci gli italiani!”.

Così è stato. Avremmo voluto dare ragione al primo: hai visto mai, l’italiano cambia modalità e dopo la paura da covid diventa più malleabile, più disposto nei confronti del prossimo. Invece, ha ragione il senso del pratico: gli italiani sono furbi, la politica rispecchia il carattere dell’italiano medio: moralizza, poi per non perdere la poltrona, da un lato promette massima attenzione nei confronti di quanti applicano aumenti indiscriminati a qualsiasi livello: benzina, luce, gas, perfino autostrada. Lavorare, recarsi al posto di lavoro in auto, oggi ha un costo superiore alla media europea. Non esistono collegamenti, così ti tocca l’auto, a condizioni esagerate ovviamente.

Ma non allontaniamoci troppo dall’argomento principale posto in modo impietoso dal Codacons, il coordinamento per gli utenti e i consumatori, e ripreso in un ampio e dettagliato servizio dal TgCom24.

Queste vacanze estive passeranno alla storia come le più care degli ultimi cinquant’anni. Secondo il Codacons si registrano aumenti: dagli spostamenti tra aerei, traghetti e carburanti. Per i voli nazionali si registra un aumento di 1/3 in più rispetto allo scorso anno, mentre le tariffe dei voli internazionali sono raddoppiate. La benzina costa circa il 30% in più rispetto allo scorso anno. Volendo fare un calcolo approssimativo: per andare in ferie ogni persona spenderà circa 200 euro in più. Ma, attenzione, è sicura anche un’altra cosa: due italiani su tre partiranno comunque.

Foto Leoniblog

Foto Leoniblog

OMBRELLONI, PIU’ 75 EURO

Una vacanza di dieci giorni, in base alle stime del Codacons, quest’anno costerà tra il 15% e il 20% in più rispetto allo scorso anno, considerando le spese per spostamenti, pernottamenti, cibi e servizi. Lo scorso anno la spesa pro-capite era di 996euro a persona; oggi è attestata su 1.195euro, con un incremento di spesa che potrebbe raggiungere circa duecento euro a testa. Conto più salato per chi trascorrerà le vacanze all’estero.

L’Istat, intanto, registra rincari fino a tre cifre per il comparto turistico iniziando dagli spostamenti. Il Codacons sostiene che: chi deciderà di partire per la villeggiatura dovrà mettere in conto aumenti inattesi per aerei, traghetti e carburanti. I voli nazionali costano un terzo in più rispetto all’estate 2021 (+33,3%), mentre le tariffe dei voli internazionali sono più che raddoppiate, segnando percentuali record (+124,1%). Non andrà meglio a chi deciderà di muoversi in auto: in base agli ultimi dati “Mite” rielaborati dal Codacons, la benzina costa oggi in media il 27,7% in più rispetto allo scorso anno, il gasolio addirittura il 37% in più. Rincari che incideranno in modo pesante sulla spesa per il pieno, specie per chi percorrerà lunghe tratte e si sposterà dal nord al sud Italia.

Non solo. Si profilano a breve anche aumenti dei pedaggi autostradali che, secondo recenti indiscrezioni, potrebbero salire dell’1,5%. Sul fronte dei trasporti marittimi, i traghetti registrano aumenti del +18,7%, mentre diminuiscono le tariffe ferroviarie (-9,9% su base annua). Da segnalare infine rincari anche sul fronte dei servizi nautici: imbarcazioni, motori fuoribordo ed equipaggiamento per imbarcazioni costano il 14,7% in più.

Foto Orticaweb

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NOTTI MAGICHE?

Le strutture ricettive, rendiconta Codacons, hanno applicato rincari elevatissimi: in albergo, motel e pensioni si pagherà in media il 21,4% in più rispetto allo scorso anno. Il mare resta la meta preferita degli italiani, forse perché considerata la meno costosa. Almeno sulla carta. Sono pronti a partire due italiani su tre. Mete preferite Puglia e Sicilia. I giovani con meno di trentacinque anni prediligono di gran lunga la casa-vacanze rispetto all’albergo. La metà degli italiani percorrerà un media di cinquecento chilometri per raggiungere la destinazione. Due italiani su tre, si diceva, partiranno nonostante l’emergenza pandemia non sia ancora finita e, a questa, si siano aggiunti i temi della guerra e del caro-vita, oltre alla siccità. Due estati fa solo un italiano su due aveva deciso di partire comunque.

Altra voce che registra aumenti pesanti è quella relativa all’alimentazione, “voce” indispensabile durante le vacanze: bar e ristoranti hanno ritoccato i listini. I bar del +4,6%, mentre i generi alimentari una media il 9,1%. Musei, parchi e giardini “costeranno” invece il 3,2% in più, mentre andare a cinema, teatro o concerti costerà il 2,3% in più. E per finire: nota dolente. Gli stabilimenti balneari: in base alle stime del Codacons, hanno applicato sul territorio rincari medi tra il 5% e il 15%, a seconda della località e della tipologia di struttura.

Joof, fine di un sogno

Aveva trentacinque anni, è morto in una baracca a causa di un incendio

Ancora una vittima nel Foggiano. Salgono a dieci negli ultimi sei anni le vittime di quanti si rifugiano nella periferia. Impegnato nei campi, viveva fra quattro lamiere. «Fuggito da San Severo, a causa del “decreto Salvini”: non potendo rinnovare il permesso di soggiorno si è accampato nel ghetto», dice un sindacalista

«Sono fuggito dal mio Paese per fare una vita meno sofferta, fare un po’ di fortuna e far “salire” i miei familiari». Ci sembra di sentirlo, Joof Yusupha, trentacinquenne gambiano, morto nei giorni scorsi a Rignano Garganico a causa di un incendio che ha distrutto due baracche, incollate da uno sputo in quell’insediamento spontaneo di migranti ribattezzato “Torre Antonacci” (nelle campagne tra San Severo e Rignano Garganico). Rimasto intrappolato in una delle baracche esistenti, il corpo del giovane è stato rinvenuto carbonizzato. Joof, fine di un sogno.

Non è il primo episodio che si registra in Puglia, il decimo in provincia di Foggia nel giro di qualche anno. In quella cittadina ai bordi della Capitanata, dove spesso sentiamo storie di sfruttamento e intimidazioni malavitose, vivono migranti impiegati prevalentemente nei campi agricoli.

«E adesso chi glielo dirà ai suoi parenti?», diceva un suo compagno, anche lui accampato in quella baraccopoli provvisoria che non ha nemmeno lontanamente a che fare con una abitazione civile. Il giovane riflette a voce alta, a pochi metri da lui i vigili del fuoco e carabinieri. Distoglie lo sguardo dal corpo del suo compagno, una scena cui non si può assistere. Non si avvicina di più per prudenza, tante volte a qualcuno venisse in mente di chiedergli documenti e rispedirlo in patria, lo stesso Paese di Joof, il Gambia. Perché, come Joof, anche lui non ha i documenti in regola (nessun rinnovo del permesso di soggiorno a causa del cosiddetto “decreto sicurezza”). Il terrore dell’espulsione li avevano di fatto allontanati dalla città, spedendoli in periferia dove i controlli non sono così stringenti.

Foto: Rai

Foto: Rai

DAL GAMBIA ALLA BARACCA

In Gambia, il Paese dello sfortunato ragazzo morto nella baraccopoli, c’è ancora confusione politica. Regime totalitario per anni, poi elezioni che sovvertono il governo. Atto di forza del dittatore per riguadagnare il suo posto, infine un intervento militare che pone fine a disegni bellicosi. Ora, pare stiano un po’ più sereni, ma la fame, la mancanza di lavoro si avverte tutta, non c’è niente da fare. E allora, tanti Joof fuggono, si imbarcano, sperano di ritagliarsi uno straccio di vita.

Intanto, il connazionale di Joof, impegnato con lavori saltuari nei campi, in un colpo solo ha perso il suo amico e collega, e il giaciglio esposto ai quaranta gradi di una canicola estiva che in Puglia, proprio a Foggia, non conosce soste. Non facesse così caldo, scriveremmo che piove sul bagnato.

Le fiamme sarebbero state di natura accidentale. L’incendio potrebbe essere divampato a seguito di un corto circuito o a causa del malfunzionamento di una cucina di fortuna allestita nelle baracche.

Il superstite gambiano racconta ai primi giornalisti intervenuti sul posto cosa potrebbe essere accaduto. «Abbiamo aiutato noi a spegnere le fiamme – dice – nessuno di noi sapeva che nella baracca ci fosse il povero Joof: si sono accorti della sua presenza, il corpo carbonizzato, quando sono entrati alla ricerca di documenti». «Il mio connazionale – aggiunge – ha sempre vissuto nella baracca distrutta dall’incendio, come me lavorava tutti i giorni nei campi».

Foto: Il Messaggero

Foto: Il Messaggero

E’ BELLO ESSERE FELICI…

E pensare che un immigrato aveva inciso la frase “E’ bello essere felici” (“Is good to be happy”). Invece ecco l’ennesimo incendio nei ghetti della Capitanata, un altro morto nel giro degli ultimi sei anni. Due nel 2017, sempre a “Torretta Antonacci”; altri quattro tra il 2018 e il 2020 nel ghetto di “Borgo Mezzanone”, tra Foggia e Manfredonia; uno nel 2016 nel “Ghetto dei Bulgari” (in località “Pescia”); l’ultimo episodio, prima della morte di Joof, lo scorso 17 dicembre quando nel rogo della loro baracca nel ghetto di Stornara, muoiono due fratellini rom bulgari di quattro e due anni.

L’ultimo incendio assassino in piena notte, alle 4. Due le baracche interessate, dove vivevano in quattro, ma solo Joof è rimasto coinvolto. A rinvenirne il corpo fra quelle pareti di lamiera, si diceva, i vigili del fuoco.

Infine, la denuncia di Daniele Iacovelli, segretario provinciale della Flai-Cgil da tanti anni accanto a questi lavoratori. «Joof viveva a San Severo, poi a causa del “decreto Salvini” non è riuscito più a rinnovare il permesso di soggiorno ed è dovuto venire a vivere al ghetto in una baracca di lamiere. Ma come si fa a dormire là dentro con 40 gradi?».

Pasqua di riconciliazione

L’abbraccio cattolico al mondo intero

Pace per le persone e i popoli tormentati da violenze e ingiustizie. Il dolore causato dai conflitti in Medio Oriente, Africa e altri Paesi, i cristiani perseguitati, i migranti e i rifugiati, gli anziani che perdono la gioia di vivere. Un pensiero rivolto dalla Chiesa all’immensa sciagura di lunedì scorso, Notre-Dame de Paris.

Riconciliazione e pace a popoli e persone tormentati da violenze e ingiustizie. E’ il pensiero cristiano rivolto a tutto il mondo, non solo a quello cattolico. Lo ricorda e lo ha ricordato spesso Papa Francesco. E il suo pensiero, come sempre, è per il dolore dei conflitti in Medio Oriente, Africa e altri Paesi; ai cristiani perseguitati, a anche migranti e rifugiati, e a quanti nelle nostre società perdono speranza e gioia di vivere, agli anziani sopraffatti dalla solitudine sentono venire meno le forze, ai giovani a cui sembra mancare il futuro.

Questo è il segno nel quale è necessario vivere la Santa Pasqua. La Risurrezione indica sentieri di speranza. Un abbraccio di amore fra popoli e culture nel bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente, favorendo la convivenza anche fra hanno visioni opposte, ma mai violente.

Tutto illuminato dalla notizia: «Gesù Cristo, incarnazione della misericordia di Dio, per amore è morto sulla croce e per amore è risorto. Di fronte ai vuoti spirituali e morali dell’umanità, di fronte a voragini che si aprono nei cuori e che provocano odio e morte, solo un’infinita misericordia può darci salvezza. Solo la preghiera può riempire col suo amore questi vuoti, questi abissi, e permetterci di non sprofondare ma di continuare a camminare insieme verso la Terra della libertà e della vita». Sono parole sulle quali spesso torna Papa Francesco, quando si rivolge a oltre un miliardo di cristiani e miliardi di fratelli di altre fedi, tutte unite nel professare amore e non violenza. E’ la Pasqua.

Si dice Pasqua, ma il pensiero non può che andare al pomeriggio di lunedì scorso. Notre-Dame de Paris, cade sotto gli occhi di tutti. C’è la tv, i grandi network che accendono i riflettori su una delle tragedie più immani della storia contemporanea. L’altra che ci viene in mente, naturalmente, ma per contenuti diversi, è il disastro dell’Undici Settembre. Il disastro è completo: si stacca la guglia e si abbatte al suolo con i suoi mille anni di storia. E’ finita. Il mondo, non solo quello Occidentale, partecipa a un dramma, alla caduta di un monumento “non solo cattolico”. Notre-Dame è un’opera d’arte, è un racconto, un dramma, è tanta Francia messa insieme. Una Francia che circola per il mondo con una bellezza da togliere il respiro.

Pasqua, Notre-Dame e il Mondo cattolico. È il «cuore spirituale» della Francia. Ma non «solo». è simbolo della storia della Chiesa. E dell’umanità. Monsignor Hyacinthe Destivelle OP, responsabile della sezione orientale del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, descrive così Notre Dame, distrutta dall’incendio. Uno choc per il mondo intero, a cominciare dalla Francia e anche dalla Santa Sede. La cattedrale parigina rappresenta «la bellezza» che il credo può creare, perciò il Prelato ha una speranza concreta: «Possa questa tragedia ricordarci la ricchezza che la fede cristiana è stata per i nostri Paesi e continuerà a essere». «È un’emozione drammatica immensa vedere bruciare Notre Dame: è il cuore spirituale della Francia. Esprime nelle sue pietre la fede delle persone che l’hanno costruita nel corso dei secoli. La sua bellezza ha anche dato la fede a migliaia di cristiani. Il suo mistero ha ispirato i più grandi autori, al punto tale da convertirsi».

«Sono nostri concittadini»

Rinaldo Melucci, sindaco di Taranto

Visita la comunità islamica. «Importante il confronto culture diverse. Giusto impegnarsi per questa gente. Chiunque abbia altri pensieri per la testa è fuori luogo». L’impegno dell’Amministrazione per trovare un luogo di culto più accogliente.

Il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, aveva fatto una promessa: fare visita alla comunità islamica presente in città. C’era stato un primo rinvio. Qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che il primo cittadino si stesse smarcando da un impegno assunto frettolosamente. Invece, l’altro giorno il sindaco ha fatto visita alla comunità islamica nel suo luogo di culto, la moschea in via Cavallotti. Ad attendere Melucci, l’imam Hissen Chiha, e decine di fedeli musulmani.

Sindaco, con questa sua visita ha sconfessato chi diceva che avrebbe declinato “a causa impegni improrogabili”. 

«Qualsiasi persona abbia una moderata intelligenza e sia moderatamente moderna, troverà sempre interessante confrontarsi con culture diverse; poi, francamente, non trovo nulla di sorprendente fare visita alla comunità islamica: sono nostri concittadini, dunque, al pari di come visitiamo i luoghi di culto cristiani, non vedo per quale motivo non si possa fare visita a una moschea; la novità, semmai, risiede nel fatto che è giusto impegnarsi per questa gente, queste famiglie: poco manca che si sbarchi su Marte; chiunque abbia altri pensieri per la testa, è fuori luogo; la nostra è un’Amministrazione del terzo millennio e quanti ho incontrato in questa occasione sono miei concittadini a tutti gli effetti, al pari del resto dei tarantini».

Foto articolo sindaco 6 - 1

Durante l’incontro ha piuttosto rilanciato: venite ad insegnarci l’arabo.

«In realtà sono più pragmatico, ho sulle mie spalle l’esperienza dell’imprenditore, dunque dico a questi nostri fratelli e concittadini di trovare insieme il modo – anche nello scambio culturale, religioso –  di fare attività produttiva, individuare interessi con i rispettivi Paesi d’origine; la provocazione “imparare insieme l’arabo” sottintende coinvolgere i sistemi di impresa, nostro e loro; come a dire: massima disponibilità e accoglienza nei confronti tutte le culture in cambio di una fattiva partecipazione alla crescita di questo territorio».

Dicono giri poco, sindaco, ma oggi ha incontrato volti conosciuti ai più, gente che sbarca il lunario impegnandosi nei mercati, per le strade della città, vendendo ombrelli, prodotti artigianali, chincaglierie.

«E’ vero, giro poco e qualcuno mi rimprovera per questo; giro poco, però, perché stiamo lavorando tanto; a questi ragazzi, come al resto dei giovani di questa città, chiedo di investire con coraggio sul territorio, nelle aziende, ovviamente nel rispetto delle regole, nella massima trasparenza: si può fare impresa, si può crescere insieme; è molto bello vederli qui, entusiasti – tarantini a tutti gli effetti, posso dirlo, sì? – vorrei perfino vederli allo stadio; lo dico con il sorriso, personalmente non ragiono con le categorie come magari fanno altri: giro poco in generale, ma valeva la pena far sentire a questi ragazzi la massima vicinanza nei giorni in cui, in tutto il mondo, c’è chi strumentalizza il colore della pelle, la religione; sono papà di tre bambini e quando vedo in tv filmati su quanto accade in Siria non posso far finta di niente, voltare la testa altrove; dunque, anche se giro poco, perché lavoro per la città, ho pensato fosse giunto il momento di manifestare vicinanza, dare calore a questi ragazzi».

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Sindaco, l’imam, oltre all’invito l’ha sensibilizzata nel trovare locali più accoglienti per una comunità, quella islamica, già numerosa per raccogliersi in preghiera. Lei ha accettato l’invito, forse con riserva.

«Nessuna riserva, invece: lo facciamo e basta, troveremo una collocazione più adeguata, ma servono i tempi, le risorse  per progettare in accordo con le loro esigenze, che poi sono al pari di altri cittadini; l’impegno è da considerarsi già in agenda, nessuna cautela; oggi è però importante metterci alle spalle il dissesto, chiudere le grandi vertenze industriali; a partire dal prossimo anno avremo una certa agibilità nella spesa pubblica: il compito di un ente pubblico non è fare profitto, ma restituire con il pareggio di bilancio i servizi ai cittadini».

Una provocazione, nella conversazione in moschea ha lanciato l’idea di istituire un Assessorato all’accoglienza e ai rapporti interculturali.

«Era una battuta. Molti mi dicono di essere poco attento alla carta d’identità, lo confermo: sono attento, infatti, esclusivamente alle competenze per il bene della mia comunità e dunque, da qui alla fine del mio percorso amministrativo, non escluderei che ci possa essere un primo assessore di passaporto non italiano».

«Picchiato senza motivo»

Dramane, ivoriano, venti anni

«Preso continuamente a botte in Libia. Ho attraversato il deserto, pregato il Cielo perché morissi. Studiavo, ma per sopravvivere trasportavo tufi. Poi l’imbarco su un gommone, bucato, tutti in mare, finalmente una nave italiana…»

«Ho attraversato il deserto, pensavo di morire; mi avevano detto che una volta in Libia sarebbe stato meglio, macché… E poi, il gommone sul quale viaggiavamo in più di cento, bucato, poche ore dopo tutti in mare…». Così comincia la storia di Dramane, venti anni, nella sua Costa d’Avorio studente finché ha potuto e artigiano per necessità. Ha molte cose da raccontare. Quei giorni in pieno deserto, in compagnia di se stesso, che ne hanno fatto un uomo. Appare quasi più grande dei suoi vent’anni, Dramane, tanto è serio. Nemmeno un sorriso quando racconta di settimane, mesi, citando a memoria la grande sofferenza. Fronte corrugata, sguardo pensieroso, una persona “vissuta”.

Come fosse una spugna, Dramane ha assorbito e fatto sue diverse esperienze. «Non è stato il viaggio che qualche mio connazionale – spiega il ventenne ivoriano – in contatto saltuariamente con amici sbarcati in Italia, mi raccontava; diceva: pochi giorni di strada, qualche sacrificio e sarei arrivato finalmente in Libia, Paese di fronte alla tanto desiderata Italia: quando sei qui, e su questo dò ragione a quel mio amico, puoi davvero tirare un sospiro di sollievo; una volta sbarcato, che resti in questo Paese, molto accogliente, o vada altrove, avverti forte la sensazione di essere salvo. Finalmente salvo».

«Salvo», è una parola. Dramane riflette su questo concetto. Per molti mesi in fuga, anche quando pensava che il più era fatto, come al suo arrivo in Libia. Ma andiamo per ordine, cominciamo da una data che un ragazzo così profondo, come vedremo, tiene scolpita nella sua memoria: 10 ottobre del 2016. «Lascio la Costa d’Avorio con il dolore nel cuore – racconta – in famiglia il clima non era più quello di un tempo, tutto cambiato, da quando mio padre aveva deciso di sposarsi per la seconda volta: il mio rapporto con la mia matrigna era vissuto sull’orlo di una crisi continua; litigavamo per ogni cosa, quasi io fossi un corpo estraneo, un peso per la famiglia; furono queste continue frizioni, anche in presenza di mio padre, a convincermi che era giunto il momento di assumere una decisione, andare via».

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GLI STUDI, LA FUGA DALLA COSTA D’AVORIO

Costa d’Avorio, situazione politica ed economica insostenibile. Specie per un ragazzo che ha davanti a sé tutta la vita. «Andavo a scuola, gli studi furono la prima cosa che la nuova compagna di mio padre mi impedì di proseguire; lasciai il mio genitore a malincuore, lo stesso i tre fratelli e soprattutto, mia madre con la quale mi vedevo spesso e oggi sento quando posso: non potevo più vivere in quel clima, non solo familiare, il mio Paese era diventato invivibile, specie per quanti vogliono crearsi un vero futuro».

La fuga, il deserto. «E’ stata dura talmente erano gli stenti, al mattino il sole picchiava; la sera il freddo congelava, entrava nella tua pelle, il rischio che il mattino dopo non ti svegliassi era più di una ipotesi; in quei giorni vegetavo, sopravvivevo, cercavo di allontanare la mia volontà, spossessarmi di anima e sentimenti: l’unico modo era non pensarci, ma non era facile; più di qualche volta ho invocato il Cielo perché morissi».

Poi, Dramane, supera l’ostacolo, ma arriva la prova più dura sostenuta fino ad oggi. «Vedrai, una volta in Libia tutto sarà più semplice», lo incoraggiavano gli amici. «E invece lì cominciano i dolori, non solo di pancia – perché si mangia poco, addirittura niente e per più di un giorno – ma anche fisici: più pericoloso che attraversare il deserto; il colore della pelle in qualche modo ci tradiva, neri come eravamo ci fermavano un istante: ci chiedevano cosa stessimo facendo lì e, senza una ragione, giù botte; lasciare la Costa d’Avorio per andare a morire in un altro Paese, è questo che poteva accadere, anzi – mi dicevano – era già accaduto a più di qualcuno; carri armati per strada, i soldati con le armi spianate addosso a noi: per un breve periodo, insieme con altri, sono stato segregato in una casa disabitata; ci facevano sfiancare, lavorare sodo, e non sempre ci davano da mangiare, ho saltato il pasto per tre giorni e, nonostante tutto, privo di forze ero costretto a trasportare tufi che sarebbero serviti a realizzare costruzioni».

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GOMMONE BUCATO, TUTTI IN MARE!

Finito il lavoro, i pericoli continuano. «Ci avevano lasciato al nostro destino, ma se ci avessero rivisto per strada sarebbero stati altri dolori; uscivamo la sera, sul tardi, per comprare qualcosa da mangiare, poi di nuovo al chiuso, per non farci vedere in giro ed essere nuovamente picchiati, senza motivo». Poi lo spiraglio, dopo una serie di piccoli lavori, il gommone tanto sospirato per lasciarsi alle spalle la Libia, quel Paese ospitale almeno sulla carta.

«Eravamo in 105, lo ricordo perfettamente – prosegue Dramane nel suo racconto – come ricordo che non appena arrivammo al largo, in mare aperto, avvertimmo un grosso pericolo: il gommone era bucato; non so come fosse successo; potevamo restare a galla ancora qualche ora, poi saremmo finiti tutti in mare». Ma ecco la salvezza: una nave italiana, quattro giorni di viaggio, terra. «Adesso voglio pensare a riprendere gli studi – conclude Dramane – nel mio Paese facevo l’artigiano, specializzato nel sistemare mobili che dovevano essere riparati; non mi dispiacerebbe riprendere questo lavoro, impegnarmi da un rigattiere: sapete, quei commercianti che comprano o ritirano mobili usati o da buttare e li rimettono a nuovo? E’ un’idea: dopo aver passato disavventure nel deserto e in Libia, quasi per un debito di riconoscenza nei confronti della vita, sarei disposto a fare qualsiasi lavoro!».

Ben, le biciclette e un futuro da riparare (1^ parte)

Sono arrivato al CAS di Modugno alle 18,30 di sabato. In realtà avevo detto a Fabio, un operatore storico della struttura che mi ha fatto da gancio e mediatore linguistico, che sarei arrivato nel primo pomeriggio per incontrare Ben, un ragazzo nigeriano di 21 anni che mi aveva incuriosito per il fatto di averlo sempre visto adoperarsi ad aggiustare biciclette durante le mie visite al Centro.

Ho avuto una percezione strana appena entrato: Fabio era occupato con le cose che fanno gli operatori e io, nell’attesa che finisse, ho potuto godere di una vitalità che non avevo mai riscontrato, forse anche a causa dei miei orari: un torneo di ping pong auto organizzato, un folto gruppo di ospiti intenti a seguire in televisione le partite di calcio e, in disparte ma nella stessa sala dedicata alle attività, quattro ragazzi seduti ad un tavolo ripetevano le lezioni di lingua italiana.

Fuori, entrando nella struttura, avevo incontrato il solito gruppo di appassionati del gioco della dama.

Sui piani, le stanze era quasi totalmente vuote, fatto che mi ha indotto alla riflessione che finalmente c’è chi vive il territorio e chi ha trovato i suoi spazi in struttura.

Fabio ha terminato le sue cose e mi presenta Ben, che aspetta da un bel po’ senza neanche sapere in realtà cosa dovessimo fare insieme. Tanto è vero che si è tirato a lucido a differenza mia che ho grandi problemi a rinunciare a scarpe da ginnastica e maglietta.

Fatta una valutazione della situazione nel Centro e considerata la presenza di altri operatori, propongo a Ben e Fabio di spostarci in un posto più tranquillo per raccogliere la sua storia, a poche centinaia di metri dalla struttura. Ben non mi conosce ma si fida di Fabio e accetta.

Entrati in macchina per raggiungere il bar più vicino, io e Fabio parliamo delle difficoltà che incombono sulle nostre vite e, nel contempo, guardo dallo specchietto retrovisore il volto di Ben intento a cercare di capire cosa ci stessimo dicendo.

Tranquillo Ben – dice Fabio girandosi verso di lui – non ti portiamo al patibolo!”.

Ridono insieme. Io non capisco e Fabio traduce a me e Ben ride!

Finalmente siamo seduti al tavolo di un bar e chiedo a Fabio di spiegare a Ben il senso di questa intervista e, soprattutto, di spiegarli che dalle storie che raccogliamo vogliamo trarre spunti, idee, per costruire progetti da realizzare insieme.

Ma anche arricchirci dalle loro storie, sapere, conoscere. Allora, iniziamo da lui dicendogli che non mi interessa sapere come è arrivato in Italia perché trafficanti e rotte le conosciamo. Voglio che mi dica qualcosa che non so e perché ha lasciato il suo Paese.

Ufficialmente sono partito dalla Nigeria, in realtà sono scappato da una Regione della Nigeria che si chiama Biafra, che non è lo Stato del Biafra, ma una Regione che combatte da sempre per l’indipendenza dalla Nigeria. Non sono scappato per motivi politici ma per una questione religiosa anche difficile da spiegare. Mio padre era a Capo di un gruppo religioso che praticava una fede che posso definire come una ramificazione del woodoo, una pratica materialista, credevano che gli alberi, le piante, gli oggetti avessero un anima. Io sono cresciuto, al contrario, seguendo il cristianesimo. Ma, dopo la morte di mio padre, i suoi seguaci sono venuti a dirmi che il suo successore dovevo essere io. Non me la sono sentita e l’unica soluzione era andare via.

Ben ha studiato fino alle scuole secondarie con indirizzo scientifico nel suo Paese e lavorava nel settore del’edilizia come piastrellista.

Parlando del suo viaggio verso l’Italia, gli chiedo solo di sapere se in Libia gli è capitato di essere rinchiuso in un campo o in un carcere: “No – mi risponde – una sola volta la polizia ha tentato di prendermi ma sono riuscito a scappare. Ho sentito parlare dei campi e di come trattano le persone che arrestano. A me non è capitato nonostante ho lavorato in Libia per 5 mesi come muratore prima di arrivare in Italia”.

I mezzi e i modi sono quelli già raccontati più volte. Ripeto a Ben che, nonostante le cose interessanti che ha raccontato il nostro intento è diverso, è quello di cercare di costruire opportunità, canali di inclusione, passare dall’accoglienza alla convivenza.

Mentre Fabio traduce, Ben è stupito, perplesso.

Capita la difficoltà, gli pongo una domanda diretta: ”Ho chiesto di parlare con te perché ti ho visto spesso aggiustare biciclette e mi sono chiesto se questo non si possa trasformare in un servizio accessibile a tutti”.

Ho iniziato ad aggiustare le biciclette qui in Italia, nel mio Paese non l’ho mai fatto. Mi sono guardato intorno e ho visto che tutti usano la bicicletta e ho pensato che con le mie competenze avrei potuto aggiustare biciclette per racimolare un po’ di soldi. Così è iniziata questa esperienza e ora vengono tutti da me”.

VITE VENDUTE. IL GRANDE BUSINESS DELLA TRATTA DELLE DONNE

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha pubblicato il Rapporto sulla Tratta di esseri umani attraverso la rotta del Mediterraneo centrale.

Al di la dei dati e dei numeri, che segnalano la forte crescita del fenomeno della tratta di esseri umani, l’aspetto più interessante di questo Rapporto sta nella capacità di raccontare questo particolare tipo di migrazione partendo dall’origine del viaggio ricostruita attraverso i racconti raccolti dagli operatori dell’OIM che operano negli Hotspot italiani.

Il Rapporto OIM descrive il fenomeno della tratta unicamente a scopo di sfruttamento sessuale nel contesto italiano.

Fondamentali e determinanti, nella comprensione dello sviluppo di questa tragica forma di riduzione in schiavitù, sono i vari anelli della catena che decidono le sorti di una persona, quasi sempre donna e sempre più spesso minore: la famiglia e il contesto di origine (di solito villaggi sperduti dove la scolarizzazione non esiste); i riti voodoo (in nigeriano “juju”) ai quali sono sottoposte le vittime per suggellare l’impegno alla restituzione di una somma in denaro; i Boga, gli accompagnatori, veri e propri trafficanti di persone; i connection man, gli organizzatori dei viaggi dalla Nigeria all’Italia passando per la Libia; le Madame, che gestiscono le vittime di tratta una volta giunte a destinazione garantendo la restituzione dei soldi attraverso la prostituzione; la Libia, terra di nessuno ormai sfuggita ad ogni controllo, dove le donne vengono stipate il quelli che chiamano ghetti, luoghi nei quali attendono il momento dell’imbarco sul lapalapa, il gommone.

Dai racconti dei migranti emerge l’immagine di una Libia sprofondata nel caos, dove violenze e abusi sono sempre più frequenti e gruppi armati trovano nel traffico di esseri umani una fonte di finanziamento estremamente redditizia” è scritto nel Rapporto OIM.

E, ancora: “Spesso accade che, data la fiducia riposta nei trafficanti in quanto connazionali a cui si è spesso legate da vincoli di amicizia o parentela, le vittime di tratta non vogliano credere di trovarsi nelle condizioni descritte dall’informativa dell’OIM sui rischi connessi alla tratta di esseri umani, e non si percepiscano come vittime di un reato. È probabile che solo una volta incontrati i trafficanti e subiti gli abusi e lo sfruttamento, le vittime riescano a comprendere la veridicità delle informazioni ricevute allo sbarco, e acquisiscano la consapevolezza di essere vittime di un reato.

… Di conseguenza, il legame tra le vittime di tratta e i trafficanti costituisce un ostacolo maggiore alla loro identificazione tempestiva. Al momento del loro arrivo in Italia, come illustrato da alcune storie presentate in seguito, le vittime credono nei trafficanti più che in qualsiasi altra persona e provano per loro un forte sentimento di gratitudine, per avere permesso loro di arrivare in Europa, facendosi carico del costo del viaggio. Questo sentimento, apparentemente contraddittorio, le porta a credere incondizionatamente alle false informazioni che i trafficanti forniscono loro prima della partenza dai luoghi di origine o dalla Libia. Ad esempio le organizzazioni criminali invitano le vittime di tratta a dichiarare di essere maggiorenni anche quando sono minori, convincendole che qualora dichiarino la minore età saranno rimpatriate oppure che i centri per minori sono strutture di tipo carcerario.

L’impostazione metodologica con la quale è stato redatto il Rapporto offre interessantissimi spunti di riflessione e le storie riportate hanno la capacità di consentire una comprensione profonda quanto drammatica di questo assurdo, disumano, aberrante fenomeno.

Vi invitiamo alla lettura del Rapporto.

“Qui ho trovato disponibilità e speranza”

“Il mio futuro? Eh…”. Sorride e immagina Salif, 19enne del Ghana. Non ha un risposta alla domanda, ma sa che dovrà costruirla. Lui che ha costruito la sua vita più volte. Nel villaggio di Alavagno era un autista: “guidavo i taxi – precisa iniziando il suo racconto – ed era bello girare per la mia terra, anche se è una terra continuamente colpita dalla violenza. Ma questa volta non c’entra la religione e nemmeno l’etnia.

La terra di Salif è in guerra per un semplice pezzo di terra. Gli abitanti di Alavagno e del vicino villaggio di Nkugna se lo contendono da sempre. Si scontrano da anni per decidere chi dovrà amministrarlo: “Quando avevo due anni quella follia è entrata anche nella mia vita: mio padre rimase ucciso in uno di quegli scontri. A volte ci penso e sono certo che sia tutto inutile”. Da allora è cresciuto con suo zio, ma anche lui fu vittima della guerra per la terra ghanese. Salif, però, va avanti e trova lavoro come autista. Gira in taxi, accompagna la gente, gli piace essere gentili con quelli che salgono a bordo della sua auto.

l 23 marzo 2013, però, la sua vita cambia ancora una volta e questa volta per sempre. Salif è uscito presto di casa per andare a lavorare e poco dopo riceve una telefonata: “era mia mamma, mi diceva di non tornare a casa. La telefono mi spiegava che la situazione era diventata troppo pericolosa”. Inizia così il viaggio di Salif che arriva dapprima in Niger dove per due mesi ha cercato un lavoro, ma senza riuscirci.

La sua vita cosi posta così in Libia: “per due anni ho lavorato in un lavaggio di auto con altri amici del Ghana. Non avevo intenzione di venire in Italia, ma un giorno sono andato al lavoro e i soldati mi arrestarono. Portarono in prigione anche i miei compagni”. Durante la reclusione Salif e i suoi compagni sono costretti a lavorare: ogni giorno vengono portati nei luoghi dove le guardie li osservano mentre eseguono ciò che viene loro ordinato. Una mattina, però, i soldati si distraggono un po’ troppo: Salif e i suoi compagni riescono a fuggire. Tornano velocemente a casa e scoprono che uno dei loro compagni che non era in prigione era stato ucciso. “abbiamo venduto le poche cose che avevamo come il materasso e il televisore e abbiamo deciso di partire. Non avevo mai pensato prima di quel giorno all’Italia”. Il suo barcone arriva in Italia e per Salif inizia ancora un volta una nuova vita: “Qui ho trovato tanti amici sia tra gli ospiti che tra il personale di Costruiamo Insieme: quello che mi piace di più è che non sono uno dei tanti, ma se ho un problema o un’esigenza diventa un’esigenza anche dello staff. È bello trovare questa disponibilità e questa accoglienza, mi offre speranza. Ho anche trovato un lavoro: sono stato assunto da una ditta di pulizia e per adesso va bene. Il mio futuro? Eh…”. Sorride e immagina Salif, ma poi aggiunge: “Per ora non so ancora, per adesso vorrei ottenere solo i documenti. Poi si vedrà”.