Alda Merini e la sua Taranto

Raiuno dedica uno sceneggiato alla poetessa che nell’84 sposò Michele Pierri

La Città dei Due mari nella vita della grande autrice milanese. La scopre il poeta e critico letterario Giacinto Spagnoletti, tarantino anche lui. Presenterà artista e medico-poeta. Lunghe telefonate, fino a quando non sboccia l’amore. Il debutto da ragazza-prodigio, i due matrimoni, quattro figlie avute dal primo marito, i ricoveri, l’oblio e la risalita

 

Giovedì sera, in prima serata su Raiuno, è andato in onda in prima serata “Folle d’amore – Alda Merini”, un docufilm, come chiamano ora gli sceneggiati, le biografie dei grandi della storia e dell’arte. “Folle d’amore” è un racconto sulla vita della “poetessa dei navigli”. Protagonista Laura Morante. Con lei, Federico Cesari, Rosa Diletta Rossi, Giorgio Marchesi, Sofia D’Elia, Mariano Rigillo, per la regia di Roberto Faenza.

Grande poetessa, la sua vita nei primi Anni Ottanta, coincide con i quasi quattro anni trascorsi a Taranto, innamorata, com’era, di Michele Pierri, medico, ma anche lui poeta, che aveva qualcosa come una trentina d’anni più di lei. La Merini anni fa raccontò che aveva conosciuto Pierri grazie a Giacinto Spagnoletti, tarantino, poeta anche lui. Lunghe conversazioni telefoniche, bollette chilometriche, alla fine Alda si trasferisce in riva allo Ionio, sponda alla quale dedicherà oltre che a quasi quattro anni della sua vita, tormentata da ricoveri e dimissioni da ospedali psichiatrici, anche delle opere.

«Non vedrò mai Taranto bella – scriveva – non vedrò mai le betulle, né la foresta marina; l’onda è pietrificata, e le piovre mi pulsano negli occhi. Sei venuto tu, amore mio, in una insenatura di fiume, hai fermato il mio corso e non vedrò mai Taranto azzurra, e il Mare Ionio suonerà le mie esequie».

 

 

SPAGNOLETTI, LA SUA GUIDA

Spagnoletti è il suo vero scopritore, la sostiene, fino a spingerla a scrivere, tanto da  pubblicare lui stesso un lavoro in una “Antologia della poesia italiana 1909-1949”. E’ il 1950, ma tre anni prima aveva in qualche modo incontrato «la prime ombre della mente». Viene ricoverata per un mese in un ospedale. Nel frattempo incassa stima e affetto, per fare dei nomi, tutti di livello altisonante, Eugenio Montale. L’editore Scheiwiller, su suggerimento del poeta-scrittore genovese, pubblica due poesie inedite di Alda Merini nella raccolta «Poetesse del Novecento». La poetessa nel frattempo salda una grande amicizia con un altro grande della letteratura del Novecento: Salvatore Quasimodo.

Sposerà Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie di Milano, da cui avrà quattro figlie: Emanuela, Simona, Barbara e Flavia. Nata a Milano nel ’31 del secolo scorso, è una sua ex insegnante a farla conoscere al Spagnoletti. Il critico resta folgorato dalla bellezza dei suoi scritti: il suo talento precoce e inspiegabile ne fa una ragazza-prodigio della letteratura italiana.

 

 

TENACE, RISALE CON FORZA

Precipitata nella psicosi dopo una grave crisi di nervi, il marito la ricovera. La Merini, tra un ricovero e l’altro, resterà in quelle antiche “case di cura”, nelle quali c’è davvero da diventare matti. L’aiuta Enzo Gabrici, lo psichiatra che l’ha in cura. Le regala una macchina da scrivere. Grazie alla scrittura sconfigge dolore e malattia. Intanto, Alda, rimasta vedova, comincia una relazione platonica, come può essere un affetto sbocciato al telefono, con il medico-poeta tarantino Michele Pierri.

Li ha messi in contatto, nemmeno a dirlo, Giacinto Spagnoletti. Conversazioni senza fine, bollette salatissime, tanto che lei parte per Taranto, dove raggiunge e sposa nel 1984 il “suo” Michele. «Eri come ti immaginavo, amore mio», gli confessa al primo incontro. Pierri, purtroppo, ha molti anni più di lei, e la felicità non dura a lungo. Il medico-poeta muore poco dopo. Alda Merini non si dà per vinta, prosegue nello scrivere, le poesie sono la sua passione e quella di milioni di lettori, così da farne nei decenni, una delle figure più importanti e più influenti della vita culturale italiana. Muore nel 2009, a settantotto anni, a Milano, città nella quale era nata.

Pino, coraggio!

Da un successo di proporzioni internazionali alla “malattia”

D’Angiò, quello di “Ma quale idea”, si racconta. Una serie di operazioni: un tumore alla gola, uno ai polmoni. «Per fortuna ho avuto così tanto da fare che non ho avuto molto tempo per pensarci», confessa l’artista campano. «Ero considerato un prodotto di nicchia, ora sono famoso: questa cosa mi diverte». «Giovani artisti mi hanno contattato per propormi collaborazioni: mi aiutano a guardare al futuro, non al presente e trovo che tutto questo sia incoraggiante»

 

Domenica pomeriggio, sei in casa, la tv non ti soddisfa più. Troppi programmi urlati, troppi programmi autoreferenziali. Conduttrici che invitano ex mariti bisognosi di visibilità, presentatori “con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così” che invitano amici. E se non bastasse, amici degli amici.

Fino a quando non senti un brano familiare, passato chissà quante volte in radio, primi Anni Ottanta. Fra i ragazzi che ciondolano in studio e un signore attempato, magro, minimo settant’anni, non intercetti un volto che appare familiare. Uno di quelli che non puoi dimenticare, nonostante siano passati quarant’anni, mica un giorno.

«Questa la cantava quel simpaticone di Pino D’Angiò – mi viene da pensare in un istante – quel Borsalino lo indossava quando cantava e faceva ballare un milione di italiani con “Quale idea”; fra due dita di una mano una sigaretta, la fronte aggrottata, la posa da irresistibile latin lover, assunta per sceneggiare il testo: il primo rap italiano, le prime copie stampate, andate subito a ruba».

 

 

«MA E’ LUI O NON E’ LUI?»

Ho afferrato quel canale, Raiuno, “Domenica in”, in coda.  «Bnkr44 e Pino D’Angiò: “Ma quale idea”! Un grande applauso!». Applausi e via, forse avevano rilasciato un’intervista poco prima, mi documento. “Pino D’Angiò, la malattia, i tumori rimossi, ora sta meglio!”. Pino, conosciuto quarant’anni prima, l’incarnazione della vitalità, del coraggio, la voglia di cantare e fare cabaret, perché lui – qualsiasi cosa dicano le note biografiche, ufficiali o apocrife – viene da lì, da quel genere che spopolava in Francia, ironia e canzoni: cabaret. Pino non stava bene, si è sottoposto a una e più cure, a uno e più interventi. Adesso sta meglio, sorride, si è ripreso dopo la mazzata, non si piange addosso, incoraggia chi entra in quel dolorosissimo tunnel che è “il male incurabile”.

«Una volta incurabile, oggi ci sono fior di cure e chirurghi, se imbocchi corsia, sala operatoria, diagnosi e bisturi giusti, puoi anche cavartela, purché ci crediate, via diate coraggio e ne diate a chi vi sta intorno». Parole sante, Pino. Non hai perso nemmeno tanto della tua brillantezza. Ti invidiavo la bellezza, l’ironia, la spensieratezza: oggi ti invidio il coraggio. Quello che stai dando ad amici, familiari, fan, conoscenti occasionali.

“Ma quale idea”, breve ricerca: risale al 1981. L’album era “Balla!”. Lui, campano di Pompei, spiritoso com’era, aveva proseguito nel filone del doppio senso imboccato a quei tempi dagli Squallor, nemmeno a dirlo, suoi conterranei. Quel primo 45 giri, avete presente quei dischi neri con al centro un buco? Racconta di un’avventura in discoteca. In una intervista confessa che non avrebbe mai pensato di fare il cantante. «Per fare questo “lavoro” non ci vuole poi molto: un microfono, bastano venti, trenta euro, un amplificatore e il gioco è fatto. Sinceramente, non avrei mai pensato di fare questo nella vita», confessa in una intervista a “La Ragione”.

 

Foto profilo Facebook

«COME UN GIOCO…»

«Per me è stato sempre un gioco – insiste Pino, all’anagrafe Giuseppe Chierchia, settantuno anni – a soli ventisei anni ho vinto il mio primo Disco d’oro (quando per ottenerlo occorreva vendere un milione di copie e non solo cinquantamila, come accade oggi): mio padre era sì orgoglioso, ma poi, dopo un giro di parole, concludeva con la solita domanda: “Bello il Disco d’oro, ma un lavoro, Pino, quando te lo trovi?».

Oggi è un idolo fra i ragazzi. Il successo non ha età, come le idee, le canzoni belle e “Ma quale idea”, più che una canzone è un’idea. Proprio così. «Andavano forte i rap, le discoteche, allora ho messo insieme i due tempi: provo a scrivere un rap in italiano, sfondo della storia naturalmente una discoteca, un successo pazzesco».

Poi arriva la malattia: un tumore alla gola, a seguire quello ai polmoni. Un’operazione dopo l’altra, il fiato che manca. «Per fortuna – racconta ancora Pino – ho avuto così tanto da fare negli ultimi anni che non ho avuto molto tempo per pensarci: se non fosse stato così sarei rimasto a casa a guardare il muro e forse la depressione mi avrebbe accerchiato». Un solo cenno a quel brutto periodo, poi “La ragione” lo riconduce alla canzone, come è giusto che sia. Scacciamo qualsiasi brutto ricordo. Parliamo di musica e canzoni. «Fino ad oggi sono stato considerato un prodotto di nicchia, ora sono famoso. E questa, francamente, è una cosa mi diverte». Ecco il secondo tempo della vita artistica di Pino. «Alcuni giovani artisti mi hanno contattato per propormi collaborazioni: cosa dire, la cosa mi fa sorridere, questi ragazzi mi aiutano a guardare al futuro, non al presente e trovo che tutto questo sia incoraggiante». Coraggio, Pino.

«Oscar e polemiche…»

La cerimonia vivacizzata dalle polemiche, dagli Stati Uniti all’Italia

Robert Downey jr. viene preso di mira dal presentatore. Mentre l’attore viene premiato con la statuetta, Jimmy Kimmel rispolvera la dipendenza dalla droga di uno dei protagonisti di“ “Oppenheimer”. Non è da meno, Massimo Ceccherini alla vigilia: «Vinceranno i soliti ebrei». Apriti cielo, polemiche e scuse: «Sono un imbianchino, mi sono espresso male…». Il rammarico per “Io, Capitano” di Matteo Garrone, candidato fra i Migliori film stranieri   

 

Il grande favorito dell’edizione 2024 degli Oscar, ha praticamente confermato i pronostici. “Oppenheimer”, il drammatico colossal sulla bomba atomica, dato per grande favorito ha vinto sette Oscar. Fra questi, i principali: miglior film, miglior regista; miglior attore protagonista, Cillian Murphy; miglior attore non protagonista, Robert Downey Jr.

Un enorme successo, in qualche modo condiviso con “Povere creature”, diretto da Yorgos Lanthimos che ha vinto quattro statuette, fra queste, quella per la migliore attrice protagonista: Emma Stone. Nessun riconoscimento per Matteo Garrone, candidato nella categoria dedicata ai film stranieri con “Io, Capitano” (nella stessa categoria ha, invece, vinto “La Zona di interesse”). L’Italia si è consolata con la vittoria di “War is over”, un “corto” animato, inno al pacifismo.

A proposito di Italia, grande soddisfazione per Andrea Bocelli e il figlio Matteo che hanno interpretato una nuova versione dell’evergreen “Con te partirò”, alla quale ha messo mano Hans Zimmer.

 

 

POLEMICHE “A STRASCICO”

Ma è stata una cerimonia che ha lasciato qualche strascico. Non di quelli che passeranno alla storia, ma temi, argomenti e interventi che alimenteranno ancora per qualche giorno l’appuntamento con i massimi riconoscimenti cinematografici. Fra le polemiche riprese dai giornali, intanto quella di uno dei vincitori di un Oscar, il grande Robert Downey jr. in passato già candidato, ma che non aveva mai avuto l’onore di sollevare la più preziosa delle statuette “cinematografiche”. Gli fa eco dall’Italia, una polemica piccola piccola, ma che rotola talmente tanto, da diventare la classica palla di neve diventata una valanga. Protagonista

l’incorreggibile Massimo Ceccherini, fra gli autori del film “Io capitano”, che si è lasciato andare ad un colorito pronostico: «Agli Oscar vinceranno gli ebrei, non Matteo Garrone». Apriti cielo. Lui, l’attore toscano giura di non averci pensato tanto su, e non abbiamo difficoltà a credergli, del resto è un casinaro. Adorabile, ma casinaro. Se riflettesse, prima di lasciarsi andare, sarebbero tutti più felici, la moglie, gli amici, i fan, che gli hanno subito segnalato la caduta di stile.

Ma andiamo per ordine. Partiamoo da Downey jr. Anche lui uno che non sa trattenere un disappunto. Del resto, non è che avesse tutti i torti, sia chiaro. Dunque: «Vorrei ringraziare la mia terribile infanzia e l’Academy, e proprio in quest’ordine».

 

 

«RINGRAZIO MIA MOGLIE»

Così, l’attore vincitore del premio Oscar come Miglior attore non protagonista (“Oppenheimer”), quando si è rivolto al pubblico e alla giuria. «Ringrazio mia moglie – ha proseguito l’attore, non senza tono polemico – perché lei mi ha trovato come un cucciolo abbandonato e da brava veterinaria mi ha riportato in vita; il mio segreto? Avevo bisogno di questo lavoro più di quanto lui avesse bisogno di me». Ogni riferimento non è casuale, bensì voluto, fino all’ultima virgola. Il motivo? Il discorso introduttivo del presentatore degli Oscar, Jimmy Kimmel, che nel presentare Downey jr. aveva fatto riferimento al disastroso passato dell’attore, dedito al suo passato di tossicodipendente.

«Questo è il punto più alto della lunga e illustre carriera di Robert Downey jr. – aveva detto infelicemente il presentatore – uno dei punti più alti». L’attore, in passato, è stato arrestato più volte con l’accusa di droga. Ma, forse, non era il caso di condire la vittoria del grande Robert Downey jr. (fra le sue interpretazioni, straordinaria quella di Charlie Chaplin nel film biografico dedicato al grande attore-regista). Come se non bastasse, l’attore non aveva riso affatto, il conduttore ha proseguito con un evitabile: «Hai in tasca un discorso di accettazione o hai semplicemente un pene molto rettangolare?». In realtà ha riso il solo Kimmel con qualcuno, in platea, che forse assecondava una certa invidia.

 

 

CECCHERINI, SCIVOLONE…

E veniamo a Massimo Ceccherini. Dopo una frase non molto brillante, anzi, per dirla tutta, poco felice, ha provato a scusarsi. A modo suo: «Sono un imbianchino, mia moglie mi ha sgridato». Parlando del film “Io Capitano”, che ha sceneggiato con il regista Matteo Garrone, a prposito degli Oscar, aveva così commentato: «Tanto alla fine vinceranno gli ebrei». Dopo la figuraccia, le scuse, attraverso un lancio dell’agenzia Adn Kronos. «Mi sono spiegato male, io intendevo il film degli ebrei, l’argomento: non è la prima volta che un film con quel tema vince. Insomma, chiedo scusa a chi ha interpretato male: giocavo, parlavo di scommesse, scherzavo, ma a pensarci bene, che se non avessi detto niente era meglio: alla fine, chi mi ha sgridato più di tutti è mia moglie».

E sul film sul quale l’Italia aveva riposto più di una speranza, ma che alla fine ne è uscito sconfitto, Ceccherini: «Un po’ di delusione c’è, è naturale: “Io Capitano” resta un film bellissimo, per me un sogno aver lavorato con un grandissimo regista come Matteo Garrone».

«Puglia, orecchiette mondiali!»

Nunzia, da Bari Vecchia agli Stati Uniti

Nunzia Caputo, stella dei social e delle feste importanti con quei “dischi volanti” di pasta prodotti alla velocità della luce. Ultimo viaggio in India in una occasione dalle mille e una notte. Con Rihanna, star della serata, a due passi. E c’era anche l’inventore di Facebook. «Buone, vero? Le ho fatte con queste mani!», gli ha detto

 

Nunzia Capone, per tutti “Nunzia delle orecchiette”, come se puntualizzassero il titolo onorifico conquistato sul campo. Meritatissimo al punto tale che è diventato un brand. Catapultata da Bari vecchia, dove è un’istituzione, prima a New York, invitata (tutto spesato!) dalla Regione Puglia. «Un giorno sento un “busso” alla porta – spiega ad uno dei tanti interlocutori che l’hanno eletta reginetta dei social – apro e chi era? Uno della Regione Puglia, mi fa “Vuole venire, gratis, a New York?”. “Mo ce ne dobbiamo andare!”, ho risposto io: quando mi capita un’altra occasione del genere, partire per New York, tutto spesato, e fare cosa? “Quello che sta facendo in questo momento, signora Nunzia: le orecchiette”. Detto fatto».

Non è una ingenua Nunzia, amabilissima, cordiale con tutti. Oggi sa che il suo personale brand, quelle “Orecchiette alla Nunzia Capone”, hanno un valore inestimabile. Non solo New York, perché Nunzia, è volata anche in India, dall’altra parte del mondo, come gli Stati Uniti. Da non crederci. E’ una bella favola, non conosciamo ancora il finale, ma possiamo immaginarlo, anzi, ce lo auguriamo: a lieto fine.

 

 

DAGLI USA IN INDIA…

Troppo scaltra, Nunzia, per fare voli esagerati perdendo di vista il punto di partenza, Bari Vecchia. Le cose le fa, con calma, a modo. C’è chi le cura i social, le pagine su Facebook, benedetto il fondatore del papà di tutti i social. Quel Mark Zuckenberg, che Nunzia ha incontrato di persona in India, ad una festa faraonica insieme a Rhianna, la cantante. Non sa parlare l’inglese, Nunzia, ma la mano – nonostante bodyguard e un cordone di invitati che volevano vedere da vicino uno degli uomini più ricchi del mondo – gliel’ha stretta. «Grazie anche a te sono diventata famosa in tutto il mondo!», avrebbe voluto forse dirgli. Di sicuro, quando Zuckenberg avrà usato un’espressione famosa in tutto il mondo, il dito indice puntato su una sua guancia per dire «Buooono!», Nunzia da lontano gli avrà fatto capire di essere stata lei l’autrice di quel piattone di orecchiette. La donna avrà alzato le braccia, agitato le mani, come si fa quando si suona un tamburello. «David, quelle le ho fatte io, con queste mani, vedi?». Insomma, very good, very nice, Nunzia promossa.

Nunzia era in India, invitata a fare il suo, le orecchiette, da Anant Ambani e Radhika Merchant che celebravano il fidanzamento ufficiale o, come si dice da quelle parti, i festeggiamenti prenuziali: cinque milioni di euro alla cantante Rihanna per il concerto privato. Figurarsi se i due promessi sposi non potevano permettersi di ospitare Nunzia, «a fare quello che ha sempre fatto», le orecchiette.

 

 

…ALLA PAGINA SU FACEBOOK

La pagina Facebook di Nunzia documenta un breve tratto compiuto a piedi nell’aeroporto indiano. Lei è lì, alla vigilia della sua partenza non è ancora chiaro se le orecchiette dovrà prepararle lei – perché se così fosse sarebbe una missione impossibile, trattandosi di un centinaio di invitati – oppure dovrà insegnarle a fare, missione in qualche modo più praticabile. Insomma, per la felicità di Anant Ambani e Radhika Merchant, non solo Rhianna e il suo ingaggio-monstre, ma anche Nunzia & le sue orecchiette, per i festeggiamenti prenuziali dei due promessi sposi.

Orecchiette da fare o da insegnare a fare, no problem. In un caso o nell’altro, saprà cavarsela alla grande, considerando la velocità con cui cui nella stradina di Arco Basso, dalle sue dita, prendono magicamente forma le orecchiette. Piccole, perfette, tutte a misura. Proprio come sottolinea il portale “Bari Viva”: una velocità da Guinness dei primati, anche se sarebbe più adatto a dire, da sapienza antica di mani che hanno sempre lavorato.

Non solo “Bari Viva”, ma anche il Corriere del Mezzogiorno, raccoglie due battute da Nunzia al suo ritorno. Dichiarazioni da donna di mondo ormai. Lei, partita dall’Arco basso e catapultata alla festa nella quale protagonista è stata Rihanna. «Eravamo in India e con me c’erano lei e Mark Zuckenberg: sono stata proprio vicino a Rihanna, una voce bellissima. Quando è salita sul palco indossava un abito fucsia incantevole, le stava benissimo». Quando le chiedono cosa facesse lì, la risposta è disarmante, come la sua velocità nel produrre orecchiette: «Sono stata chiamata a fare le orecchiette, inutile dire che sono piaciute a tutti!».

Il sogno di Randy

Dal Camerun a uno studio legale internazionale

«Partito a diciassette anni, mi sono laureato a ventiquattro anni con 110. Tanti sacrifici, da mediatore a custode notturno, poi una compagna e una figliola splendide. Vorrei aiutare la mia gente, offrire consulenze e assistenza a titolo gratuito. Consultato il mio curriculum, parlando correntemente anche inglese e francese, sono stato contattato…»

 

Per diventare avvocato ed esercitare la professione tanto sognata nel suo Paese d’origine, il Camerun, occorre l’ultimo passaggio: il praticantato. Ma Randy, ventiquattro anni, una compagna, Filomena, che gli è stata accanto e lo ha incoraggiato, e una bimba nata tre anni fa dalla loro unione, si può dire sia già a buon punto. Ha conseguito la laurea tanto sognata e – “pescato” con grande intuizione da Chiara Marasca per il Corriere del Mezzogiorno, edizione Campania – già contattato da uno studio legale internazionale. Come si dice in Italia, Randy è già a metà dell’opera. Insomma, i sogni saranno pure desideri, ma occorre coltivarli, inseguirli, se possibile, perché più grandi sono, più grande deve essere l’impegno, il sacrificio. E così, lieto fine compreso, è stato per Randy Ashu.

Randy Ashu è diventato dottore in Giurisprudenza, all’Università “Federico II” di Napoli, ottima la sua tesi sul Terzo settore coronata da un sonoro 110. «Avevo un grande sogno – racconta Randy – ma mai avrei potuto realizzarlo restando nel mio Paese, così ho preso coraggio e, come tanti altri come me, ho affrontato un viaggio lungo e doloroso attraverso il Mediterraneo: avevo lasciato i miei affetti, perso compagni durante la traversata come spesso accade in questi viaggi della speranza: il lieto fine è quanto tutti si augurano, ma non sempre è così».

 

 

DOPO IL DOLORE, LA GIOIA…

Il suo viaggio, l’arrivo in Italia. «Sbarcato a Lampedusa, sono stato traferito ad Ascea – racconta al “Corriere” – in un Centro di accoglienza per adulti: essendo minorenne sono stato trasferito a Polla, per poi passare attraverso le comunità di Morcone e Torrioni. Avevo nostalgia del mio Paese, dei miei affetti, ma in quel momento percepivo che stava cominciando la mia nuova vita in Italia».

Fra le diverse facoltà, Legge. «Lo scopo di questa mia scelta risiede nel mio pensiero fisso: aiutare le persone nell’ottenere il riconoscimento dei loro diritti, come gli altri hanno fatto con me quando sono stato in difficoltà». Una laurea che non arriva subito. Randy deve compiere un importante percorso di studi. «Conseguito il titolo di mediatore culturale, ho studiato e lavorato, come mediatore e anche come portiere notturno, laureandomi nel rispetto dei tempi. Nel percorso di studi ho goduto delle borse di studio previste da un progetto che sostiene i giovani con background migratorio: fondamentale, in ogni momento, l’incoraggiamento da parte della mia compagna con la quale cresco la nostra bambina».

 

 

…E IL SOGNO CONTINUA

E il sogno si corona. «Sono stato contattato da uno studio legale internazionale che ha sede a Roma: inizio a giorni. Hanno consultato il mio curriculum trovandolo interessante: hanno apprezzato la mia determinazione, il mio percorso universitario e hanno voluto credere in me. Sogno di aiutare la mia Africa, che nei prossimi decenni dovrà affrontare la transizione energetica: ecco, sogno di diventare uno dei protagonisti di questo percorso. Ma vorrei conciliare questo con l’attività di avvocato pro bono (consulenza e assistenza a titolo gratuito): non dimenticherò di aiutare chi è in difficoltà».

Infine, l’augurio di Randy. «Mi auguro – conclude il neo legale – che la mia storia possa ispirare gli immigrati che arrivano con grandi sogni, spesso spenti dalle sfide dell’integrazione, che la mia testimonianza possa accendere in loro nuove speranze».

Ferragni e Fazio, arrivano le polemiche

Codacons e Antitrust non condividono l’ospitata a “Che tempo che fa”

Il presentatore, alla fine, ha invitato l’influencer. Non soddisferebbe la qualità delle domande poste ad uno dei personaggi più noti nel campo della comunicazione. Al centro del dibattito ancora il “Pandoro Balocco” e il ricavato delle vendite. E non finisce mica il cielo…

 

Chiara Ferragni, alla fine, da Fabio Fazio e “Che tempo che fa”, in programma su La7, ci è andata. A dispetto di quanti avevano avanzato ostacoli, interpellanze, o solo sollevato dubbi sull’andare in tv a raccontare la vicenda legata ai pandori venduti per beneficenza. Senza un vero contraddittorio, per giunta. Insomma, ne scaturisce ancora una polemica su quanto in queste settimane ha animato uno dei tanti dibattiti legati alla nota influencer (l’altra storia che ha avuto una simile eco, la separazione, vera o presunta da Fedez, suo marito).

L’intervista di Chiara Ferragni da Fabio Fazio, però non avrebbe convinto il Codacons. L’autodifesa tentata dall’influencer viene bocciata dall’Associazione dei consumatori. Secondo Codacons, infatti, Chiara Ferragni dovrebbe cancellare dal proprio dizionario parole come “fraintendimento” e “buona fede”. Secondo il Coordinamento delle Associazioni per la difesa dell’Ambiente e la Tutela dei diritti di utenti e consumatori: «Quando un pandoro viene venduto attraverso comunicati stampa che lasciano intendere ai consumatori l’esistenza di un legame tra vendite e donazioni in favore dei bambini malati di cancro, non può esserci alcun tipo di fraintendimento e nessun errore di comprensione da parte dei cittadini».

 

 

IN PUNTA DI DOMANDA

Secondo l’Associazione, Fabio Fazio «avrebbe dovuto entrare più nel dettaglio della vicenda e delle comunicazioni legate al pandoro, in modo da chiarire meglio ai telespettatori quali fossero i chiari messaggi lanciati dalla Ferragni e da Balocco che non lasciavano affatto spazio ad alcun fraintendimento». Le parole “fraintendimento” e “buona fede” – si diceva – andrebbero sostituite sostituite da parole come “dolo” e “falsi”. «Fazio non ci arriva proprio o fa finta di non arrivarci», conclude il Codacons.

Ma la trasmissione in tv, si diceva, c’è stata. E ci sono testate giornalistiche, come Il Giornale, che sottolineano il boom di ascolti registrato dalla trasmissione, aggiungendo però che l’influencer nel suo intervento televisivo non avrebbe convinto gli italiani. L’intervista trasmessa da “Che Tempo che fa”, scrive il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, ha fatto registrare il 14%, pari a quasi 3 milioni di telespettatori, ma il sentiment dell’influencer milanese resta bassissimo.

«Se l’obiettivo della Ferragni era quello di risalire un po’ la china e dare una narrazione diversa di sé, tale obiettivo non è stato raggiunto», dalle colonne del giornale spiega Tiberio Brunetti, fondatore di Vis Factor, società che ha analizzato il sentiment percepito sui social al termine dell’intervista trasmessa rilasciata a Fabio Fazio.

 

 

DUE SU TRE IN DISACCORDO?

«Permane un orientamento negativo di due su tre – prosegue Brunetti – pari al 67,2% a fronte di un 32,8% di sentiment positivo». Non ci sarebbe stata, sempre secondo il quotidiano, quell’empatia cercata nel pubblico di Fazio, dopo quella che viene definita «ondata di odio» che ha travolto la Ferragni, posta in discussione per aver eluso l’argomento principale: la vicenda legata al pandoro da acquistare (parte del ricavato sarebbe andato in beneficenza) che avrebbe macchiato la sua reputazione.

Ma torniamo alla vicenda, vista con orientamento critico, non certamente dal punto di vista della comunicazione strettamente legata alla trasmissione televisiva. Nella vicenda interviene anche l’Antitrust, l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato. Nel provvedimento con cui sanziona lo scandalo del pandoro Balocco, scrive quanto segue. «Con riguardo al contenuto del cartiglio apposto sui Pandori griffati (che riportava: “Chiara Ferragni e Balocco sostengono l’Ospedale Regina Margherita di Torino, finanziando l’acquisto di un nuovo macchinario che permetterà di esplorare nuove strade per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing”), si evidenzia che in nessuna parte del messaggio è dato rinvenire che il finanziamento si riferisce a una donazione fatta in cifra fissa e mesi prima; al contrario, la formulazione, data anche la sua collocazione sulla confezione del pandoro, lasciava intendere che il reperimento dei fondi per la donazione fosse legato alle vendite del Pandoro griffato».

 

 

MA NON FINISCE COSI’…

La storia, evidentemente, non finisce qui. Prosegue come nelle migliori telenovele. Ferragni avrà pure perso un certo appeal, forse follower, di sicuro su internet il suo nome è il più cliccato di tutti. Se la gioca alla pari con politici, campioni del tennis e del calcio, giornalisti e opinionisti dal tocco d’oro. Stando ai critici, la star cadrebbe in piedi. Quello che non è andato giù, però, è stato l’invito rivolto da Fabio Fazio in studio e la qualità delle domande. L’intervista è disponibile “on demand”, dunque a richiesta: ognuno può scaricarla, vederla, giudicarla. Avremo opinioni contrastanti, di sicuro avremo incrementato gli indici di gradimento della vicenda, tv compresa.

Nicola, eroe quotidiano

Chef pugliese, il prossimo 20 marzo sarà premiato da Sergio Mattarella

Il presidente gli riconoscerà il titolo di Cavaliere della Repubblica per i progetti sociali realizzati con la sua pasticceria inclusiva con sede a San Vito dei Normanni (Brindisi). “La dolcezza come terapia” il suo principale obiettivo. Formazione e occupazione per giovani diversamente abili. Attenzione a soggetti colpiti da autismo, donne con reddito precario, vittime di violenza domestica o con difficoltà sociali

 

Come coniugare la pasticceria all’impegno sociale. Nicola Di Lena, pugliese, pastry-chef (pasticcere per la ristorazione), il prossimo 20 marzo sarà premiato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, come “eroe quotidiano” per i progetti sociali realizzati per “Virgola”, la sua pasticceria inclusiva, con sede a San Vito dei Normanni (provincia di Brindisi).

Di Lena, assieme ad altre ventinove eccellenze italiane, riceverà al Quirinale l’onorificenza al Merito della Repubblica Italiana con la seguente motivazione: “per attività volte a contrastare la violenza di genere, per un’imprenditoria etica, per un impegno attivo anche in presenza di disabilità, per l’impegno a favore dei detenuti”.

che ha portato Nicola fino al cospetto del presidente della Repubblica. Il suo impegno etico a favore degli “ultimi” è stato riconosciuto tra i trenta progetti imprenditoriali eticamente più rilevanti. Per dar vita a questo laboratorio di prodotti dolciari artigianali, Di Lena, dopo una brillante esperienza di chef in un ristorante stellato a Milano, ha deciso di rientrare in Puglia, la sua terra di origine.

 

 

ORGOGLIO, DIGNITA’ E…

Un progetto che fin da principio, lui stesso, ha spiegato con legittimo orgoglio sui social. Il team di “Virgola”, la sua squadra, sottolinea lo chef, dà valore all’importanza dei rapporti umani in cucina, ciò che ha consentito la conquista di un traguardo riservato a pochi: diventare, appunto, “Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana”.

Nato in Svizzera nell’81, ma sostanzialmente cresciuto in Puglia, Di Lena per anni è stato lo chef a cui Antonio Guida, responsabile della linea di cucina di “Mandarin Oriental” a Milano, ha affidato la chiusura in stile dei suoi sofisticati menù,

Lo chef pugliese ha sempre amato l’arte della pasticceria. Ancora studente, approfitta di ogni vacanza scolastica per raggiungere lo zio, Agatino, a Santa Teresa di Riva, in Sicilia, per affiancarlo e, perché no, imparare i suoi “dolci” segreti.

Dopo il diploma conseguito nella Scuola alberghiera di Matera, giungono le esperienze formative in Puglia e, a seguire, a Saint Moritz e a Cortina. Attività utili nello spianargli la strada nel raggiungere uno dei suoi principali obiettivi di una carriera di successo: l’hotel “Il Pellicano”, con sede a Porto Ercole. E’ il 2006, anno di basilare importanza, considerando che la sua esperienza e la sua disinvoltura in cucina lo pongono subito all’attenzione dello chef Antonio Guida, che lo affianca Ivan Le Pape, primo pasticcere. E’ il primo importante passaggio professionale, tanto che il successivo riconoscimento non tarda ad arrivare: Nicola diventa “capo partita dei dolci”.

 

 

…PUGLIA NEL CUORE

Ma Di Lena, nonostante le sue “origini” svizzere, ha solo la Puglia nel cuore. Così dopo altri anni di esperienza, prende coraggio e spicca il volo per tornare “a casa” e realizzare un progetto con Vito Valente. E’ così che debutta “Virgola”, “pasticceria terapeutica” che offre formazione e occupazione per giovani diversamente abili. Nicola e Vito pongono particolare attenzione a soggetti colpiti da autismo, ma anche a nuclei monogenitoriali dove a capo della famiglia vi è una donna con reddito precario. Donne vittime di violenza domestica, con difficoltà sociali, in cerca di un’adeguata collocazione all’interno nel mondo del lavoro. “Virgola” prende le mosse con riferimento a “Includi”, cooperativa sociale anch’essa degna della massima attenzione, che ha fondato un ristorante impegnato nella lotta alle discriminazioni.

Il progetto “Virgola”, spiega su Internet Di Lena, è quello di allargare rete e capacità dell’attività di ristoro, unendo fra loro gli intenti sociali. E’ così che lo chef prospetta nuove occasioni di impiego a chi, per mille motivi, vive nel disagio.

«Questione di fede…»

Mamadou Kanoute, musulmano, attaccante del Taranto

«La mia è una scelta di vita, la trovo una cosa fondamentale, la preghiera mi torna sottoforma di equilibrio, serenità, forza per affrontare eventuali avversità nell’arco dell’intera giornata», spiega il calciatore di origine senegalese

 

Tredici gol, un bottino mai totalizzato, se si pensa che nelle due precedenti stagioni ad Avellino, Mamadou Kanoute, di gol, ne aveva segnati appena sei, tre per campionato. Vicecapocannoniere della Serie C, categoria nella quale sta vestendo la maglia del Taranto, l’attaccante è riuscito a registrare un exploit sportivo e “numerico”.

L’attaccante senegalese ha trovato una seconda giovinezza a Taranto. In una bella intervista video realizzata sulla Rotonda del Lungomare di Taranto, il giornalista Emiliano Cirillo della sede Rai di Bari, riesce intanto a mettere a suo agio il ragazzone nero. Alto un metro e settantaquattro centimetri, viene invitato a parlare di temi sportivi e, poi, anche più privati, come la preghiera.

Allenato dal tecnico Ezio Capuano, e sostenuto da una Curva che in quanto a calore fa parlare l’intera Italia, Mamadou sta ribaltando qualsiasi pronostico. Dunque, partiamo, intanto, dall’aspetto che l’attaccante considera fondamentale.

 

Foto Aurelio Castellaneta

 

LA MIA RELIGIONE

«La religione – spiega il trentunenne senegalese – sono di fede musulmana; per me essere musulmano e praticare la mia religione è una scelta di vita, la trovo una cosa fondamentale, perché la preghiera mi torna sottoforma di equilibrio, serenità, forza per affrontare eventuali avversità nell’arco dell’intera giornata».

Prega e tanto, Mamadou, lo spiega. «Per me la religione musulmana viene prima di ogni cosa: è una scelta di vita, questa mi dà la forza di affrontare le giornate, la forza di superare qualsiasi ostacolo»

Quanto prega, gli chiedono. «Anche cinque volte al giorno, dipende dal periodo, che noi osserviamo strettamente secondo la religione musulmana: prego alle cinque del mattino, poi a mezzogiorno, nel pomeriggio alle tre, le sei, le sette e mezza».

Sorride quando il giornalista domanda come faccia quando è in trasferta con la squadra. «Chiedo ai dirigenti – se possibile – una stanza singola; mi accontentano e io, una volta solo, negli orari previsti, mi raccolgo in preghiera».

 

Foto Aurelio Castellaneta

 

PREGO CINQUE VOLTE AL GIORNO

La preghiera a Mamadou dà equilibrio, lo fa star bene tanto che al cronista confessa come questa sua esplosione sia dovuta a tanti fatto. Detto del ruolo fondamentale della preghiera, ammette che una città come Taranto ha avuto la sua importanza. «L’esplosione che ho registrato – dice l’attaccante – la devo alla maturità raggiunta nel tempo; importante risulta, poi, trovarsi nel posto giusto e avere intorno l’ambiente giusto: io, a Taranto, ho trovato tutto questo».

Quando gli viene chiesto quale sia il segreto, il ragazzo nigeriano risponde come se avesse un’esperienza esagerata. Sentite. «I risultati arrivano grazie al lavoro – conferma – al quale il nostro tecnico ci sottopone, è un vero martello, ci spiega le disposizioni in campo e come dobbiamo aiutarci per raggiungere tutti insieme il massimo risultato che una piazza come Taranto merita».

Calcio e religione, ma anche la città che lo ha eletto a beniamino. «Sono in Italia da dodici anni, quando sono stato richiesto dal Taranto, dal presidente Giove, da mister Capuano, ho avuto la sensazione di rinascere: mi sentivo parte del progetto nel quale l’allenatore fa sentire tutti importanti; lui cura i dettagli, ha rispetto per chiunque: dei calciatori, dei dirigenti, del pubblico, fino al magazziniere, i raccattapalle

 

Foto Aurelio Castellaneta

 

«TARANTO, COME FOSSE CASA MIA»

Sono stato sempre focalizzato su me stesso, anche quando altrove non ricevevo quell’incoraggiamento di cui un calciatore ha bisogno: non mi facevo distrarre dalla piazza, da quello che diceva la gente: Taranto è come se fosse casa mia, mi trovo bene, proseguo nel lavoro e nella preghiera, quanto può aiutarti a farti stare bene, a farti sentire importante e soddisfatto di quello che fai». Mamadou Kanoute, insomma, a Taranto, ha ritrovato la felicità. In queste settimane Mamadou è arrivato in doppia cifra, cosa che non gli era mai accaduta.

 non gli era mai successa: basti pensare che nelle precedenti due annate aveva realizzato soltanto sei gol in 60 apparizioni. Una certezza assoluta per Capuano: Kanoute, nella prima parte di stagione, ha anche risolto le problematiche realizzative di un Taranto che, in diverse circostanze, è andato in affanno negli ultimi 16 metri.

In serie C, Kanoute ha indossato, fra le altre, le maglie di Palermo, Catanzaro, Juve Stabia, Ischia, Benevento e Avellino. Ha totalizzato anche due presenze in serie A (Benevento) e otto in serie B (Pro Vercelli). Kanoute, ala destra molto veloce, forte nel dribbling, permette al tecnico Ezio Capuano di impiegarlo nel 3-4-3 nel tridente offensivo, nel 3-4-1-2, come seconda punta. 

«Vogliamo verità e giustizia»

Cutro, un anno dopo le novantaquattro vittime del “Summer Love”

Fiaccolata, veglia fino al mattino, l’inaugurazione del “Giardino di Alì”. Uno spazio all’ingresso della città che ospiterà 94 piante. Così il sindaco Vincenzo Voce spiega quanto ha voluto realizzare il Comune. «Giorni durissimi, ma i calabresi hanno dato prova di solidarietà e umanità straordinarie: dedicato al piccolo Alì, un bambino, una delle poche vittime identificate»

 

Novantaquattro vittime, trentacinque delle quali minori. Una decina di dispersi che è legittimo pensare abbia fatto la fine degli altri “fratelli” disperati. Cutro, Crotone, un anno fa la tragedia in mare. Più di un centinaio i migranti che a bordo del “Summer Love”, una barcaccia che all’alba del 26 febbraio dello scorso anno si schiantò non lontano dalla spiaggia contro una secca. Ce l’avevano quasi fatta quei ragazzi in cerca di uno spiraglio, in cerca di miglior vita. Diversa da quella patita nei propri Paesi d’origine: chi perseguitato politico, chi ridotto alla fame o al ricatto, oppure costretto a un lavoro sottopagato (quando andava bene…).

Lunedì hanno manifestato in tanti, rispondendo all’appello di “Rete 26 febbraio” lanciato in occasione del primo anniversario del naufragio. Sotto una pioggia insistente sono state promosse iniziative conclusesi con una fiaccolata e una veglia sulla spiaggia di Steccato di Cutro: «per non dimenticare e reclamare verità e giustizia», come riprende da testimonianze e scrive il giornalista Clemente Angotti nella sua corrispondenza da Crotone per l’Agenzia Ansa.

 

 

GOVERNO MELONI IN CALABRIA

Qualche giorno dopo la sciagura, il governo di Giorgia Meloni aveva promosso un Consiglio dei ministri proprio a Cutro varando un decreto per punire più duramente gli scafisti e governare i flussi migratori. “Verità e giustizia”, “Basta morti in mare”, sono stati gli slogan scanditi durante il corteo di Crotone. Al corteo ha partecipato anche Elly Schlein, segretaria del PD, che in precedenza aveva posto un cuscino di fiori e raccogliendosi in meditazione assieme a pescatori e ai volontari della Protezione civile, fra i primi soccorritori a giungere sul posto dopo il naufragio del “Summer Love”.

«Da un anno – ha dichiarato alla stampa la Schlein – ci domandiamo come sia stato possibile che non siano uscite le motovedette della Guardia costiera per dare soccorso ad un’imbarcazione da ore che era in difficoltà?».

Nella stessa mattinata, presente alla commemorazione, Khaled Ahmad Zekriya, ambasciatore della Repubblica islamica dell’Afganistan a Roma. Nell’occasione anche l’inaugurazione del “Giardino di Alì”, uno spazio all’ingresso della città che ospiterà 94 piante (lo stesso numero delle vittime) che il Comune di Crotone ha voluto realizzare in memoria dei morti della strage di Cutro.

 

 

«GIORNI DURISSIMI», PAROLA DI SINDACO

«Giorni durissimi – ha dichiarato il sindaco Vincenzo Voce – quelli che abbiamo vissuto, ma i calabresi, i crotonesi, hanno dato prova di solidarietà e umanità straordinarie: Il giardino è bellissimo, è dedicato ad Alì, un bambino, una delle poche vittime senza nome e successivamente identificato; abbiamo voluto farne un luogo che, attraverso quanto piantato, simboleggi la rinascita della città».

A proposito di Cutro e del Decreto voluto dal governo Meloni. Diverse sono state le novità introdotte nella gestione dei flussi legali d’ingresso dei migranti, per motivi di lavoro. Tra queste novità, la possibilità di far arrivare in Italia stranieri che abbiano completato percorsi di formazione professionale e civico-linguistica nei Paesi d’origine o di transito.

I programmi potranno essere proposti da diversi soggetti, da soli o in gruppo: dalle organizzazioni dei datori di lavoro a regioni ed enti locali, dalle associazioni del Terzo settore a università e istituti di ricerca ed altro ancora. A considerarne l’ammissibilità sarà una Commissione interministeriale, con al vetrice il Ministero del Lavoro. Entro sei mesi dalla conclusione del corso, chi ha partecipato a detta preparazione potrà avanzare domanda per un visto di ingresso, unita a un documento che attesti la volontà del datore di lavoro ad assumere.

Puglia, ciak si gira

Fra Taranto e Bari, una produzione internazionale cerca attori

Non è la prima volta che film di altissimo profilo vengono girati da queste parti. Da “I cannoni di Navarone” a “Third Person”, e attori da Gregory Peck a Liam Neeson, fino a “Comandante” con Favino, “Palazzina Laf” di e con Michele Riondino, e “Belli di papà” con Diego Abatantuono. Infine, lungometraggi d’autore: “Marpiccolo” (Alessandro Di Robilant), “Il Miracolo” (Edoardo Winspeare), “Le Acrobate” di Silvio Soldini

 

Un altro film sarà prossimamente girato in Puglia. E’ presto per capire quali siano regia, cast, trama del lungometraggio per il quale in questi giorni responsabili delle selezioni delle comparse, di attori di secondo piano ai quali far pronunciare, perché no, anche una battuta. Si cercano, infatti, giovani e meno giovani che abbiano il bernoccolo per la recitazione e sappiano parlare in inglese. Da qui si comprende già il primo elemento, eloquente: si tratta di una produzione internazionale. Non è la prima che ha luogo, per esempio, nelle nostre province una produzione di un certo spessore.

Basterebbe pensare ai “Cannoni di Navarone”, film vincitore di un premio Oscar, ambientato in Grecia nelle isole dell’Egeo (Navarone, località di fantasia). Ispirato agli avvenimenti della battaglia di Lero, il film irato nell’isola di Rodi. Parte degli esterni, infatti, fu girata alle Isole Tremiti, per la loro somiglianza con quelle della Grecia. Fra i protagonisti: Gregory Peck, David Niven ed Anthony Quinn. Ma i titoli potrebbero proseguire all’infinito, specie poi da quando è stata istituita Apulia Commission, fondazione nata nel 2007 con lo scopo di attrarre in Puglia il maggior numero di produzioni audiovisive nazionali ed internazionali.

 

 

CIAK SI “PROVINA”

Ma torniamo al prossimo film. Due, fra i diversi titoli, in qualche modo “pugliesi”, sono stati girati proprio a Taranto: “Comandante”, con Pierfrancesco Favino, e “Palazzina Laf”, di e con Michele Riondino ed Elio Germano. La Puglia diventa protagonista di un nuovo importante film internazionale: le riprese, stando a quanto riportato dal Corriere del Mezzogiorno, cominceranno in primavera, tra marzo e aprile. Non solo Taranto, ma anche Bari e le altre province pugliesi in diverse città pugliesi tra le quali Bari e Taranto in particolare. E’ già tanto che Serena Simone, autrice dell’ottima anticipazione riportata dal quotidiano che fa “panino” con il Corriere della sera, scriva di regista e cast stranieri, così come la società di produzione, Ilbe, Iervolino & Lady Bacardi, che ha diffuso un annuncio con il quale cerca personale per interpretare personaggi e piccoli ruoli previsti dal film.

I primi provini si sono svolti preliminarmente fra Bari (Accademia Unika, via Kolbe), e Taranto (Spazioporto, via Foca Niceforo). In questi giorni potrebbero esserci ancora altri provini, magari già diramati i primi “attori” insieme con nomi e regista del film. In particolare la produzione ha cercato donne e uomini di varie nazionalità (arabi, messicani, albanesi, libanesi) di età compresa tra i 18 e i 60 anni; donne e uomini, sempre tra i 18 e i 60 anni, con carnagione, occhi e capelli chiari e con carnagione, occhi e capelli scuri; anziani con visi particolarmente vissuti; bambini e bambine di età compresa tra i 4 e i 12 anni con carnagione, occhi e capelli chiari e con carnagione, occhi e capelli scuri.

 

 

MEGLIO SE “AMERICANI”

Per piccoli ruoli, si diceva, la società di produzione è alla ricerca di uomini di madrelingua inglese (americano) di età compresa tra i 25 e i 70 anni, oltre a uomini e donne di nazionalità albanese tra i 35 e i 55 anni. «Le figure delle quali siamo alla ricerca – riporta l’annuncio – non devono avere doppi tagli, colori e tinte particolari o mèche: i minori per partecipare ai casting devono essere obbligatoriamente accompagnati da almeno un genitore».

La società di produzione che ha eseguito le prime selezioni, come ricorda il Corriere del mezzogiorno, ha realizzato, fra gli altri, film e serie di caratura internazionale, come “Ferrari”, film di Michael Mann, e il film in sei puntate, “Memorie di Adriano”, tratto dall’omonimo bestseller di Marguerite Yourcenar.

 

 

FAVINO, ABATANTUONO, GLI ALTRI…

L’anno scorso in Arsenale, a Taranto, le riprese del film “Comandante”, con Pierfrancesco Favino nel ruolo del capitano medaglia d’oro al valor militare Salvatore Todaro.

Fra gli altri film, ricordiamo cinema d’autore, come “Marpiccolo” di Alessandro Di Robilant, “Il Miracolo” di Edoardo Winspeare, “Le Acrobate” di Silvio Soldini. Capitolo a parte “Third Person”, di Paul Haggis, con Liam Neeson, Adrien Brody (premio Oscar per “Il pianista”) e Kim Basinger, ambientato a Parigi, Roma, New York e Taranto.

Fra gli altri film al netto delle produzioni di Michele Massimo Tarantini, con Banfi, Carotenuto, Fenech, Montagnani e Alvaro Vitali, in particolare negli Anni 80, altri film sono stati girati fra Taranto e provincia. Fra i tanti, “Figli di Annibale” e “Belli di Papà”, con protagonista Diego Abatantuono e Silvio Orlando.