Da un successo di proporzioni internazionali alla “malattia”

D’Angiò, quello di “Ma quale idea”, si racconta. Una serie di operazioni: un tumore alla gola, uno ai polmoni. «Per fortuna ho avuto così tanto da fare che non ho avuto molto tempo per pensarci», confessa l’artista campano. «Ero considerato un prodotto di nicchia, ora sono famoso: questa cosa mi diverte». «Giovani artisti mi hanno contattato per propormi collaborazioni: mi aiutano a guardare al futuro, non al presente e trovo che tutto questo sia incoraggiante»

 

Domenica pomeriggio, sei in casa, la tv non ti soddisfa più. Troppi programmi urlati, troppi programmi autoreferenziali. Conduttrici che invitano ex mariti bisognosi di visibilità, presentatori “con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così” che invitano amici. E se non bastasse, amici degli amici.

Fino a quando non senti un brano familiare, passato chissà quante volte in radio, primi Anni Ottanta. Fra i ragazzi che ciondolano in studio e un signore attempato, magro, minimo settant’anni, non intercetti un volto che appare familiare. Uno di quelli che non puoi dimenticare, nonostante siano passati quarant’anni, mica un giorno.

«Questa la cantava quel simpaticone di Pino D’Angiò – mi viene da pensare in un istante – quel Borsalino lo indossava quando cantava e faceva ballare un milione di italiani con “Quale idea”; fra due dita di una mano una sigaretta, la fronte aggrottata, la posa da irresistibile latin lover, assunta per sceneggiare il testo: il primo rap italiano, le prime copie stampate, andate subito a ruba».

 

 

«MA E’ LUI O NON E’ LUI?»

Ho afferrato quel canale, Raiuno, “Domenica in”, in coda.  «Bnkr44 e Pino D’Angiò: “Ma quale idea”! Un grande applauso!». Applausi e via, forse avevano rilasciato un’intervista poco prima, mi documento. “Pino D’Angiò, la malattia, i tumori rimossi, ora sta meglio!”. Pino, conosciuto quarant’anni prima, l’incarnazione della vitalità, del coraggio, la voglia di cantare e fare cabaret, perché lui – qualsiasi cosa dicano le note biografiche, ufficiali o apocrife – viene da lì, da quel genere che spopolava in Francia, ironia e canzoni: cabaret. Pino non stava bene, si è sottoposto a una e più cure, a uno e più interventi. Adesso sta meglio, sorride, si è ripreso dopo la mazzata, non si piange addosso, incoraggia chi entra in quel dolorosissimo tunnel che è “il male incurabile”.

«Una volta incurabile, oggi ci sono fior di cure e chirurghi, se imbocchi corsia, sala operatoria, diagnosi e bisturi giusti, puoi anche cavartela, purché ci crediate, via diate coraggio e ne diate a chi vi sta intorno». Parole sante, Pino. Non hai perso nemmeno tanto della tua brillantezza. Ti invidiavo la bellezza, l’ironia, la spensieratezza: oggi ti invidio il coraggio. Quello che stai dando ad amici, familiari, fan, conoscenti occasionali.

“Ma quale idea”, breve ricerca: risale al 1981. L’album era “Balla!”. Lui, campano di Pompei, spiritoso com’era, aveva proseguito nel filone del doppio senso imboccato a quei tempi dagli Squallor, nemmeno a dirlo, suoi conterranei. Quel primo 45 giri, avete presente quei dischi neri con al centro un buco? Racconta di un’avventura in discoteca. In una intervista confessa che non avrebbe mai pensato di fare il cantante. «Per fare questo “lavoro” non ci vuole poi molto: un microfono, bastano venti, trenta euro, un amplificatore e il gioco è fatto. Sinceramente, non avrei mai pensato di fare questo nella vita», confessa in una intervista a “La Ragione”.

 

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«COME UN GIOCO…»

«Per me è stato sempre un gioco – insiste Pino, all’anagrafe Giuseppe Chierchia, settantuno anni – a soli ventisei anni ho vinto il mio primo Disco d’oro (quando per ottenerlo occorreva vendere un milione di copie e non solo cinquantamila, come accade oggi): mio padre era sì orgoglioso, ma poi, dopo un giro di parole, concludeva con la solita domanda: “Bello il Disco d’oro, ma un lavoro, Pino, quando te lo trovi?».

Oggi è un idolo fra i ragazzi. Il successo non ha età, come le idee, le canzoni belle e “Ma quale idea”, più che una canzone è un’idea. Proprio così. «Andavano forte i rap, le discoteche, allora ho messo insieme i due tempi: provo a scrivere un rap in italiano, sfondo della storia naturalmente una discoteca, un successo pazzesco».

Poi arriva la malattia: un tumore alla gola, a seguire quello ai polmoni. Un’operazione dopo l’altra, il fiato che manca. «Per fortuna – racconta ancora Pino – ho avuto così tanto da fare negli ultimi anni che non ho avuto molto tempo per pensarci: se non fosse stato così sarei rimasto a casa a guardare il muro e forse la depressione mi avrebbe accerchiato». Un solo cenno a quel brutto periodo, poi “La ragione” lo riconduce alla canzone, come è giusto che sia. Scacciamo qualsiasi brutto ricordo. Parliamo di musica e canzoni. «Fino ad oggi sono stato considerato un prodotto di nicchia, ora sono famoso. E questa, francamente, è una cosa mi diverte». Ecco il secondo tempo della vita artistica di Pino. «Alcuni giovani artisti mi hanno contattato per propormi collaborazioni: cosa dire, la cosa mi fa sorridere, questi ragazzi mi aiutano a guardare al futuro, non al presente e trovo che tutto questo sia incoraggiante». Coraggio, Pino.