«Genitori, frenate i social!»

Addio a Martina, quattordici anni, una vita negata

Assassinata con tre colpi di pietra sul capo. L’ex fidanzato reo confesso. Non si fa in tempo a seppellire una ragazza, che si registra un altro femminicidio. Lo psichiatra Paolo Crepet invita a porre un freno all’uso di internet, specie ai giovanissimi. «Decine di migliaia di ragazzine a tredici anni escono a mezzanotte; mai che un padre si metta davanti alla porta, anzi, le danno pure cento euro», dice lo studioso

 

Altro femminicidio. Il trentaduenne romeno fermato mercoledì con l’accusa di aver ucciso Maria Denisa Adas, ha confessato. L’uomo, guardia giurata, sposato e con due figli, dopo il fermo ha confessato. «Denisa mi ricattava, per questo l’ho uccisa». La donna, trent’anni, scomparsa il 15 maggio scorso a Prato, è stata ritrovata senza vita nei pressi di un casolare abbandonato. Era stata strangolata la stessa sera della sua scomparsa.

Apriamo con questo nuovo fatto di cronaca registrato appena due giorni fa (in realtà l’articolo lo scriviamo solo un giorno prima, cioè ieri), perché la storia sulla quale volevamo soffermarci in questa rubrica è un altro femminicidio, l’ennesimo, drammatico come può esserlo un omicidio, peggio se consumato ai danni di una donna, di una ragazza acerba nel caso di Afragola.

 

 

MARTINA, COLPITA TRE VOLTE

«Martina ha rifiutato un abbraccio: era di spalle e l’ho colpita», ha confessato Alessio Tucci, diciotto anni, femminicida reo confesso, davanti al giudice per le indagini preliminari. L’ha colpita con una pietra e con inaudita ferocia, come accade in uno di quei “crime tv” che tanto piacciono a papà, mamme e figlioli, che eleggono ad eroi chi senza farsi scrupoli risolve il problema, anche con violenza. Una violenza che si è abbattuta sul capo di quella ragazzina, di spalle, come se avesse dato al suo assassino l’ultima risposta con la quale lo invitava a tenersi lontano da lei.

Colpita tre volte violentemente così da toglierle il respiro, cancellarla per sempre alla vista di quel ragazzo così violento che fra i suoi princìpi non considerava nemmeno lontanamente un rifiuto. «E’ stato un attimo…», abbiamo sentito dire da qualcuno in circostanze simili, come se fosse plausibile che per attenuare il giudizio del giudice valga tutto, qualsiasi cosa: anche giustificare un gesto così efferato come se fosse un attimo di distrazione. Così, Alessio, l’assassino, ha nascosto il corpo di Martina in un armadio in un casolare di Afragola, dove poi è stato rinvenuto il corpo della poveretta. Durante l’interrogatorio, svoltosi nel carcere di Poggioreale, il ragazzo, accusato di omicidio pluriaggravato ed occultamento di cadavere, ha risposto alle domande del giudice, alla presenza del suo avvocato: «Non sappiamo se fosse viva – ha detto il legale dell’omicida – ma Alessio ha detto che la povera Martina non respirava più».

 

 

«NESSUN ACCANIMENTO», DICE LA DIFESA

«Comunque – la tesi difensiva dell’avvocato – non c’è stato accanimento; tre colpi, la ragazza ha perso i sensi quasi subito, ma nessun accanimento». Basiti è dir poco, ma non vogliamo fare il processo nel processo. Della posizione di certi programmi televisivi, al limite dell’osceno, ne abbiamo già scritto: siamo per la libertà d’informazione, ma non per lo sciacallaggio a favore di audience o di plastico, specie quello esercitato sul dolore che hanno, puntualmente, i parenti e gli amici più stretti delle vittime.

Ma veniamo a quanto ha attirato la nostra attenzione. L’ennesimo intervento, uno dei pochi avveduti e fatti senza cercare consensi, se non quello di accendere una spia su uno dei temi dei quali si discute spesso, a casa come a scuola: quello dello psichiatra Paolo Crepet: «Il raptus è un’insolenza per l’umanità», ha detto rilasciato all’agenzia giornalistica Adnkronos. Il risentimento che traspare dalle sue parole è una risposta ferma, secca, a quanti nel raccontare la cronaca descrivono questi assassini come persone normali trasformate improvvisamente in mostri. «Chi dice che ci sono esseri umani che fino al sabato pomeriggio sono dei santi – spiega Crepet – e poi lunedì sono dei feroci assassini, lo raccontino nelle più brutte favole della storia!».

La sua provocazione che sentiamo di condividere: «C’è qualcuno contro i social? Qualcuno che ha detto che a tredici anni non si possono usare i social? Decine di migliaia di ragazzine a tredici anni usciranno, non alle nove, a mezzanotte; non ho mai conosciuto un padre che si mette davanti alla porta. Anzi, non solo aprono la porta e gli dicono “divertiti”, ma le danno pure cento euro».

 

 

SOCIAL, PONIAMO UN FRENO!

L’uso indiscriminato dei social. «Se uno ha un profilo social a soli undici anni c’è un problema», sottolinea i rischi che questi strumenti comportano nelle relazioni sentimentali giovanili. Il revenge porn (vendetta porno, la condivisione pubblica di immagini o video intimi tramite Internet, senza il consenso dei protagonisti degli stessi, ndc) rappresenta l’evoluzione digitale della violenza di genere che Crepet denuncia da trent’anni. «La dipendenza da social e i disturbi comportamentali che ne derivano – considera il sito, sempre molto attento ai temi che maturano nell’ambito dello studio, orizzontescuola.it, creano terreno fertile per relazioni tossiche». Crepet sottolinea come la società abbia scelto di «non sentire il peso» di questa responsabilità, preferendo l’ipocrisia delle fiaccolate alla fatica di un’educazione digitale consapevole. «Il sexting e l’adescamento online – conclude la considerazione orizzontescuola.it – completano un quadro in cui i minori sono esposti a dinamiche adulte senza gli strumenti per comprenderle, creando quella “insolenza per l’umanità” che lo psichiatra denuncia con forza».

Referendum, “Sì” e “No”

Domenica 8 e lunedì 9 giugno alle urne

Fra i quesiti, cinque complessivi, quello sulla cittadinanza italiana (scheda gialla). L’obiettivo sarebbe il perfezionare una legge che risale a  al 1992. Interviene su uno dei requisiti necessari per presentare la domanda di cittadinanza, dimezzando, da dieci a cinque, gli anni di residenza continuativa in Italia necessari

 

Domenica 8 e lunedì 9 giugno, in concomitanza con il turno di ballottaggio delle Amministrative (il primo turno si è svolto il 25 e 26 maggio), i cittadini sono chiamati a votare per i cinque referendum popolari abrogativi: quattro in tema di lavoro e uno relativo alla cittadinanza italiana (scheda gialla).

Detto che per avere validità un referendum deve superare il quorum del 50% più un voto, si parla dei quattro referendum per il lavoro, importanti, un po’ meno di quello sulla cittadinanza, così ci piace intanto iniziare dalla fine, perché questo riguarda due milioni di “italiani” non ancora regolarizzati. Dunque, il “Sì” al quinto referendum, va ricordato, sarebbe un primo significativo passo avanti per rendere migliore una legge che risale a più di trent’anni fa, e cioè al 1992, e che nel nostro Paese attualmente regola l’acquisizione della cittadinanza italiana. Nello specifico, il referendum, la quinta scheda, interviene su uno dei requisiti necessari per presentare la domanda di cittadinanza, dimezzando, da dieci a cinque, gli anni di residenza continuativa in Italia necessari. Tutti gli altri requisiti (reddito stabile, conoscenza della lingua, non aver commesso reati, aver pagato le tasse) restano invariati. Se un italiano condividesse la legge esistente, può mettere una croce sul “No”.

 

 

DUE MILIONI “ITALIANI” IN ATTESA

«Un quesito tanto semplice quanto impattante – si legge – sulla vita di oltre due milioni di persone che potrebbero accedere allo status di cittadini e cittadine dopo tanti anni di lavoro, studio e residenza ininterrotta in Italia». «Poter chiedere di essere cittadini italiani – spiega Renato Benedetto sulle colonne del Corriere della sera – dopo cinque anni di residenza nel Paese anziché dopo dieci: di questo tratta, andando a stringere, il quinto quesito, quello che si troverà sulla scheda gialla ai referendum dell’8 e 9 giugno, l’unico che non riguarda il lavoro; meglio sgomberare il campo subito, allora, dicendo di cosa non si tratta: non si parla di ius soli, né di ius scholae, di  minori che diventano cittadini italiani per nascita o per aver frequentato cicli scolastici: il quesito riguarda la cittadinanza italiana richiesta per residenza e si propone di accorciarne i tempi».

In breve: se vincesse il “Sì” e il referendum raggiungesse il quorum: la richiesta potrà essere avanzata dopo cinque anni; al contrario, se a vincere dovesse essere il “No”, la richiesta, come è oggi, continuerà a poter essere avanzata solo dopo dieci anni. Cosa cambia per i minori. «Con il referendum – spiega Benedetto – non si modificano i termini per i minori stranieri (che oggi possono acquisire la cittadinanza italiana se lo richiedono al compimento dei 18 anni, purché abbia risieduto in Italia legalmente e ininterrottamente dalla nascita).  Ma il dimezzamento dei tempi, in generale, per la richiesta di residenza indirettamente può riguardarli: i figli minori di chi acquista la cittadinanza italiana, se convivono con lui, la acquisiscono a loro volta». Il termine dei dieci anni è tra i più lunghi in Europa. Cinque sono gli anni che servono, ad esempio, in Francia, Germania, Portogallo, Paesi Bassi e Svezia. Dieci in Spagna.

 

 

I NODI DEL LAVORO

E veniamo agli altri referendum. Quesito numero 1 (scheda verde chiaro): legittimità sui licenziamenti. Il “SÌ” al referendum renderebbe più forte il diritto a non essere licenziati senza un valido motivo, nelle imprese con più di quindici dipendenti, ampliando i casi in cui si ha diritto a essere reintegrati sul posto di lavoro. “No” se si è di avviso contrario

Quesito numero 2 (scheda arancione). Il “SÌ” al referendum rende più forte il diritto a non essere licenziati senza un valido motivo, nelle imprese fino a quindici dipendenti, rendendo possibile un indennizzo più alto. “No” se non si è d’accordo.

Quesito numero 3 (scheda grigia): lavoro precario. Il “SÌ” al referendum mette uno stop all’abuso dei contratti a termine che, nel marzo del 2025, occupavano 2 milioni e 700 mila persone. “No” se si è di opinione contraria.

Quesito numero 4 (scheda rosso rubino): sicurezza sul lavoro. Il “SÌ” al referendum amplia la responsabilità in solido (ovvero di dovere corrispondere all’infortunato il risarcimento deciso dal giudice) dell’impresa appaltante nel caso di incidenti sul lavoro negli appalti e subappalti. “No”, nel caso non foste convinti sul quesito anzidetto.

«Siete in Puglia, dimenticate la dieta!»

Il video di uno steward Ryanair diventa virale

Diverte i passeggeri, promuove la cucina locale. Mette in guardia che non è il caso di fare vacanza e mantenere la linea. Quando si arriva in questa regione, non si contano le tentazioni della tavola

 

«Non pensate alla dieta, lasciatevi tentare dalla cucina regionale, non ve ne pentirete benvenuti in Puglia!». Non è una guida a pronunciarsi in questo modo, ma lo steward di un volo Ryanair che sta per atterrare nell’aeroporto di Bari. Non è proprio questo il messaggio, di questo ne scrive brillantemente Leonardo Pasquali nel suo report sul sito everyeye.it, ma è quanto in sintesi ha praticamente dichiarato lo steward, che con una mano reggeva il microfono e con l’altra già si vedeva a reggere una forchetta, comodamente seduto in uno dei tanti ristoranti del capoluogo barese. Di sicuro, dalla brillantezza e dall’ironia dello steward che la mette sul piano della “dieta pugliese”, un invito non una prescrizione, ne beneficia la compagnia aerea Ryanair. Questo è fare marketing. Questo dovremmo imparare per fare sempre più squadra: vanno bene i manifesti 3×4 e le locandine che raccontano e promuovono la Puglia nelle stazioni e negli aeroporti di Milano e Roma, ma Michele Emiliano dovrebbe tenere d’occhio anche queste forme promozionali per quanti arrivano in Puglia in aereo o in treno.

 

 

TU CHIAMALE, SE VUOI, STRATEGIE

Tu chiamale, se vuoi, strategie. Non sappiamo quanto ci sia della strategia di Ryanair e quanto dell’improvvisazione dello steward, sta di fatto che il fiuto di Pasquali ha posto per un giorno la compagnia aerea low cost irlandese al centro della cronaca. Finalmente una notizia bianca, finalmente un pensiero positivo, con tutta quella politica e quella cronaca nera che in questi giorni lottizza le prime pagine dei giornali. Piatto ricco, mi ci ficco: sulla notizia, e hanno fatto bene, si sono fiondati fiori di siti e organi di informazione che rivendicheranno la paternità del servizio. Una cosa è certa, everyeye.it, il sito che posto la notizia al centro della sua pagina il 30 maggio scorso, ha avuto l’intuizione che questa rappresentasse “la notizia”, quelle che noi tutti cerchiamo. “Penso positivo”, appunto, l’invito stavolta allude a Lorenzo Jovanotti.

Passetto indietro, la narrazione. L’aereo atterra con qualche minuto di anticipo. Lo steward alza la cornetta e parte compie il suo annuncio all’indirizzo dei passeggeri. Il tono è, però, ironico. Di questi tempi una modalità che andrebbe incoraggiata. Ai viaggiatori strappa sorrisi, mentre il video di questa breve, ma divertente performance diventa virale.

 

 

BENVENUTI IN PARADISO

«Benvenuti a Bari, siamo in anticipo di qualche minuto», si legge su everyeye. Il tutto mentre l’aereo sta per scivolare sulla lunga pista dell’aeroporto pugliese. Lo steward si rivolge ai presenti a bordo: dà il “bentornato” ai baresi, che il territorio, cucina compresa, lo conoscono bene, mentre ai turisti augura, in senso ironico, “buona fortuna”. Dove sta l’augurio: i turisti, con tutto il rispetto per le mitiche dodici fatiche di Ercole, dovranno superare le infinite tentazioni gastronomiche che questa magnifica terra ha da offrire.

«Adesso finalmente – argomenta lo steward, che meriterebbe l’attestato honoris causa come guida – potrete respirare l’aria pugliese; per i visitatori sconsiglio di seguire un regime alimentare rigido, la dieta: se ci riuscite mi complimento con voi». Più di così. Applauso e standing ovation. Anche perché adesso c’è da tirare fuori i bagagli e poi, ma non c’è bisogno che questo lo ricordi lo steward, si è fatta “una certa” ed è l’ora di pranzo. Il languore era parcheggiato in un angolo dello stomaco, dopo l’annuncio ecco il desiderio: «Dov’è il più vicino ristorante? Grazie…».

«Papa io? No, grazie…»

Francesco, il pontefice in una biografia di Fabio Marchese Ragona

Da ieri il libro “Life: La mia storia nella Storia, (HarperCollins) anche in edicola, presto un film. I retroscena, le anticipazioni in una bella intervista di Virginia Piccolillo per il Corriere della sera. «Inconsciamente non volevo essere eletto, il mio pensiero andò a mia nonna ai poveri in Argentina», spiega il vaticanista di Mediaset

 

Simpatico, catturato dalla battuta, tanto era il senso dell’ironia che aveva, ma anche determinato. Carattere forte, quando c’era da tirare fuori la grinta e non ci riferiamo al pugno che mostrò a un giornalista quando confessò che se gli avessero offeso la mamma avrebbe risposto con un “cassotto, con quel suo tipico accento argentino. Jorge Mario Bergoglio, per tutti Papa Francesco, il pontefice amato da tutti e scomparso il 21 aprile scorso, farà parlare ancora per tanti anni di sé. Ieri, sabato 3 maggio, per esempio, grande iniziativa del Corriere della sera e della Gazzetta dello sport. Insieme con una copia dei due giornali, ad un prezzo contenuto, in edicola è stato pubblicato il libro “Life: la mia storia nella Storia” di Fabio Marchese Ragona. Un testo dal quale sarà tratto un film prodotto dalla Casa di produzione Lucky Red.

Proprio il Corriere della sera, in un bell’articolo di Virginia Piccolillo, riporta alcune impressioni dello scrittore e autore della biografia di Papa Francesco. Marchese Ragona racconta di un pontefice sempre pronto alla battuta, buono sì, ma non ingenuo.

 

 

«SENSIBILE, IRONICO, DETERMINATO»

«Sensibile, ironico e determinato», dice il vaticanista Mediaset Fabio Marchese Ragona.Sulle prime Papa Francesco era restio nel rilasciare una biografia. Forse gli sembrava un atto di presunzione, o forse pensava che non fosse il caso di farlo per via di qualche questione, sia chiaro non a causa sua, rimasta irrisolta. Eppure l’autore di “Life: la mia storia nella Storia”, è riuscito nell’impresa. «Gli dissi che sarebbe stato bello ascoltare la sua storia attraverso i grandi eventi – rivela alla Piccolillo – ma accettò in quanto, da anziano, gli interessava che fossero i giovani a leggerlo, ascoltarlo: a loro, Sua Santità, voleva lasciare un messaggio». Un bilancio, anticipa per quanti ancora non avessero fra le mani il libro appena pubblicato ieri, fatto di gioie, dolori, successi e anche sconfitte.

Senza tanto anticipare i temi, trattati con puntualità e competenza nel libro, la giornalista del Corsera, ricava il titolo della sua intervista ripresa dalle agenzie e dai siti di tutto il mondo. Un “retroscena del Conclave”, domanda Virginia Piccolillo. «Mi ha detto di aver capito – le risponde Fabio Marchese Ragonasubito dopo pranzo, quel giorno, che sarebbe stato eletto; non voleva entrare nella cappella Sistina: si soffermò con il cardinaleRavasi a discutere di libri sapienziali, tanto che li richiamarono: “Inconsciamente – ammette Bergoglio – non volevo essere eletto”».

 

 

LA GUERRA, LA PACE, L’ELEZIONE

Papa Francesco e lo scoppio della guerra. «Aveva solo tre anni, gli ho chiesto come facesse a ricordare – dice il vaticanista al quotidiano edito da Cairo – si apriva e confessava di avere dei flash: “Mamma e papà urlavano: ‘Hitler è un mostro’; Margherita Musonero, amica di nonna, ci raccontava cosa succedesse ai parenti in Italia; a noi bambini ci mandavano via, ma origliavamo e sentivamo di storie di piccoli separati dalle mamme: un trauma”». Poila fine della guerra e la pace. «Ricordava una vicina che gridava a sua mamma: “Signora Regina, esca, è finita la guerra”. Vedere quelle donne semplici piangere, felici, per la pace, diceva, lo ha segnato e convinto a lottare sempre contro le guerre».

Virginia Piccolillo domanda se Papa Francesco si sia mai commosso nel suo racconto. «Sì, della dittatura in Argentina: “Un genocidio generazionale”. Ha detto di aver fatto tutto ciò che poteva». Le accuse di complicità con il regime. «Andò da Videla – dice Marchese Ragona – a celebrare messa, per liberare due confratelli gesuiti; ci riuscì ma non poténemmeno salvare la sua amica Esther».

E per concludere, anche se l’intervista è molto più lunga (da recuperare, lo stesso il libro pubblicato ieri, ma ancora in edicola), a proposito degli scherzi che gli piaceva fare e il primo pensiero davanti alla folla che lo acclamava alla sua elezione a pontefice. «Una volta mi chiamò dicendo: “Sono el Coco che significa l’Uomo nero – anche se mi vesto di bianco”; una volta eletto il suo pensiero lo rivolse alla nonna, alla mamma e ai poveri di Buenos Aires che non avrebbe rivisto».

Banfi colpisce ancora…

L’attore pugliese diventa testimonial di una campagna promossa dall’Arma dei carabinieri

Il Lino Nazionale conferma in pieno la sua grande umanità, mettendosi a disposizione degli anziani vittime di raggiri. Ospite della Masseria Don Cataldo insieme con Ron Moss (“Ridge” di Beautiful), durante le riprese del film “Viaggio a sorpresa” in tanti apprezzammo le sue doti di attore e di persona sensibile. Durante il lavoro, ma anche dopo i ciak, quando il regista stoppava i lavori

 

Lino Banfi è il nuovo testimonial della campagna di comunicazione promossa dall’Arma dei Carabinieri contro le truffe agli anziani. La scelta dell’attore pugliese, per tutti “Nonno Libero”, il nonno più amato d’Italia, viene motivata dall’esigenza e dal desiderio di avvicinarsi ancora di più agli anziani. Scopo principale, secondo le spiegazioni fornite dal comunicato diffuso dall’Arma dei carabinieri, trasmettere in modo immediato e allo stesso tempo efficace, consigli utili alla Terza età perché questa possa difendersi dai continui raggiri di cui, questa, è bersaglio. Specie nel periodo estivo, quando l’anziano viene isolato nel periodo delle vacanze estive. E’ proprio allora, che la gente in età diventa facilmente oggetto di raggiri da parte di malviventi senza scrupoli.

Insomma, Banfi, ottantotto anni, mai così sulla breccia, nemmeno quando era l’incontrastato re della commedia all’italiana. Tanto per intenderci, il comico pugliese è stato l’attore più ricercato da registi e produttori cinematografici nel periodo fra la stagione più bella del genere “all’italiana”, con Sordi, Gassman, Tognazzi e Manfredi su tutti, e la lunga serie di “cinepanettoni”, con Boldi e De Sica su tutti.

 

 

RE DEI BOTTEGHINI…

Banfi era l’incontrastato re dei botteghini, che recitasse da preside o professore un po’ strapazzato, ora da Gloria Guida, ora da Edwige Fenech, con le incursioni delle più belle che brave Nadia Cassini e Barbara Bouchet.

Banfi dopo aver coronato il suo sogno di attore al cinema, aveva virato alla conduzione, alle ospitate in tv, da Mediaset (contratto principesco) alla Rai, per vivere una seconda stagione di successi in qualità di protagonista di sceneggiati e film per la tv. Fra tutti, la serie di “Nonno Libero”. In realtà nata come “Un medico in famiglia”, oscurata dalla popolarità e, naturalmente, dalla bravura dell’attore che in qualche occasione non ha disdegnato di misurarsi con personaggi “seri”, qualche volta dai toni drammatici.

Banfi, e lo diciamo con un pizzico di orgoglio, abbiamo avuto modo di conoscerlo da vicino. La casa di produzione del film “Viaggio a sorpresa”, del quale il Lino Nazionale è stato protagonista insieme con Ron Moss (il Ridge di “Beautiful”), volle girare buona parte delle scene nella Masseria Don Cataldo di Martina Franca.

 

Banfi, ospite della Masseria Don Cataldo

 

MASSERIA DON CATALDO, COME A CASA…

Fu in quel periodo che apprezzammo anche le sue qualità umane, tanto da non stupirci affatto nell’apprendere che l’attore aveva dato disponibilità per realizzare una campagna pubblicitaria accanto all’Arma dei carabinieri in difesa delle fasce più deboli, nello specifico dei più anziani, molto spesso vittime di truffe e raggiri.

Nei contenuti che saranno diffusi sulle piattaforme social dell’Arma e sui media – conferma una nota dell’agenzia giornalistica Ansa – l’artista pugliese e il Comandante di stazione del quartiere in cui vive mettono in guardia gli spettatori dalle truffe. Nel corso del “botta e risposta” con il suo comandante di stazione, Banfi, con l’inconfondibile stile che lo contraddistingue, racconta di alcuni suoi conoscenti che hanno subito truffe, per poi cedere la scena al maresciallo dell’Arma che esorta il pubblico all’ascolto a prestare massima attenzione alla comunicazione ed a rivolgersi con fiducia ai carabinieri chiamando formulando il 112.

 

Masseria Don Cataldo – Una pausa delle riprese di “Viaggio a sorpresa”

 

“112” E “CARABINIERI.IT

Il contributo video si conclude con l’invito, per chi potesse farlo, avesse una certa dimestichezza con i social, a consultare il sito Carabinieri.it . Nel sito, infatti, sono illustrate le principali tipologie di truffe e come riconoscerle. Le tecniche adottate dai truffatori, infatti, per quanto subdole e fantasiose, hanno schemi ricorrenti: individuarli è il primo passo per difendersi. Un invito, perché no, anche ai parenti più stretti, nel non perdere di vista i propri congiunti che hanno superato gli “anta”. Avere un po’ di pazienza, perché tante volte l’anziano non ammette la sua vulnerabilità, tantomeno a confessare un episodio del quale è stato vittima. Parlarne, infatti, anche a cose avvenute, può evitare che altri anziani subiscano gli stessi torti allertando così le Forze dell’ordine.

Oltre a questa iniziativa, è stata realizzata una locandina che sarà affissa in tutte le caserme, nelle parrocchie e nei luoghi di ritrovo degli anziani, e un opuscolo pieghevole da distribuire ai cittadini.

Cari, carissimi italiani…

E’ cominciata l’estate più costosa degli ultimi cinquant’anni

Codacons impietoso. Tutto aumentato, fino al 30%. Utenze e benzina per prime, poi tariffe autostradali e alberghi. I ragazzi preferiscono le case-vacanza. Ma due italiani su tre, nonostante pagheranno duecento euro in più a testa, sono già in auto, in fila. Ma dopo la pandemia non dovevamo essere tutti più buoni?

Foto 24Emilia.com

Foto 24Emilia.com

Le vacanze di quest’anno sono le più care degli ultimi cinquant’anni. Due italiani su tre partiranno nonostante i prezzi. Gli italiani spenderanno fino a duecento euro in più a testa: dai trasporti ai pernottamenti. Eppure. Eppure, ricordate il primo, il buonista, che diceva “Dopo la pandemia diventeremo tutti più buoni”; l’altro, il pragmatico, “Dici? Non conosci gli italiani!”.

Così è stato. Avremmo voluto dare ragione al primo: hai visto mai, l’italiano cambia modalità e dopo la paura da covid diventa più malleabile, più disposto nei confronti del prossimo. Invece, ha ragione il senso del pratico: gli italiani sono furbi, la politica rispecchia il carattere dell’italiano medio: moralizza, poi per non perdere la poltrona, da un lato promette massima attenzione nei confronti di quanti applicano aumenti indiscriminati a qualsiasi livello: benzina, luce, gas, perfino autostrada. Lavorare, recarsi al posto di lavoro in auto, oggi ha un costo superiore alla media europea. Non esistono collegamenti, così ti tocca l’auto, a condizioni esagerate ovviamente.

Ma non allontaniamoci troppo dall’argomento principale posto in modo impietoso dal Codacons, il coordinamento per gli utenti e i consumatori, e ripreso in un ampio e dettagliato servizio dal TgCom24.

Queste vacanze estive passeranno alla storia come le più care degli ultimi cinquant’anni. Secondo il Codacons si registrano aumenti: dagli spostamenti tra aerei, traghetti e carburanti. Per i voli nazionali si registra un aumento di 1/3 in più rispetto allo scorso anno, mentre le tariffe dei voli internazionali sono raddoppiate. La benzina costa circa il 30% in più rispetto allo scorso anno. Volendo fare un calcolo approssimativo: per andare in ferie ogni persona spenderà circa 200 euro in più. Ma, attenzione, è sicura anche un’altra cosa: due italiani su tre partiranno comunque.

Foto Leoniblog

Foto Leoniblog

OMBRELLONI, PIU’ 75 EURO

Una vacanza di dieci giorni, in base alle stime del Codacons, quest’anno costerà tra il 15% e il 20% in più rispetto allo scorso anno, considerando le spese per spostamenti, pernottamenti, cibi e servizi. Lo scorso anno la spesa pro-capite era di 996euro a persona; oggi è attestata su 1.195euro, con un incremento di spesa che potrebbe raggiungere circa duecento euro a testa. Conto più salato per chi trascorrerà le vacanze all’estero.

L’Istat, intanto, registra rincari fino a tre cifre per il comparto turistico iniziando dagli spostamenti. Il Codacons sostiene che: chi deciderà di partire per la villeggiatura dovrà mettere in conto aumenti inattesi per aerei, traghetti e carburanti. I voli nazionali costano un terzo in più rispetto all’estate 2021 (+33,3%), mentre le tariffe dei voli internazionali sono più che raddoppiate, segnando percentuali record (+124,1%). Non andrà meglio a chi deciderà di muoversi in auto: in base agli ultimi dati “Mite” rielaborati dal Codacons, la benzina costa oggi in media il 27,7% in più rispetto allo scorso anno, il gasolio addirittura il 37% in più. Rincari che incideranno in modo pesante sulla spesa per il pieno, specie per chi percorrerà lunghe tratte e si sposterà dal nord al sud Italia.

Non solo. Si profilano a breve anche aumenti dei pedaggi autostradali che, secondo recenti indiscrezioni, potrebbero salire dell’1,5%. Sul fronte dei trasporti marittimi, i traghetti registrano aumenti del +18,7%, mentre diminuiscono le tariffe ferroviarie (-9,9% su base annua). Da segnalare infine rincari anche sul fronte dei servizi nautici: imbarcazioni, motori fuoribordo ed equipaggiamento per imbarcazioni costano il 14,7% in più.

Foto Orticaweb

Foto Orticaweb

NOTTI MAGICHE?

Le strutture ricettive, rendiconta Codacons, hanno applicato rincari elevatissimi: in albergo, motel e pensioni si pagherà in media il 21,4% in più rispetto allo scorso anno. Il mare resta la meta preferita degli italiani, forse perché considerata la meno costosa. Almeno sulla carta. Sono pronti a partire due italiani su tre. Mete preferite Puglia e Sicilia. I giovani con meno di trentacinque anni prediligono di gran lunga la casa-vacanze rispetto all’albergo. La metà degli italiani percorrerà un media di cinquecento chilometri per raggiungere la destinazione. Due italiani su tre, si diceva, partiranno nonostante l’emergenza pandemia non sia ancora finita e, a questa, si siano aggiunti i temi della guerra e del caro-vita, oltre alla siccità. Due estati fa solo un italiano su due aveva deciso di partire comunque.

Altra voce che registra aumenti pesanti è quella relativa all’alimentazione, “voce” indispensabile durante le vacanze: bar e ristoranti hanno ritoccato i listini. I bar del +4,6%, mentre i generi alimentari una media il 9,1%. Musei, parchi e giardini “costeranno” invece il 3,2% in più, mentre andare a cinema, teatro o concerti costerà il 2,3% in più. E per finire: nota dolente. Gli stabilimenti balneari: in base alle stime del Codacons, hanno applicato sul territorio rincari medi tra il 5% e il 15%, a seconda della località e della tipologia di struttura.

Joof, fine di un sogno

Aveva trentacinque anni, è morto in una baracca a causa di un incendio

Ancora una vittima nel Foggiano. Salgono a dieci negli ultimi sei anni le vittime di quanti si rifugiano nella periferia. Impegnato nei campi, viveva fra quattro lamiere. «Fuggito da San Severo, a causa del “decreto Salvini”: non potendo rinnovare il permesso di soggiorno si è accampato nel ghetto», dice un sindacalista

«Sono fuggito dal mio Paese per fare una vita meno sofferta, fare un po’ di fortuna e far “salire” i miei familiari». Ci sembra di sentirlo, Joof Yusupha, trentacinquenne gambiano, morto nei giorni scorsi a Rignano Garganico a causa di un incendio che ha distrutto due baracche, incollate da uno sputo in quell’insediamento spontaneo di migranti ribattezzato “Torre Antonacci” (nelle campagne tra San Severo e Rignano Garganico). Rimasto intrappolato in una delle baracche esistenti, il corpo del giovane è stato rinvenuto carbonizzato. Joof, fine di un sogno.

Non è il primo episodio che si registra in Puglia, il decimo in provincia di Foggia nel giro di qualche anno. In quella cittadina ai bordi della Capitanata, dove spesso sentiamo storie di sfruttamento e intimidazioni malavitose, vivono migranti impiegati prevalentemente nei campi agricoli.

«E adesso chi glielo dirà ai suoi parenti?», diceva un suo compagno, anche lui accampato in quella baraccopoli provvisoria che non ha nemmeno lontanamente a che fare con una abitazione civile. Il giovane riflette a voce alta, a pochi metri da lui i vigili del fuoco e carabinieri. Distoglie lo sguardo dal corpo del suo compagno, una scena cui non si può assistere. Non si avvicina di più per prudenza, tante volte a qualcuno venisse in mente di chiedergli documenti e rispedirlo in patria, lo stesso Paese di Joof, il Gambia. Perché, come Joof, anche lui non ha i documenti in regola (nessun rinnovo del permesso di soggiorno a causa del cosiddetto “decreto sicurezza”). Il terrore dell’espulsione li avevano di fatto allontanati dalla città, spedendoli in periferia dove i controlli non sono così stringenti.

Foto: Rai

Foto: Rai

DAL GAMBIA ALLA BARACCA

In Gambia, il Paese dello sfortunato ragazzo morto nella baraccopoli, c’è ancora confusione politica. Regime totalitario per anni, poi elezioni che sovvertono il governo. Atto di forza del dittatore per riguadagnare il suo posto, infine un intervento militare che pone fine a disegni bellicosi. Ora, pare stiano un po’ più sereni, ma la fame, la mancanza di lavoro si avverte tutta, non c’è niente da fare. E allora, tanti Joof fuggono, si imbarcano, sperano di ritagliarsi uno straccio di vita.

Intanto, il connazionale di Joof, impegnato con lavori saltuari nei campi, in un colpo solo ha perso il suo amico e collega, e il giaciglio esposto ai quaranta gradi di una canicola estiva che in Puglia, proprio a Foggia, non conosce soste. Non facesse così caldo, scriveremmo che piove sul bagnato.

Le fiamme sarebbero state di natura accidentale. L’incendio potrebbe essere divampato a seguito di un corto circuito o a causa del malfunzionamento di una cucina di fortuna allestita nelle baracche.

Il superstite gambiano racconta ai primi giornalisti intervenuti sul posto cosa potrebbe essere accaduto. «Abbiamo aiutato noi a spegnere le fiamme – dice – nessuno di noi sapeva che nella baracca ci fosse il povero Joof: si sono accorti della sua presenza, il corpo carbonizzato, quando sono entrati alla ricerca di documenti». «Il mio connazionale – aggiunge – ha sempre vissuto nella baracca distrutta dall’incendio, come me lavorava tutti i giorni nei campi».

Foto: Il Messaggero

Foto: Il Messaggero

E’ BELLO ESSERE FELICI…

E pensare che un immigrato aveva inciso la frase “E’ bello essere felici” (“Is good to be happy”). Invece ecco l’ennesimo incendio nei ghetti della Capitanata, un altro morto nel giro degli ultimi sei anni. Due nel 2017, sempre a “Torretta Antonacci”; altri quattro tra il 2018 e il 2020 nel ghetto di “Borgo Mezzanone”, tra Foggia e Manfredonia; uno nel 2016 nel “Ghetto dei Bulgari” (in località “Pescia”); l’ultimo episodio, prima della morte di Joof, lo scorso 17 dicembre quando nel rogo della loro baracca nel ghetto di Stornara, muoiono due fratellini rom bulgari di quattro e due anni.

L’ultimo incendio assassino in piena notte, alle 4. Due le baracche interessate, dove vivevano in quattro, ma solo Joof è rimasto coinvolto. A rinvenirne il corpo fra quelle pareti di lamiera, si diceva, i vigili del fuoco.

Infine, la denuncia di Daniele Iacovelli, segretario provinciale della Flai-Cgil da tanti anni accanto a questi lavoratori. «Joof viveva a San Severo, poi a causa del “decreto Salvini” non è riuscito più a rinnovare il permesso di soggiorno ed è dovuto venire a vivere al ghetto in una baracca di lamiere. Ma come si fa a dormire là dentro con 40 gradi?».

Pasqua di riconciliazione

L’abbraccio cattolico al mondo intero

Pace per le persone e i popoli tormentati da violenze e ingiustizie. Il dolore causato dai conflitti in Medio Oriente, Africa e altri Paesi, i cristiani perseguitati, i migranti e i rifugiati, gli anziani che perdono la gioia di vivere. Un pensiero rivolto dalla Chiesa all’immensa sciagura di lunedì scorso, Notre-Dame de Paris.

Riconciliazione e pace a popoli e persone tormentati da violenze e ingiustizie. E’ il pensiero cristiano rivolto a tutto il mondo, non solo a quello cattolico. Lo ricorda e lo ha ricordato spesso Papa Francesco. E il suo pensiero, come sempre, è per il dolore dei conflitti in Medio Oriente, Africa e altri Paesi; ai cristiani perseguitati, a anche migranti e rifugiati, e a quanti nelle nostre società perdono speranza e gioia di vivere, agli anziani sopraffatti dalla solitudine sentono venire meno le forze, ai giovani a cui sembra mancare il futuro.

Questo è il segno nel quale è necessario vivere la Santa Pasqua. La Risurrezione indica sentieri di speranza. Un abbraccio di amore fra popoli e culture nel bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente, favorendo la convivenza anche fra hanno visioni opposte, ma mai violente.

Tutto illuminato dalla notizia: «Gesù Cristo, incarnazione della misericordia di Dio, per amore è morto sulla croce e per amore è risorto. Di fronte ai vuoti spirituali e morali dell’umanità, di fronte a voragini che si aprono nei cuori e che provocano odio e morte, solo un’infinita misericordia può darci salvezza. Solo la preghiera può riempire col suo amore questi vuoti, questi abissi, e permetterci di non sprofondare ma di continuare a camminare insieme verso la Terra della libertà e della vita». Sono parole sulle quali spesso torna Papa Francesco, quando si rivolge a oltre un miliardo di cristiani e miliardi di fratelli di altre fedi, tutte unite nel professare amore e non violenza. E’ la Pasqua.

Si dice Pasqua, ma il pensiero non può che andare al pomeriggio di lunedì scorso. Notre-Dame de Paris, cade sotto gli occhi di tutti. C’è la tv, i grandi network che accendono i riflettori su una delle tragedie più immani della storia contemporanea. L’altra che ci viene in mente, naturalmente, ma per contenuti diversi, è il disastro dell’Undici Settembre. Il disastro è completo: si stacca la guglia e si abbatte al suolo con i suoi mille anni di storia. E’ finita. Il mondo, non solo quello Occidentale, partecipa a un dramma, alla caduta di un monumento “non solo cattolico”. Notre-Dame è un’opera d’arte, è un racconto, un dramma, è tanta Francia messa insieme. Una Francia che circola per il mondo con una bellezza da togliere il respiro.

Pasqua, Notre-Dame e il Mondo cattolico. È il «cuore spirituale» della Francia. Ma non «solo». è simbolo della storia della Chiesa. E dell’umanità. Monsignor Hyacinthe Destivelle OP, responsabile della sezione orientale del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, descrive così Notre Dame, distrutta dall’incendio. Uno choc per il mondo intero, a cominciare dalla Francia e anche dalla Santa Sede. La cattedrale parigina rappresenta «la bellezza» che il credo può creare, perciò il Prelato ha una speranza concreta: «Possa questa tragedia ricordarci la ricchezza che la fede cristiana è stata per i nostri Paesi e continuerà a essere». «È un’emozione drammatica immensa vedere bruciare Notre Dame: è il cuore spirituale della Francia. Esprime nelle sue pietre la fede delle persone che l’hanno costruita nel corso dei secoli. La sua bellezza ha anche dato la fede a migliaia di cristiani. Il suo mistero ha ispirato i più grandi autori, al punto tale da convertirsi».

«Sono nostri concittadini»

Rinaldo Melucci, sindaco di Taranto

Visita la comunità islamica. «Importante il confronto culture diverse. Giusto impegnarsi per questa gente. Chiunque abbia altri pensieri per la testa è fuori luogo». L’impegno dell’Amministrazione per trovare un luogo di culto più accogliente.

Il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, aveva fatto una promessa: fare visita alla comunità islamica presente in città. C’era stato un primo rinvio. Qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che il primo cittadino si stesse smarcando da un impegno assunto frettolosamente. Invece, l’altro giorno il sindaco ha fatto visita alla comunità islamica nel suo luogo di culto, la moschea in via Cavallotti. Ad attendere Melucci, l’imam Hissen Chiha, e decine di fedeli musulmani.

Sindaco, con questa sua visita ha sconfessato chi diceva che avrebbe declinato “a causa impegni improrogabili”. 

«Qualsiasi persona abbia una moderata intelligenza e sia moderatamente moderna, troverà sempre interessante confrontarsi con culture diverse; poi, francamente, non trovo nulla di sorprendente fare visita alla comunità islamica: sono nostri concittadini, dunque, al pari di come visitiamo i luoghi di culto cristiani, non vedo per quale motivo non si possa fare visita a una moschea; la novità, semmai, risiede nel fatto che è giusto impegnarsi per questa gente, queste famiglie: poco manca che si sbarchi su Marte; chiunque abbia altri pensieri per la testa, è fuori luogo; la nostra è un’Amministrazione del terzo millennio e quanti ho incontrato in questa occasione sono miei concittadini a tutti gli effetti, al pari del resto dei tarantini».

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Durante l’incontro ha piuttosto rilanciato: venite ad insegnarci l’arabo.

«In realtà sono più pragmatico, ho sulle mie spalle l’esperienza dell’imprenditore, dunque dico a questi nostri fratelli e concittadini di trovare insieme il modo – anche nello scambio culturale, religioso –  di fare attività produttiva, individuare interessi con i rispettivi Paesi d’origine; la provocazione “imparare insieme l’arabo” sottintende coinvolgere i sistemi di impresa, nostro e loro; come a dire: massima disponibilità e accoglienza nei confronti tutte le culture in cambio di una fattiva partecipazione alla crescita di questo territorio».

Dicono giri poco, sindaco, ma oggi ha incontrato volti conosciuti ai più, gente che sbarca il lunario impegnandosi nei mercati, per le strade della città, vendendo ombrelli, prodotti artigianali, chincaglierie.

«E’ vero, giro poco e qualcuno mi rimprovera per questo; giro poco, però, perché stiamo lavorando tanto; a questi ragazzi, come al resto dei giovani di questa città, chiedo di investire con coraggio sul territorio, nelle aziende, ovviamente nel rispetto delle regole, nella massima trasparenza: si può fare impresa, si può crescere insieme; è molto bello vederli qui, entusiasti – tarantini a tutti gli effetti, posso dirlo, sì? – vorrei perfino vederli allo stadio; lo dico con il sorriso, personalmente non ragiono con le categorie come magari fanno altri: giro poco in generale, ma valeva la pena far sentire a questi ragazzi la massima vicinanza nei giorni in cui, in tutto il mondo, c’è chi strumentalizza il colore della pelle, la religione; sono papà di tre bambini e quando vedo in tv filmati su quanto accade in Siria non posso far finta di niente, voltare la testa altrove; dunque, anche se giro poco, perché lavoro per la città, ho pensato fosse giunto il momento di manifestare vicinanza, dare calore a questi ragazzi».

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Sindaco, l’imam, oltre all’invito l’ha sensibilizzata nel trovare locali più accoglienti per una comunità, quella islamica, già numerosa per raccogliersi in preghiera. Lei ha accettato l’invito, forse con riserva.

«Nessuna riserva, invece: lo facciamo e basta, troveremo una collocazione più adeguata, ma servono i tempi, le risorse  per progettare in accordo con le loro esigenze, che poi sono al pari di altri cittadini; l’impegno è da considerarsi già in agenda, nessuna cautela; oggi è però importante metterci alle spalle il dissesto, chiudere le grandi vertenze industriali; a partire dal prossimo anno avremo una certa agibilità nella spesa pubblica: il compito di un ente pubblico non è fare profitto, ma restituire con il pareggio di bilancio i servizi ai cittadini».

Una provocazione, nella conversazione in moschea ha lanciato l’idea di istituire un Assessorato all’accoglienza e ai rapporti interculturali.

«Era una battuta. Molti mi dicono di essere poco attento alla carta d’identità, lo confermo: sono attento, infatti, esclusivamente alle competenze per il bene della mia comunità e dunque, da qui alla fine del mio percorso amministrativo, non escluderei che ci possa essere un primo assessore di passaporto non italiano».

«Picchiato senza motivo»

Dramane, ivoriano, venti anni

«Preso continuamente a botte in Libia. Ho attraversato il deserto, pregato il Cielo perché morissi. Studiavo, ma per sopravvivere trasportavo tufi. Poi l’imbarco su un gommone, bucato, tutti in mare, finalmente una nave italiana…»

«Ho attraversato il deserto, pensavo di morire; mi avevano detto che una volta in Libia sarebbe stato meglio, macché… E poi, il gommone sul quale viaggiavamo in più di cento, bucato, poche ore dopo tutti in mare…». Così comincia la storia di Dramane, venti anni, nella sua Costa d’Avorio studente finché ha potuto e artigiano per necessità. Ha molte cose da raccontare. Quei giorni in pieno deserto, in compagnia di se stesso, che ne hanno fatto un uomo. Appare quasi più grande dei suoi vent’anni, Dramane, tanto è serio. Nemmeno un sorriso quando racconta di settimane, mesi, citando a memoria la grande sofferenza. Fronte corrugata, sguardo pensieroso, una persona “vissuta”.

Come fosse una spugna, Dramane ha assorbito e fatto sue diverse esperienze. «Non è stato il viaggio che qualche mio connazionale – spiega il ventenne ivoriano – in contatto saltuariamente con amici sbarcati in Italia, mi raccontava; diceva: pochi giorni di strada, qualche sacrificio e sarei arrivato finalmente in Libia, Paese di fronte alla tanto desiderata Italia: quando sei qui, e su questo dò ragione a quel mio amico, puoi davvero tirare un sospiro di sollievo; una volta sbarcato, che resti in questo Paese, molto accogliente, o vada altrove, avverti forte la sensazione di essere salvo. Finalmente salvo».

«Salvo», è una parola. Dramane riflette su questo concetto. Per molti mesi in fuga, anche quando pensava che il più era fatto, come al suo arrivo in Libia. Ma andiamo per ordine, cominciamo da una data che un ragazzo così profondo, come vedremo, tiene scolpita nella sua memoria: 10 ottobre del 2016. «Lascio la Costa d’Avorio con il dolore nel cuore – racconta – in famiglia il clima non era più quello di un tempo, tutto cambiato, da quando mio padre aveva deciso di sposarsi per la seconda volta: il mio rapporto con la mia matrigna era vissuto sull’orlo di una crisi continua; litigavamo per ogni cosa, quasi io fossi un corpo estraneo, un peso per la famiglia; furono queste continue frizioni, anche in presenza di mio padre, a convincermi che era giunto il momento di assumere una decisione, andare via».

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GLI STUDI, LA FUGA DALLA COSTA D’AVORIO

Costa d’Avorio, situazione politica ed economica insostenibile. Specie per un ragazzo che ha davanti a sé tutta la vita. «Andavo a scuola, gli studi furono la prima cosa che la nuova compagna di mio padre mi impedì di proseguire; lasciai il mio genitore a malincuore, lo stesso i tre fratelli e soprattutto, mia madre con la quale mi vedevo spesso e oggi sento quando posso: non potevo più vivere in quel clima, non solo familiare, il mio Paese era diventato invivibile, specie per quanti vogliono crearsi un vero futuro».

La fuga, il deserto. «E’ stata dura talmente erano gli stenti, al mattino il sole picchiava; la sera il freddo congelava, entrava nella tua pelle, il rischio che il mattino dopo non ti svegliassi era più di una ipotesi; in quei giorni vegetavo, sopravvivevo, cercavo di allontanare la mia volontà, spossessarmi di anima e sentimenti: l’unico modo era non pensarci, ma non era facile; più di qualche volta ho invocato il Cielo perché morissi».

Poi, Dramane, supera l’ostacolo, ma arriva la prova più dura sostenuta fino ad oggi. «Vedrai, una volta in Libia tutto sarà più semplice», lo incoraggiavano gli amici. «E invece lì cominciano i dolori, non solo di pancia – perché si mangia poco, addirittura niente e per più di un giorno – ma anche fisici: più pericoloso che attraversare il deserto; il colore della pelle in qualche modo ci tradiva, neri come eravamo ci fermavano un istante: ci chiedevano cosa stessimo facendo lì e, senza una ragione, giù botte; lasciare la Costa d’Avorio per andare a morire in un altro Paese, è questo che poteva accadere, anzi – mi dicevano – era già accaduto a più di qualcuno; carri armati per strada, i soldati con le armi spianate addosso a noi: per un breve periodo, insieme con altri, sono stato segregato in una casa disabitata; ci facevano sfiancare, lavorare sodo, e non sempre ci davano da mangiare, ho saltato il pasto per tre giorni e, nonostante tutto, privo di forze ero costretto a trasportare tufi che sarebbero serviti a realizzare costruzioni».

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GOMMONE BUCATO, TUTTI IN MARE!

Finito il lavoro, i pericoli continuano. «Ci avevano lasciato al nostro destino, ma se ci avessero rivisto per strada sarebbero stati altri dolori; uscivamo la sera, sul tardi, per comprare qualcosa da mangiare, poi di nuovo al chiuso, per non farci vedere in giro ed essere nuovamente picchiati, senza motivo». Poi lo spiraglio, dopo una serie di piccoli lavori, il gommone tanto sospirato per lasciarsi alle spalle la Libia, quel Paese ospitale almeno sulla carta.

«Eravamo in 105, lo ricordo perfettamente – prosegue Dramane nel suo racconto – come ricordo che non appena arrivammo al largo, in mare aperto, avvertimmo un grosso pericolo: il gommone era bucato; non so come fosse successo; potevamo restare a galla ancora qualche ora, poi saremmo finiti tutti in mare». Ma ecco la salvezza: una nave italiana, quattro giorni di viaggio, terra. «Adesso voglio pensare a riprendere gli studi – conclude Dramane – nel mio Paese facevo l’artigiano, specializzato nel sistemare mobili che dovevano essere riparati; non mi dispiacerebbe riprendere questo lavoro, impegnarmi da un rigattiere: sapete, quei commercianti che comprano o ritirano mobili usati o da buttare e li rimettono a nuovo? E’ un’idea: dopo aver passato disavventure nel deserto e in Libia, quasi per un debito di riconoscenza nei confronti della vita, sarei disposto a fare qualsiasi lavoro!».