«Serbia, no grazie…»

Un dipendente Maserati respinge la proposta di Stellantis

«Scorso anno solo settanta giorni di lavoro, persi settemila euro secchi: non ho potuto festeggiare i trent’anni di matrimonio con mia moglie», dice Gino, sindacalista sì, ma dipendente determinato, irremovibile dalle sue posizioni. Il suo sfogo sul Corriere di Bologna. «Nel 2023 proposero tre mesi a Mirafiori: chi accettò è ancora lì», rivela

 

Storie di tutti i giorni. Forse non ancora, ma la traiettoria che stiamo prendendo, specie nel settore automobilistico (e qui la Ferrari c’entra poco, anche se riconducibile alla Real casa), è di quelle preoccupanti. Fra gli inviti ai dipendenti scaturiti in queste settimana dai vertici della Maserati, quello di riempire le valigie, svuotare ancora di forza-lavoro il nostro Paese e “ande’ a lavura’ fur!”. E dove, se non in una comoda Serbia, dove tutto costa meno e puoi vivere principescamente. Come i nostri pensionati in Portogallo (una volta, però!).

E, allora, un po’ per il ruolo, un po’ perché cocciuti si nasce, ecco che il Gino che non ti aspetti, sindacalista, invece di mercanteggiare tira la voce fuori dal coro.  Cinquantasette anni, sindacalista, da trentacinque dipendente della Maserati a Modena da 35 anni. L’anno scorso, scrive Alessandra Testa per il “Corriere di Bologna”, dorso del Corriere della sera, quotidiano autorevole ed imparziale, Gino ha lavorato solo una settantina di giorni, il resto del tempo è stato in cassa integrazione.

 

 

DUE STIPENDI IN UN ANNO

«Stipendio pieno solo due volte», racconta alla giornalista, cui sottolinea che anche quest’anno non si può dire che stia andando meglio. «Non so cosa sia un cartellino da timbrare», ha dichiarato sostanzialmente il dipendente Maserati che non nasconde quel pizzico di disappunto di chi ha dato tanto, tutto diremmo, considerando i trentacinque anni suonati fa assi, bulloni, cerchioni e quant’altro.

Un’occasione per tornare in fabbrica. «Dopo mesi di stop, mi hanno richiamato per una settimana, in virtù di una piccola commessa sulla Mc20: lavoro al testing, la fase finale della produzione della supersportiva», ha spiegato Gino.

«Nel 2024 ho perso almeno settemila euro di entrate: tagliamo qua e là: niente viaggio per festeggiare i trent’anni di matrimonio con mia moglie!». Puntuale, la domanda della cronista, a proposito di una delle proposte dei vertici aziendali, secondo alcuni considerate irricevibili, a proposito del prendere in considerazione la proposta di andare in Serbia. «Alla mia età non ci penso proprio – risponde il dipendente richiamato per una settimana – a preparare la valigia e a lasciare la mia famiglia: sono padre, marito e anche nonno di una bambina». La Serbia è lontana, e come se non bastasse, aggiunge, «sta vivendo una situazione geopolitica preoccupante».

 

 

PROPOSTA CON WHATSAPP

Come spesso accade, in tempi di social, il tatto va a farsi benedire. e la proposta della Serbia arriva con un clic. «Il nostro responsabile – racconta – ha mandato un messaggio nel gruppo Whatsapp; i componenti del reparto sono una decina e nessuno per ora ha deciso di accettare». Gino, senza tanti giri di parole: «Riteniamo la proposta della serie “Se avete voglia di lavorare, andate in Serbia” quantomeno inopportuna».

Proposta a prima vista “incoraggiante”. Nemmeno per sogno e il sindacalista ce lo spiega, passo dopo passo. «Sei mesi di trasferta con possibilità di rientrare a casa ogni 45 giorni: vitto, alloggio e indennità di trasferta di 25 euro; prenderei il mio stipendio pieno di 1.700 euro più circa 1.000 euro: la cosa inaccettabile è che la proposta è arrivata senza alcun passaggio preventivo con noi rappresentanti sindacali: messaggi, indistintamente, a tutti i lavoratori del reparto di competenza».

 

 

SE PERO’ DA MIRAFIORI…

“Ci sono operai di altri reparti che stanno valutando di accettare la trasferta in Serbia?”, insiste la giornalista. «Con gli ammortizzatori sociali in corso, non ci vediamo tutti insieme da mesi; con buste paga sempre più sottili e i prezzi alle stelle, non escludo che qualcuno in difficoltà alla fine lo faccia; non è la prima volta che Stellantis propone trasferte del genere».

Due anni fa un’offerta simile. «Nel 2023 proposero tre mesi a Mirafiori; chi accettò è ancora lì, la trasferta è su base volontaria, ma resta il “ricatto” del “se torni, ti rimettiamo in cassa”. Situazioni che abbiamo già vissuto». Infine, per Gino e colleghi modenesi, una notizia incoraggiante. Meno buona, evidentemente, per i “milanesi”. «Il trasferimento da Mirafiori della produzione delle GranCabrio e GranTurismo potrebbe essere una buona notizia per riportare a Modena tutta la divisione delle auto di lusso».

«E noi ci compriamo la California…»

La Danimarca risponde punto su punto a Trump

Il presidente USA aveva tuonato. «Prendiamoci la Groenlandia!». Puntuale arriva la risposta, con petizione (200mila firme in poche ore) del Paese al quale appartiene l’isola più grande del mondo. A questo punto, occhio a San Marino, l’Italia per pochi euro rischierebbe l’invasione. Fantapolitica, ma la gara è ormai a chi le spara più grosse

 

«Trump vuole la Groenlandia? E noi ci compriamo la California». La petizione che spopola in Danimarca, in queste ore, a prima vista ha del grottesco. Ma, attenzione: mai prendere le cose sottogamba. Rivoluzioni, persecuzioni, epurazioni, spesso sono scaturite da paradossi. Da ragionamenti privi di contenuti, se non esagerazioni, che poi sono le moderne fake news. Ma qui c’è poco da “fakare”, così come c’è poco da ridere. Dopo che Donald Trump, presidente USA, ha manifestato il suo desiderio, quello di “prendersi” la Groenlandia con politici indigeni compiacenti, tanto da indire un referendum unilaterale, senza consultare il Paese cui appartengono, il tema del “Tu prendi? Io compro!” non solo è diventato virale, ma anche preoccupante.

L’appello online invita i danesi a contribuire ai fondi per comprare la California. Già raccolte oltre 200mila firme. «Tu vuoi la Groenlandia? E noi ci prendiamo la California». È questo il tenore della petizione già firmata da più di 200mila danesi che propone di acquistare lo Stato degli Usa, dopo le insistenti avance di Donald Trump alla Groenlandia, che a sua volta pare ricambiare il flirt. L’isola artica gode di ampia autonomia, ma rimane sotto il controllo della corona danese. A questo punto, ironizzano i danesi, perché non giocare d’anticipo. «Ti è mai capitato di guardare una mappa e pensare: “Sai di cosa avrebbe bisogno la Danimarca? Più sole, palme e pattini a rotelle”», si legge nell’introduzione della petizione. «Abbiamo un’occasione unica, compriamo la California da Donald Trump».

 

 

SORRIDI, SEI SU CANDID CAMERA?

Insomma, da queste parti, l’Italia, dove non manca l’ironia e dove ci si prende poco sul serio, talvolta anche esagerando, stanno cominciando a porsi le prime domande: “Ma davvero questi vogliono compiere simili operazioni? O siamo alle comiche, come rappresentavano su palcoscenici scombiccherati quelle vecchie compagnie di varietà?».

La Groenlandia è un territorio danese autonomo, stop. Così come lo sono, in Italia, Friuli, Sardegna, Sicilia, Trentino e Valle d’Aosta, che dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. E allora? «Se a qualcuno venisse in mente di incoraggiare un referendum, anche l’Italia potrebbe essere invasa?», si interrogava qualcuno in uno dei tanti salotti televisivi. «Tranquilli, le regioni autonome stanno bene come stanno, qui – come si dice – sono in un ventre di vacca, come a dire che stanno troppo bene per pensare a una rivoluzione». Allora, non passa lo straniero! E siccome siamo fatti per complicarci la vita, ci domandiamo: «Ma se i danesi ripiegassero sullo Stato di San Marino?». Visto, caro Trump, che effetto-domino?

 

 

E’ INUTILE TUONARE, QUI NON VI APRIRA’ NESSUNO

Dunque, se gli americani hanno il senso della battuta, i danesi dimostrano di non essere da meno. «Los Angeles o Løs Ångeles? California o Nuova Danimarca?», come riporta il sito le cui grafiche mettono in bella mostra una delle invenzioni danesi più note: i “Lego”.

L’agenzia Ansa ieri riportava la notizia che «…alla vigilia della visita del vice presidente JD Vance Donald Trump rialza la tensione con la Groenlandia». Nessun giro di parole: «Dobbiamo averla», ha detto il presidente americano riferendosi all’isola più grande del mondo che, si diceva, è territorio autonomo danese. «Abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza internazionale: ne abbiamo bisogno, dobbiamo averla!», ha tuonato Trump al podcaster Vince Coglianese.

Si pente, ma solo un poco. «Odio dirlo in questo modo – riprende il presidente USA – ma dobbiamo averla». Intanto la visita di Vance in Groenlandia, pare, e sottolineiamo pare, sia limitata alla base Usa. «Il ministro degli Esteri danese Lars Rasmussen – scrive ancora l’agenzia giornalistica italiana – a ha affermato di accogliere con favore la decisione di Washington di limitare l’annunciata visita del vicepresidente degli Stati Uniti Jd Vance in Groenlandia a una base aerea americana, dopo le critiche sollevate dalla presenza di una delegazione Usa alla luce delle mire di annessione del presidente Donald Trump. «Penso che sia molto positivo che gli americani abbiano annullato la loro visita sul territorio groenlandese. Visiteranno solo la loro base, Pituffik, e non abbiamo nulla in contrario», ha detto Rasmussen all’emittente pubblica Dr. La visita è prevista per domani (venerdì, per chi legge). Staremo a vedere. E sentire.

Diciamolo con i Trulli…

Alberobello si candida a Capitale della cultura per il 2027

Finalista, attende il responso entro il prossimo 28 marzo. Fra le prime dieci, sono tre le candidate pugliesi: speranza anche per Brindisi e Gallipoli. «La Puglia, grande protagonista delle audizioni di quest’anno», ha dichiarato Viviana Matrangola, assessore regionale alla Cultura. «Alberobello deve essere a disposizione della collettività e creare un turismo rispettoso del territorio», secondo il sindaco Francesco De Carlo

 

Alberobello potrebbe diventare autorevolmente Capitale Italiana della Cultura 2027. La Città dei Trulli ha presentato la sua candidatura nel corso di un’audizione pubblica a Roma. Dedicata alle città pugliesi, la seduta ha visto anche la presenza e l’illustrazione delle proposte di Brindisi e Gallipoli, come la stessa Alberobello fra le dieci finaliste ad ambire al ruolo di capitale. Il nome della città vincitrice sarà indicato il prossimo 28 marzo.

«La Puglia – ha dichiarato Viviana Matrangola, assessore regionale alla Cultura – è la grande protagonista delle audizioni di quest’anno; tre città finaliste su dieci nelle proposte avanzate al Ministero della cultura, confermano la forza di un territorio che sogna, progetta e prova a costruire il suo futuro attraverso la cultura; grazie a candidature molto ricche e rappresentative delle bellezze e della storia del nostro territorio, Alberobello, Brindisi e Gallipoli si giocano una sfida importante».

 

 

NON SOLO SIMBOLO

«Essere Capitale della Cultura – ha proseguito l’assessore – non è solo un riconoscimento simbolico, ma è un’occasione di trasformazione concreta del territorio perché, attraverso i progetti messi in campo, si può generare crescita, innovazione e una nuova consapevolezza del proprio patrimonio. E queste città hanno dimostrato di avere la visione, l’energia e il coraggio per farlo: la Regione Puglia sarà al loro fianco, qualunque sia l’esito della selezione, in quanto la vera vittoria è l’aver messo in moto idee, progetti e comunità pronte a puntare sulla cultura per scrivere il loro futuro».

Come da bando, tutte le candidature erano state valutate lo scorso dicembre, quando la giuria aveva selezionato le dieci città finaliste, fra queste, appunto, le tre pugliesi: Alberobello, Brindisi e Gallipoli. Ora, come riportato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, entro il prossimo 28 marzo, sarà “incoronata” la città vincitrice, destinataria di un contributo finanziario di un milione di euro per realizzare gli obiettivi perseguiti dal progetto. In questo modo il dossier si trasformerà in un programma di azione, attraverso il quale mettere in mostra la propria ricchezza culturale e attuare le possibilità di sviluppo offerte dalla nomina.

 

 

ALBEROBELLO CI PROVA…

Ecco cosa propone Alberobello, a partire dal suo marchio di fabbrica: i trulli, trent’anni dal riconoscimento attribuito dall’UNESCO. Fra le attività indicate nella proposta, manifestazioni consolidate come il Festival Folklorico Internazionale Città dei Trulli (quaranta edizioni) e l’Alberobello Light Festival, che ogni anno attraverso i suoi suggestivi giochi di luce colora in modo originale la città e i suoi luoghi più iconici.

«Alberobello, città nota non solo in Puglia – aveva dichiarato al quotidiano diretto da Mimmo Mazza, il sindaco di Alberobello, Francesco De Carlo – deve essere a disposizione della collettività, riuscendo anche ad anticipare le buone tendenze, come, per esempio, quella di creare un turismo rispettoso del territorio».

Per De Carlo, questo è soltanto un bellissimo punto di partenza, non escludendo affatto l’avvio di una “seconda fase” che possa, prima o poi, estendere la rete della sinergia intercomunale anche ad altri territori.

Aspettando Anna Luce D’Amico…

“Candidato” alle Amministrative del prossimo 25 maggio

Nome e volto scaturiti dall’ide a di due tarantini che hanno usato l’Intelligenza Artificiale. Al contrario di quanti si candidano alla poltrona di “primo cittadino”, però, non fa promesse, non accetta compromessi. Programma elettorale che esercita un certo fascino, in attesa di conoscere i profili di quanti si sfideranno per una poltrona a Palazzo

 

Abituiamoci all’Intelligenza artificiale. Sta già diventando invasiva. Per ogni cosa, tanto per semplificare, si invoca l’AI (Artificial Intelligence). Non appena è sbucata dal cilindro di inventori, promotori e “approfittatori”, in tanti si sono posti la domanda se fosse il caso di usare questo strumento come fosse il prezzemolo nelle pietanze: sempre e comunque. Prima che fosse ricoverato, anche lo stesso pontefice, papa Francesco, era intervenuto sul tema, invitando a farne esclusivamente un “uso responsabile”. Insomma, che quest’ultimo strumento non finisse nelle mani del diavolo e provocasse ulteriori disastri, visto che in tempi di guerra di problemi ne circolano un numero illimitato e, per questo, pericoloso.

Il debutto dell’“Intelligenza” ci vede al centro di uno dei primi esperimenti su vasta scala, comunque, su un argomento del quale si discute a tutte le ore: la politica. E, allora, visto che il prossimo 25 maggio Taranto sarà chiamata ad eleggere la nuova Amministrazione comunale, perché non provare a tracciare un profilo plausibile? In una sorta di calderone, infilare tutte le indicazioni catturate dalle richieste della gente, shakerare il tutto e servirlo, nome e foto compresa, alla stampa e al popolo del web.

 

 

TU CHIAMALE, SE VUOI, PROVOCAZIONI…

Così, ecco la provocazione. Colpa o merito, punti di vista, di due autentici esperti della comunicazione. In comune hanno un enorme bagaglio di idee, per questioni di lavoro, ma anche di origini. Pierluca Tagariello, responsabile della comunicazione di “Roma Capitale”, e Andrea Santoro, titolare di “Santoro comunicare”, infatti sono di Taranto.

«Taranto ha vissuto anni critici, fatti di promesse il più delle volte non mantenute – spiegano, in buona sostanza, Tagariello e Santoro –  e compiuto scelte non sempre condivise; così, in un’epoca in cui la tecnologia va migliorando ogni aspetto della nostra vita, perché non potrebbe accadere lo stesso con la politica?».

Un progetto, nulla è lasciato al caso. Il nome Anna, il cognome D’Amico, sono sufficientemente diffusi a Taranto e, a detta degli stessi autori della “provocazione”, Anna Luce ha in sé qualcosa di evocativo e poi, lei, non è un politico come gli altri. A “prima vista”: non ha legami con partiti, lobby, logiche di potere, non fa promesse irrealizzabili, non promette posti di lavoro, non fa compromessi. «Si concentra su soluzioni, non su scuse», dicono i due maghi del computer.

 

 

FATTO, CORRIERE, IL PROFILO…

«Ha già un nome – scrive Alberto Tundo per Il Fatto Quotidiano, giornale cui non sfugge la politica, da quella internazionale a quella locale, un merito…  – un profilo social, con tanto di spot accattivante e surreale: “Un sindaco vero. Per Taranto”. Una laurea in Politiche urbane, sviluppo sostenibile e gestione delle risorse ambientali e industriali: curriculum in via teorica perfetto per Taranto». «Manifesto elettorale – prosegue il quotidiano diretto da Marco Travaglio per l’edizione cartacea, da Peter Gomez quella online – che, vista la natura professionale dei suoi creatori, sembrerebbe destinato ad avere buona fortuna: “Taranto ha vissuto anni di promesse non mantenute, scelte sbagliate e amministrazioni poco efficaci; oggi, in un’epoca in cui la tecnologia sta migliorando ogni aspetto della nostra vita, perché non dovrebbe fare lo stesso con la politica?”, si chiedono i creatori di Anna Luce D’Amico spiegando anche qual è il fine della loro creatura: è pensata, dicono, per “portare efficienza, trasparenza e dati concreti al servizio della città”.

Luce D’Amico non è un politico come gli altri, spiegano. «La sua candidatura – scrive Cinzia Semeraro per il Corriere di Bari, inserto del Corriere della sera e corriere.it – rappresenta un esperimento innovativo che solleva una domanda fondamentale: se l’Intelligenza Artificiale può migliorare la medicina, la mobilità e l’industria, perché non dovrebbe supportare il governo di una città? Taranto merita un’amministrazione che si basi sui dati e non sulle ideologie, che prenda decisioni fondate su fatti concreti piuttosto che su favoritismi». Insomma, aspettando Anna Luce D’Amico e una pioggia di novità per il governo cittadino.

Andrea, il giallo del momento

Tutti gli organi di informazione puntano i riflettori sullo studente

Ieri le prime pagine di Corriere della sera, Repubblica e Messaggero dedicate allo sfortunato diciannovenne. Non sarebbe suicidio, ma istigazione a compiere l’insano gesto. Secondo il padre della vittima, invece, sarebbe stato omicidio. Gli aspetti intorno alla vicenda sono complessi, gli inquirenti agiscono con cautela. Arrestato un diciottenne, fermato un altro uomo. Tv, stampa e social, il via al tam-tam mediatico

 

Andrea, diciannove anni, scomparso per cinque giorni, poi rinvenuto morto in un appartamento di via del Prospetto, a Perugia; un diciottenne arrestato con l’accusa di istigazione al suicidio; un altro, indagato, con l’accusa di cessione di oppiacei. Come accade spesso in questi casi, la soluzione su quanto accaduto potrebbe essere risolta nelle prossime ore, con una piena confessione di chi sa cosa in realtà sia accaduto in quell’appartamento, oppure allontanarsi velocemente a causa delle acque che andrebbero intorbidendosi.

La tragedia che ha toccato la famiglia di Andrea Prospero, è da due giorni sulla bocca di tutti. E’ cominciato il tam-tam mediatico, ieri mattina i due principali quotidiani nazionali, Corriere della sera e Repubblica, riportavano la notizia, con foto della vittima, in prima pagina. Lo stesso l’altrettanto prestigioso quotidiano nazionale, Il Messaggero, che ha realizzato un servizio molto dettagliato, considerando che l’inchiesta – con l’arresto del diciottenne e il fermo del possibile complice o testimone – si sarebbe spostata nella capitale. Da ieri, causa riverbero delle notizie, riprese dai numerosi siti e tv, anche online, si è scatenato il solito valzer dei collegamenti, con le trasmissioni crime di punta con criminologi, psicologi e sociologi in studio. Ecco le sovrapposizioni cui alludevamo e che potrebbero complicare, piuttosto che semplificare le indagini degli inquirenti, posto che più di qualcuno si sia già chiamato fuori prestando però il miglior profilo a favore di telecamere.

 

 

GLI ELEMENTI A DISPOSIZIONE

Val la pena sottolinearlo che non è il caso degli inquirenti che per motivi intuibili provano a tenere circoscritti gli elementi a disposizione. Purtroppo, in casi come questi, professionisti della comunicazione o personaggi scaltri con una certa dimestichezza con i social, sanno come muoversi e avere un ritorno in termini di popolarità. Ecco perché il più stretto riserbo e l’invito ai genitori del ragazzo morto, dell’arrestato e del sospettato, a non prestarsi a rilasciare dichiarazioni. La Procura del capoluogo umbro, diretta da Raffaele Cantone, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari a carico di un 18enne, residente a Roma, con l’accusa di istigazione o aiuto al suicidio. Un’altra persona è stata indagata per cessione di un medicinale di tipo oppiaceo. «La tragedia di Andrea, la sua tragica sorte, sia un monito per tanti ragazzi che nel web trovano un abisso estremamente pericoloso». Questa una dichiarazione dell’avvocato Francesco Mangano, legale della famiglia di Andrea Prospero, riportata dalla redazione di Corriere.it .

«È un’indagine complicata – ha dichiarato Cantone – svolta analizzando i dati presenti su cellulari e apparati informatici; questo, però, il primo passo, l’indagine dovrà sciogliere dubbi e aiutarci a comprendere questioni che riguardano la presenza delle sim e di più cellulari in uso dalla vittima».

 

 

ALTRA PERQUISIZIONE

Eseguita, inoltre, un’altra perquisizione, in Campania e, precisamente, nell’abitazione di un giovane che potrebbe aver venduto il medicinale rivelatosi fatale per il povero Andrea. Quest’ultimo non risponderebbe dello stesso reato (vale a dire “istigazione o aiuto al suicidio”), puntualizza Corriere.it, perché l’indagato non era a conoscenza della ragione per la quale Prospero lo ha utilizzato». Durante la perquisizione sarebbero stati trovati 10 mila euro in contanti.

La scomparsa di Andrea era stata denunciata lo scorso 24 gennaio dalla sorella, anche lei iscritta all’università di Perugia. Il giovane, fuori sede, al primo anno di Informatica, aveva fatto perdere le proprie tracce dopo essere uscito da un ostello dove alloggiava. È stato poi il gestore dell’appartamento in cui è stato rinvenuto il cadavere del ragazzo che, non avendo più sue notizie, ha deciso di contattare la polizia, permettendo agli agenti di trovare il corpo senza vita dello studente.

All’interno del monolocale sono stati rinvenuti farmaci (tipo-oppiacei), un pc portatile, cinque telefoni cellulari e quarantasei sim-card. Stanza in perfetto ordine era in ordine, sul corpo del ragazzo nessuna ferita, indizio che faceva presumere che la morte di Andrea potesse essere addebitata ad un gesto volontario, dunque un suicidio.

 

 

PADRE DELLA VITTIMA, MADRE DEL SOSPETTATO

«Ditemi chi era mio figlio: quel ragazzo trovato con telefoni, sim e carte di credito non è il ragazzo che ho conosciuto per diciannove anni: le cose non tornano», disse non a caso il padre di Andrea, Michele Prospero, qualche giorno dopo il ritrovamento del corpo.

«Mangia tutte e sette le pasticche e basta», «Ce la puoi fare», «Se vuoi ammazzarti ammazzati e zitto», sono alcuni dei passaggi agghiaccianti delle chat, come riporta l’agenzia giornalistica Ansa. Altro elemento che ha indirizzato gli inquirenti sull’indiziato numero uno, che l’interlocutore una volta appreso che i farmaci erano stati assunti, invece di invocare chiamare i soccorsi, si è preoccupato dei possibili rischi di poter essere identificato».

«Mi crolla il mondo addosso, anzi, mi è già crollato», dice la mamma del diciottenne arrestato con l’accusa di istigazione al suicidio ad un cronista del Messaggero. «Siamo persone perbene – aggiunge la donna – uno dei nostri ragazzi fa il poliziotto; però lui – il riferimento è all’arrestato – è molto chiuso e riservato, sempre con il telefonino in mano: lui, ora, sta male, non sappiamo come fare, ci sentiamo molto soli e impotenti in questo: è il nostro più grande dolore».

Ecco il “paese dell’acqua”

Alberona, borgo pugliese pieno di fascino

Solcato dai torrenti Salsola e Vulgano, Marano e Casanova, e dai Canale dei Tigli. Appena ottocento abitanti, che possono arrivare fino a mille, è in provincia di Foggia. Sembra un manufatto in miniatura, per bellezza e ricchezza nei dettagli. Rovistando su internet, una serie di preziose indicazioni che portano in una cittadina a due passi da Lucera.

 

Ottocento abitanti, c’è chi dice seicento. E’ Alberona, provincia di Foggia. Stando nell’ordine delle centinaia, due al massimo, cambia poco. Poco rispetto alla bellezza di un paese, che definiremo borgo, per semplificare, ma anche perché è più aderente. E poi fa così tanto presepe, uno scenario suggestivo fatto di ninnoli. Un paesaggio al quale, al primo sguardo, avrebbe messo mano un miniaturista, uno di quegli artisti che pongono massima attenzione ai dettagli.

Le note ricercate un po’ qua e un po’ là, danno Alberona come “paese dell’acqua”, in seguito alla presenza di sorgenti naturali che arricchiscono il suo territorio. Un territorio reso caratteristico, come se qualche presepista di passaggio si fosse divertito a costruire ruscelli per assegnare un volto, una caratteristica all’intero paesaggio locale fino a farne, a ragione, uno dei borghi più belli del nostro Paese tanto da essere stato insignito in più di un’occasione con la Bandiera arancione, riconoscimento attribuito ogni anno dal Touring Club.

 

 

DA “WIKI” a TRUERAIDERS”

In questa nostra ricerca, per esempio, oltre alle note che troviamo sparse un po’ qual e un po’ là, troviamo un bellissimo reportage scritto da Adriano Bocci, uno degli autori di contenuti di uno dei siti italiani più invitanti quando si tratta di approfondire una conoscenza sulle bellezze italiane: TrueRiders, portale di riferimento dei motociclisti, con tanto di percorsi, informazione, notizie, eventi e tanto altro ancora.

«Alberona – scrive Bocci – non è solo un borgo in Puglia ma è anche un luogo ideale per staccare un po’ la mente e godersi un po’ di sano relax; qui la storia si respira in ogni angolo: il paese risale all’anno 1000, tuttavia la sua storia si incrocia a quella della più famosa Lucera agli inizi del XIII secolo; Federico II, lo Stupor Mundi, una volta conquista la Puglia fondò una comunità musulmana a Lucera, la quale, colma di gratitudine, gli giurò fedeltà a tal punto che l’Imperatore decise di nominarla sua guardia personale». In tutto questo, Federico concesse alcuni diritti per il legnatico su Alberona, legando così indissolubilmente la storia dei due centri, con somma soddisfazione della stessa Lucera.

 

 

SETTECENTO SUL LIVELLO DEL MARE

Alberona si trova a poco più di settecentotrenta metri sul livello del mare, fra i monti della Daunia, alle pendici del monte Stillo al confine con la Campania e, per dirla tutta, in una posizione dominante rispetto al Tavoliere delle Puglie. In gran parte boschivo, il territorio comunale è solcato da due torrenti: la Salsola a nord, il Vulgano a sud, nonché dai torrenti Marano e Casanova e da ruscelli come il Canale dei Tigli. Ecco spiegato il “paese dell’acqua”.

Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, scrive l’enciclopedia Wikipedia, la questione ecclesiastica si risolse con il passaggio di Alberona dalla diocesi di Volturara a quella di Lucera. A partire dalla fine del XIX secolo questo borgo così delizioso è stato interessato dal fenomeno migratorio tipico dei piccoli comuni in quel periodo storico. Dagli inizi del nuovo Millennio, però, il fenomeno migratorio si è in gran parte concluso stabilizzando la popolazione tra i novecento e i mille residenti.

 

 

MONUMENTI E CHIESE…

Ma, ancora per qualche istante, torniamo a Bocci e TrueRiders. «Percorrendo i suoi vicoli – scrive l’estensore del reportage suggerendolo ai suoi lettori – potrete ammirare le tipiche abitazioni in pietra chiara; la Torre del Priore un tempo appartenuta ai Cavalieri Templari, è uno dei pezzi forti, accompagnata dalla meravigliosa Chiesa di San Rocco, incredibile resistenza di gotico del XVI secolo in un mondo che già da tempo parlava la lingua del Rinascimento». Non è finita. «Per concludere la Fontana Muta, del XIX secolo, ove in anticamente si abbeveravano i cavalli (la muta), vi saluterà quando lascerete questo incantevole borgo».

Costituito prevalentemente da caratteristiche case in sassi, pietra bianca o in muratura, fra i principali monumenti di Alberona, spicca la Torre del Priore, appartenuta prima ai Cavalieri templari e divenuta nel XIV secolo residenza del Gran Priore dell’Ordine dei Cavalieri di Malta di Barletta, donata nel 2002 a Italia Nostra che ne ha fatto la propria sede. Altri monumenti: la chiesa di San Rocco (XVI secolo), la chiesa madre di fondazione più antica, la chiesa di San Giuseppe (XVII secolo), il Museum Antiquarium, l’arco dei Mille, il tutto circondato dalle caratteristiche stradine e dai vicoli del centro storico.

Possibile, infine, compiere escursioni lungo i sentieri che tagliano il bosco del Subappennino e raggiungono il canale dei Tigli, il parco eolico in direzione di Volturino, il Crocione in direzione di Roseto Valfortore.

«Mille euro al mese…»

Alvaro Vitali, da star degli incassi ad una pensione modesta

Anni 80, guadagnava anche novanta milioni di vecchie lire a film. Poi il declino. «Ringrazio Verdone per avermi chiamato per la sua serie televisiva, “Vita da Carlo”: persona splendida, grande sensibilità». E l’attore-regista: «Non è solo Pierino, è Fellini, una biblioteca di aneddoti, ricordi di un cinema ormai lontano». Nonostante la necessità ha detto no al Grande Fratello: «Grazie, nun me serve…»

 

«Con Alvaro Vitali pronti per girare una scena di un sogno che diventerà un incubo: Alvaro non è solo Pierino, è Fellini!». Non solo. «E’ una cara persona, una biblioteca di aneddoti, ricordi di un cinema ormai lontano». Carlo Verdone, due parole sui social a proposito della presenza di “Pierino” nella quarta serie di “Vita da Carlo” in onda su Paramount+. Ci arriviamo a breve. Prima un passetto indietro. «Posso dire che a Taranto sono di casa, lo stesso nel resto della Puglia, per quanti film ho girato qui con Lino Banfi e Gianfranco D’Angelo: non solo Taranto, ma anche Martina Franca, Alberobello, Locorotondo, Trani…». Nostalgia di quei tempi. «Al cinema c’era spazio per qualsiasi progetto, film seri, importanti, ma anche commedie, quelle con il sottoscritto e quelle con lo stesso Banfi, Verdone, Celentano, Abatantuono, Boldi e De Sica; poi arrivò “Pierino”, una delle maschere del nostro cinema, checché se ne dica, campione d’incassi, me la giocavo con tutte le produzioni importanti: con me i produttori investivano dieci e guadagnavano cento…». Altri tempi. Poi, finalmente, è arrivato Verdone, che ha riposizionato Alvaro Vitali fra i nomi di spicco di una tv che ha soppiantato il cinema di cassetta.

 

 

VERDONE, CORE DE ROMA…

Verdone dimostra una volta di più grande tatto e un cuore altrettanto grande. Non lo dice, mai lo dirà a chiare lettere. Semplice. «Se non avessi avuto un’idea funzionale alla mia serie tv, non lo avrei invitato: non l’ho chiamato per aiutarlo, Alvaro non ha bisogno di Verdone, sa perfettamente quello che vuole e può ancora dare; io gli ho dato questa occasione…». L’idea al centro. Altrimenti l’artista che ha strappato risate a buon mercato negli Anni 70 e 80 al cinema, non avrebbe fatto parte del cast. Per due motivi: la gente se ne accorgerebbe, ma prima del pubblico lo stesso Vitali, che non è personaggio di primo pelo. Il primo, il regista, l’attore, l’autore di se stesso, ha superato brillantemente anche quella critica che lo accusava di stanchezza. Verdone, un intellettuale, viene dal liceo e dall’università, da una famiglia di docenti, il papà Mario, insegnante di Storia e critica del cinema, e direttore del Centro sperimentale di cinematografia a Roma.

Verdone, cuore grande. Durante le riprese di “Troppo forte”, seppe che Mario Brega, caratterista di altri suoi film di successo, c’era rimasto male una volta che aveva saputo che in quel film lui non era nel cast. Così si inventò “Sergio”, boss delle scommesse clandestine. Poche pose, ma significative. C’era di mezzo anche Sergio Leone, che dava spesso un colpo al cerchio e uno alla botte. La storia della pensioncina da milletrecento euro, dopo guadagni milionari ai tempi della lira, insomma, deve aver colpito Carlo. Così ha imbarcato Alvaro.

 

 

«MI SPEZZO MA NON MI PIEGO…»

Vitali è uno scaltro, si spezza ma non si piega. Si mette in gioco. Lo invitano in tv, talvolta cercando di fare ascolti col “dolore” dal quale puntualmente il “Pierino” cinematografico sfugge. Si smarca con stile. Visto che c’è racconta di un Banfi che si sarebbe dileguato. Certo, parla anche di “coppia irresistibile”, ma il Lino nazionale era ormai lanciato nei movie-movie, nelle commedie all’italiana: suoi partner, Dorelli, Celentano, Villaggio, Pozzetto, Abatantuono

Vitali in una intervista rilasciata al Corriere della sera e ripresa da “Open”, giornale online fondato da Enrico Mentana, dice che Carlo Verdone gli ha «ridato ossigeno». Non ha passato un buon periodo, tanto da sentirsi «ignorato dal mondo del cinema e dello spettacolo». Il mitico “Pierino” della commedia all’italiana ha spiegato la sua reazione alla chiamata del regista romano per la quarta stagione di Vita da Carlo su Paramount+. «Una persona meravigliosa – ha spiegato Vitali al Corsera – la sua telefonata è stata una sorpresa: lo ringrazio tantissimo, ci voleva aria nuova per me, lui mi ha ridato ossigeno».

 

 

FELLINI, IL SALTO, LA CADUTA

Il primo Alvaro Vitali aveva preso parte a film diretti da Fellini: Satyricon, I clowns, Roma e Amarcord. Poi il successo popolare e anche economico con la serie su “Pierino” e le commedie sexy. «Ora sono cult: la gente mi ferma per strada per chiedermi di farne altri; altro che le vacanze di Natale, questo è il genere che manca». Ha il dente un po’ avvelenato, ma ci sta tutto.

Vitali guadagnava bene. «Ero solo, i soldi all’epoca avevano un certo valore, se mi piaceva una macchina la compravo: con cinquanta milioni di lire comprai il duetto dell’Alfa». Esame di coscienza. «Oggi mi dico: che stupido, se li tenevo, li avevo ancora: sperperati quasi tutti, poi ho capito e ho cominciato a compare case, cose che restano».

Anni Ottanta, anche novanta milioni di lire per un solo film. Oggi, purtroppo, prende una pensione: «Buona, arrivo a milletrecento, millequattrocento euro, ma francamente per aver fatto qualcosa come centocinquanta film è bassa, le produzioni fregavano sui contribuiti: io facevo un mese di riprese, loro segnavano due settimane». Ma adesso c’è Carlo, la serie televisiva, una sorta di ritorno. Magari il successo lo pone daccapo al centro di altre produzioni fra cinema e tv, chi può dirlo. A Carlo ha detto subito sì; a Signorini, per il Grande Fratello, ha risposto no. «Con tutto il rispetto, lì vanno quelli che vogliono farsi conoscere o farsi i soldi: per ora nun me serve».

Migranti, in Italia altri 5 Cpr

Centri di permanenza per i rimpatri

In una intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica e ripresa dal sito del Governo, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi spiega le misure assunte insieme con il premier Giorgia Meloni.Un altro Centro di trattenimento sarebbe invece rivolto ai migranti che arrivano da Paesi sicuri. Tutto ripartirebbe da qui, non più dall’Albania. C’è chi non la pensa allo stesso modo: trasferire gli “irregolari” dall’Italia violerebbe le norme Ue

 

Ci sarebbero cinque nuovi Centri di permanenza per i rimpatri realizzati in Italia (dunque non più Albania) e un altro Centro di trattenimento per i migranti che arrivano da Paesi sicuri. È uno degli annunci rivolto da Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno. Lo conferma in una intervista rilasciata ad Alessandra Ziniti, inviata de la Repubblica e pubblicata anche dal sito del Governo. Il segnale reso dal ministro sarebbe quello riguardante una serie di rimpatri che, appunto, Piantedosi insieme con Giorgia Meloni, presidente del Governo, hanno confermato a questori e prefetti. In buona sostanza, stando a quanto dichiarato, tutto ripartirebbe dall’Italia, non più dall’Albania. O, comunque, in buona parte non più dall’Albania.

«L’indicazione – dice Piantedosi – è che migranti irregolari con precedenti e pericolosi per la sicurezza dei cittadini vanno rimpatriati; in molti casi ricercandoli se già noti agli uffici; questa scelta, che abbiamo dato come vero e proprio obiettivo prioritario, sta dando i suoi frutti: siamo già a un più 35% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno che pure aveva fatto registrare una crescita».

 

 

PER ORA, CINQUE VANNO BENE

Per realizzare il progetto di cui sopra, secondo il ministro, servirebbero altri Centri per il rimpatrio. Cinque, per ora. «Abbiamo individuato nuovi siti – conferma il ministro – dove realizzare Cpr e per due di essi abbiamo già affidato e realizzato gli studi preliminari e contiamo di partire con l’affidamento della realizzazione entro primavera; abbiamo riattivato oltre settecento posti, in precedenza resi inagibili da atti di vandalismo, e siamo prossimi alla riapertura del Cpr di Torino; sul territorio nazionale abbiamo realizzato, inoltre, due strutture di trattenimento per le procedure di frontiera, come quella in Albania, mentre un’altra è in via di progettazione».

A proposito dei Centri in Albania. «Sono pronti ad accogliere altri immigrati – continua Piantedosi – e sono già organizzati per esprimere più funzioni, una parte è già destinata a Cpr; avere rimesso la questione di diritto alla Corte di giustizia europea può solo ritardare la loro entrata in pieno funzionamento, che avverrà al più presto nell’una e nelle altre funzioni; intanto c’è una prima udienza favorevole alle nostre tesi: tesi alle quali hanno aderito molti Paesi e anche la Commissione europea».

 

 

E SE FOSSE UNA VIOLAZIONE?

C’è chi non la pensa allo stesso modo. Secondo un numero del Manifesto pubblicato nel febbraio scorso, Piantedosi eviterebbe volutamente di entrare in argomento, anche se l’altro giorno il ministro avrebbe manifestato sicurezza sulle sue dichiarazioni: «Ma trasferire gli “irregolari” dall’Italia violerebbe le norme Ue; “polivalente”, è questo l’aggettivo che il ministro dell’Interno ha replicato dopo aver parlato di “impianto”».

Fra le ipotesi, scrive ancora il giornale, la più accreditata sarebbe quella che l’esecutivo provi a parcheggiare in Albania persone che si trovano irregolarmente in Italia. Altra ipotesi: trasferire a Shengjin e Gjader solo i naufraghi soccorsi in mare che non chiedono asilo: in Sicilia alcuni casi si registrano, spesso riguardano tunisini. Resterebbero, però, dubbi sulla correttezza della procedura a cui sarebbero sottoposti.

E per finire, torniamo all’intervista della Ziniti, che indica al ministro Piantedosi come moltissime città stanno disegnando zone rosse e proprio qualche giorno fa sono stati forniti i numeri degli allontanamenti, moltissimi dei quali riguardano stranieri. Questa la domanda: mandar via le persone pericolose dai Centri e poi non farsi carico di reali e consistenti percorsi di integrazione in cui investire denaro sia solo buttare la polvere sotto il tappeto?

 

 

«POLVERE SOTTO IL TAPPETO?»

«I percorsi di integrazione sono importanti e ne pratichiamo tanti – la risposta di Piantedosi – ma, come investimento, vanno rivolti a chi realmente dimostra di volersi integrare; per il resto è di prioritario interesse restituire sicurezza, anche nella percezione, ai cittadini che vivono nelle molte zone difficili delle nostre città; l’eccessiva tolleranza – prosegue il ministro – non aiuta la convivenza: i risultati della prima applicazione di queste misure sembrano darci ragione, anche in termini di apprezzamento della gente. Del resto, anche su questo tema si registra a volte una discussione schizofrenica: con gli interventi su Caivano e quelli programmati sulle altre sette aree degradate del paese individuate con il cosiddetto Decreto emergenze abbiamo puntato proprio sui percorsi di riqualificazione e integrazione, oltre che sugli interventi per la sicurezza. Eppure una certa opposizione ci critica lo stesso».

«Come te non c’è nessuno…»

Pane di Altamura, prodotto DOP, Denominazione di origine protetta

Giunge dall’antica tradizione contadina. Le donne impastavano, disponevano le pagnotte su tavole e le portavano nei forni pubblici. All’alba il panettiere, si aggirava per le strade, e urlava l’avvenuta cottura. Contadini e pastori, che lavoravano lontano da casa portavano con sé vere scorte. Oggi con la produzione “industrializzata”, avvalendosi degli stessi ingredienti, rigorosamente pugliesi, produzione e costi sono stati abbattuti. Tutto, tranne il sapore: inconfondibile

 

La Puglia, una regione dalle mille e una risorse. Forse anche di più a ripensarci bene. Qui non esiste solo il sole, il mare, le colline, i trulli, gli stretti, la Valle d’Itria, il Tavoliere, le Tremiti, il Petruzzelli, il Barocco, la Magna Grecia, i Castelli, da centomila visitatori l’anno. Qui c’è la tavola, infinita. Per tutte le stagioni, per chi preferisce la burrata piuttosto che le fave con cicoria, oppure una frisella con un filo d’olio, con altra variante, altrettanto invitante, quel filo d’olio – anche questo rigorosamente pugliese – sottile, fatto scivolare su una bruschetta, che altro non è che una fetta di pane. Meglio se questo è di Altamura, uno dei tanti prodotti da panetteria nella quale la cittadina in provincia di Bari eccelle, non a caso riconosciuto con il marchio DOP, Denominazione di origine protetta. E, non se ne abbiano a male i cugini, se questa se la gioca con il pane di Laterza, che gode di un acronimo altrettanto importante: il PAT, Prodotto agroalimentare tradizionale.

Comunque restiamo sul pezzo, quello del pane di Altamura e quello, altrettanto importante, stilato in questi giorni da Marianna Di Pilla per l’autorevole sito www.paesidelgusto.it . «Se c’è una cosa assolutamente da non perdere durante una visita ad Altamura – scrive – è la sua straordinaria tradizione culinaria; che nel pane DOP riconosce il suo signore e protagonista indiscusso e che, magari, ha contribuito a rendere la cittadina pugliese il regno dei centenari». Centenari. C’è una spiegazione, meglio, un’analisi, sulla quale torneremo a breve.

 

 

SEMOLE E GRANO DURO DELLA MURGIA

Il pane di Altamura, spiegano gli esperti, è ottenuto dall’impiego di semole, rimacinate con varietà di grano duro coltivato nei territori dei comuni della Murgia e cotto negli storici forni a legna. Il riconoscimento nell’elenco di prodotti DOP risale al 2003. Nella sua forma tradizionale, pare fosse impastato in casa dalle donne e portato, da queste, come si sarebbe fatto più avanti con biscotti e dolci, a cuocere in forni pubblici. Qualcuno dirà, ma non subentrava una certa confusione nel cuocere tutto quel pane insieme? Si ricorreva ad un antico sistema, tante volte osservato al cinema o alla tv dove vengono replicati clamorosi western nei quali è protagonista un mandriano che altro non fa che marchiare il suo bestiame per evitare che si confonda o gli venga sottratto. Dunque, come ci spiega in una battuta wikipedia, «per evitare che le pagnotte si confondessero, il fornaio procedeva a marchiarle con le iniziali del proprietario o del capofamiglia, impresse su un timbro di ferro: solo allora procedeva ad infornarle». Un’operazione semplice che si svolgeva sotto gli occhi delle stesse interessate, le donne che una volta visionato il rituale, autorizzavano affinché le pale infornassero il pane appena prodotto.

L’operazione non si svolgeva quotidianamente, in quanto impegnare un forno pubblico si sarebbe rivelato un impegno dispendioso. Infatti, una caratteristica del pane di Altamura, era proprio la durevolezza, indispensabile, ciò per assicurare a contadini e pastori nei brevi periodi trascorsi lontano da casa la massima freschezza del pane. Sempre come spiega wikipedia, «fino alla metà del secolo scorso si udiva per le strade di Altamura il grido del fornaio che all’alba annunciava l’avvenuta cottura del pane».

 

 

CHI MANGIA DOP CAMPA CENT’ANNI

«Nel Sud Italia – documenta invece Marianna Di Pilla – è ancora viva la tradizione della panificazione casalinga; la forma di pane più comune è quella rotonda, di grosse dimensioni alcune delle quali possono superare i 10 kg di peso, come a Ischitella nel Gargano, dove si raggiungono i 12, e a Laterza, dove si sfiorano i 20 kg». La tecnologia attuale ha permesso di ottimizzare tempi e ridurre i costi di produzione del pane. Il grosso del lavoro lo svolge l’impastatrice la farina, cui vengono aggiunti il lievito acido stemperato in acqua tiepida, il sale e il malto. Quando l’impasto è omogeneo si lascia lievitare per alcune ore per riprendere a lavorarlo per formare pagnotte dal peso desiderato e infornare il prodotto desiderato.

Altamura, paese dei centenari, dicevamo. «I dati aggiornati ai primi mesi del 2024 – scrive Di Pilla – dicono che ad Altamura c’è un centenario ogni 3.600 residenti; numero ancora più significativo se si pensa che i residenti di Altamura sono poco più di 70.000; come si spiega la concentrazione di persone che hanno superato il secolo di età? Buona parte del merito potrebbe essere attribuito al clima favorevole di cui Altamura gode tutto l’anno, ma – e non è detto, conclude la cronista – a determinare questo record potrebbe aver concorso anche la qualità e la genuinità dei suoi cibi, primo fra tutti il pane DOP». Quello, appunto, di Altamura.

«Ti aiutiamo noi…»

Pietro Barteselli nominato Ufficiale al merito della Repubblica italiana

Giuseppe Cannavale, malato di tumore aveva segnalato la sua storia al quotidiano La Stampa. Il suo datore di lavoro si è mosso per fare in modo che il giovane apprendista potesse curarsi nonostante i giorni di malattia previsti dal suo contratto fossero superati. «Abbiamo fatto solo il nostro dovere, non credevamo che l’intera vicenda avesse una simile cassa di risonanza», ha dichiarato. Poi Pordenone Today racconta la storia del dipendente che ha «trovato una famiglia»

 

Quando è possibile, dunque il più delle volte, quando possiamo, evitiamo di riportare il cognome di uno dei protagonisti delle nostre storie raccolte ormai a centinaia, ogni settimana. Stavolta facciamo un’eccezione, perché l’imprenditore del quale raccontiamo la storia, la segnalazione per il suo gesto di enorme bontà se la merita tutta: Pietro Barteselli, da giorni Ufficiale al merito della Repubblica italiana.

Pietro, imprenditore dal cuore d’oro, una volta appreso il grave problema di salute di un dipendente della società da lui amministrata, non si è posto nemmeno la domanda: «Dobbiamo tutelarlo», si è detto. Va bene, ma come fare, se la legge italiana nella migliore delle ipotesi prevede una copertura sanitaria il più delle volte insufficiente? Semplice, direbbe qualcuno: «Si copre la differenza e si garantisce allo sfortunato dipendente lo stesso tenore di vita». «Semplice», mica tanto. Quando in ballo ci sono quelli che nei suoi racconti Camilleri chiamava “piccioli”, cioè i soldi, l’affare si complica. Bravi gli italiani a fare i conti con i soldi degli altri.

 

 

PIETRO NON CI PENSA DUE VOLTE…

E, invece, Barteselli non ci ha pensato su due volte. Il dipendente, Giuseppe, che ha anche un cognome, Cannavale, «E’ uno di noi», si sarà detto, così «facciamo il possibile per assisterlo e, soprattutto, non facciamolo sentire solo…». In casi come questi, inutile girarci intorno, il più delle volte oltre al danno di una malattia, c’è anche quello della beffa, cioè che tutti intorno si dileguino. Secondo un principio vecchio come il cucco: quando c’è da divertirsi, c’è confusione; quando, invece, c’è da rimboccarsi le maniche e mostrare con i fatti rispetto e affetto per un familiare, un amico, un conoscente, tutto intorno si crea un vuoto che nemmeno il deserto del Sahara.

Dunque, la storia parte dalle colonne de La Stampa, il quotidiano al quale per primo Giuseppe si rivolge, scrivendo una lettera per segnalare il suo caso. Una storia che a larghi tratti riprende e racconta successivamente Pordenone Today, quotidiano edito in cinquanta edizioni locali, dal Gruppo Citynews. Giuseppe, web designer pordenonese, lo scorso ottobre aveva deciso di raccontare la sua storia. Un momento doloroso, riporta il quotidiano online. Giuseppe scopre di avere il linfoma di Hodgkin e lo racconta. Una storia che colpisce il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che viene a conoscenza anche del gesto spontaneo dell’imprenditore, Pietro Barteselli. Infatti, Barteselli, venuto a conoscenza del dramma che sta attraversando Giuseppe, decide di coprire lo stipendio del dipendente. Ciò per consentire al giovane di curarsi. Mattarella che già in altre circostanze ha dimostrato grande sensibilità, nomina Barteselli Ufficiale al merito della Repubblica Italiana.

 

 

GIUSEPPE, LA CHEMIO, LA RIVELAZIONE

Giuseppe che si era ammalato di cancro durante l’apprendistato, avrebbe dovuto affrontare sei cicli di chemioterapia. Nonostante avesse esaurito tutti i giorni di malattia a disposizione, ha trovato un imprenditore comprensivo e che ha «guardato oltre al mero profitto imprenditoriale», si legge nella motivazione. Così il Capo dello Stato in una cerimonia ufficiale consegna al Quirinale le «onorificenze a quanti si sono distinti per attività volte a favorire il dialogo tra i popoli, contrastare la violenza di genere, per un’imprenditoria etica, per un impegno attivo anche in presenza di disabilità, per l’aiuto alle persone detenute in carcere, per la solidarietà, per la scelta di una vita nel volontariato, per attività in favore dell’inclusione sociale, del diritto alla salute e per atti di eroismo».

«Storie di solidarietà – ha detto il presidente Mattarella – di senso di umanità, di coinvolgimento nel farsi carico delle difficoltà di altre persone; ed è giusto farle conoscere: le persone che sono qui vivono nella normale quotidianità; e questo è il pregio del loro comportamento: vivono questa quotidianità avvertendo i valori del rapporto tra le persone, del senso di comunità, del bisogno di non isolarsi, ma di occuparsi dei problemi generali e delle persone che hanno difficoltà o sono più deboli».

 

 

«TUTTO E’ BENE…»

«Sono estremamente onorato che il presidente della Repubblica – dice Barteselli nella sua intervista concessa i primi di febbraio a Lorenzo Padovan de La Stampa – abbia deciso di portare all’attenzione dei cittadini il nostro approccio come esempio di gestione imprenditoriale che guarda oltre il mero profitto; l’impresa è fatta prima di tutto di persone; oggi credo sia importante testimoniare che fare impresa significa impegnarsi perché l’azienda sia di successo in Italia e nel mondo nel lungo periodo, costruendo quotidianamente solide fondamenta: raggiungere risultati positivi garantisce alle famiglie di chi opera – direttamente e indirettamente – la serenità di un lavoro che viene svolto in un ambiente sicuro e di benessere: la vera forza di un’azienda penso sia la capacità di proteggere la propria comunità».