Trentadue naufraghi, salviamoli

Sea Watch lancia l’appello e invia una nave per soccorrere uomini, donne e bambini

Un uomo sarebbe già deceduto. Partiti su un gommone dalla Libia, si sono ribaltati in mare. Vivi per miracolo, senza acqua e cibo da quattro giorni, si sono messe in salvo su una piattaforma petrolifera che, però, non è attrezzata per prendersene cura. L’intervento tempestivo della Ong, dei politici, l’invito al Ministro

 

Sabato scorso un gommone sul quale viaggiavano migranti in fuga dalla Libia, si è ribaltato: uno di loro è morto, mentre gli altri sono riusciti ad arrampicarsi sulla piattaforma. La denuncia parte dalla Ong Mediterranea. Trentadue migranti vivi per miracolo. Come spiega Sea Watch, i naufraghi si sono arrampicati su una piattaforma petrolifera, in pieno Mediterraneo. Fra questi ci sarebbe anche una vittima, un uomo che nella traversata su una imbarcazione di fortuna non ce l’avrebbe fatta.

Intanto, la stessa Sea Watch ha inviato una nave in soccorso dei naufraghi, da quattro giorni in balia di un tempo inclemente e i morsi della fame. Sul finire della scorsa settimana, nonostante il tempo, uomini, donne e bambini, si sono avventurati su un gommone partito dalla Libia.

L’ennesimo naufragio ha poca ospitalità sui notiziari istituzionali. Il braccio di ferro alla Casa Bianca fra Trump e Zelensky, ha praticamente oscurato qualsiasi altra notizia. Perfino le condizioni critiche di Sua Santità, Papa Francesco, ricoverato al “Gemelli” e che ha trascorso la notte scorsa con l’ossigeno per favorirne la respirazione. A rimediare ad una informazione a singhiozzo, agenzie e siti, sempre puntuali e con aggiornamenti sulle condizioni dei trentadue migranti aggrappati alla speranza e alla piattaforma Miskar: Ansa, Open, Repubblica e altri organi di stampa.

 

 

POCHE ORE FA…

Poche ore fa l’ultimo appello, mentre la nave inviata da Sea Watch, sta solcando il mare per agganciarsi alla piattaforma e soccorrere gente assetata e a digiuno. Hanno bisogno di aiuto. Fino a poche ore fa nessuno si stava occupando di loro, anche perché la piattaforma sulla quale si sono in qualche modo “salvati” non sarebbe attrezzata per prendersene cura.

«Questa mattina, “Aurora”, l’assetto veloce di SeaWatch – ha tempestivamente comunicato la Ong Sea Watch – è partita da Lampedusa alla volta della piattaforma Miskar dove sono bloccate da quattro giorni trentadue persone in fuga dalla Libia: hanno bisogno di aiuto, nessuno – al momento – li sta soccorrendo e la piattaforma non è attrezzata per prendersene cura: a breve arriveremo in zona», il primo appello raccolto dalle agenzie di stampa, fra queste l’Ansa.

Mentre scriviamo, sono trentadue le persone a trovarsi sulla piattaforma. Viaggiavano, si diceva, a bordo di un gommone partito dalla Libia, tra loro vi sono anche donne e bambini. Una persona, purtroppo, sarebbe già deceduta. «Le autorità italiane devono prestare soccorso immediato alle trentadue persone – fa sapere Ong Mediterranea Saving Humans – che, da oltre quattro giorni ormai, in fuga dalla Libia, sono naufragate sulla piattaforma petrolifera Miskar, di proprietà della multinazionale inglese British Gas, che si trova al largo delle coste tunisine, nel Mediterraneo centrale; le persone sono in contatto fin dall’inizio con Alarm Phone che, da giorni, ha informato costantemente le Autorità italiane e maltesi della situazione: le piattaforme sono state anche monitorate domenica e ieri (lunedì, per chi legge) dall’aereo civile Seabird di Sea-Watch».

 

 

E INVITO ALLE AUTORITA’

Mediterranea prosegue nel suo appello alle autorità italiane. Segnala, infatti, che una persona sarebbe già deceduta, mentre altre, in particolare donne e bambini, starebbero molto male. Non hanno acqua, cibo e sono esposte, spiega la Ong, alle intemperie di un mare in burrasca: non si può perdere altro tempo. «Chiediamo – riprende Mediterranea – un intervento immediato di soccorso da parte delle Autorità Europee: la piattaforma si trova a poche decine di miglia da Malta e dall’isola di Lampedusa, mentre i militari tunisini non avrebbero fornito assistenza ai naufraghi». Insomma, vanno soccorse senza perdere altro tempo.

«Richiamo l’attenzione del ministro Piantedosi – ha riportato alla Camera Marco Grimaldi, vicepresidente AVS – non possiamo lasciare sole e senza soccorso persone che da oltre quattro giorni sono naufragate sulla piattaforma petrolifera Miskar, di proprietà della multinazionale inglese British Gas, che si trova al largo delle coste tunisine, nel Mediterraneo centrale: chiediamo che il ministro intervenga al più presto».

Intanto, l’eurodeputato Sandro Ruotolo ha presentato un’interrogazione alla Commissione UE chiedendo quali misure intenda adottare per garantire il salvataggio delle trentadue vittime ed evitare il respingimento in Tunisia.

San Giovanni Rotondo, primo!

Classifica degli Ospedali migliori al mondo

L’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” si conferma primo al Sud. Lo attesta l’annuale classifica italiana dei World’s Best Hospitals. In Puglia, seguono il Policlinico di Bari, il Perrino di Brindisi, il San Paolo di Bari, il Vito Fazzi di Lecce, il Riuniti di Foggia, il Santissima Annunziata di Taranto (penultimo sul territorio nazionale). «Soddisfatti di aver ottenuto nuovamente un riconoscimento che ci conferma come il primo ospedale», commenta Gino Gumirato, direttore generale dell’IRCCS

 

L’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo, anche quest’anno si conferma come primo tra gli ospedali dell’intero Sud nell’annuale classifica italiana dei World’s Best Hospitals (“I migliori ospedali del mondo”) realizzata dalla rivista americana “Newsweek”, una chart molto rigorosa. Tra gli altri parametri, sono stati presi in considerazione: il Rapporto pazienti/medici–infermieri, Qualità dell’assistenza per trattamenti specifici e Misure di igiene e sicurezza, Tempi di attesa. Per il sesto anno consecutivo, dunque, l’ospedale fondato da San Pio da Pietrelcina si è classificato al primo posto tra tutti gli ospedali del Sud Italia confermando la trentacinquesima posizione nazionale, la medesima dell’anno precedente (133 gli ospedali italiani censiti per la classifica valida per il 2025).

«Siamo molto soddisfatti di aver ottenuto nuovamente il riconoscimento di “World’s Best Hospitals” dalla rivista Newsweek anche per il 2025, che ci conferma come il primo ospedale del Sud Italia per il sesto anno di fila», commenta Gino Gumirato, direttore generale dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.

 

 

WORLD’S PRESS HOSPITAL, COS’E’…

Cos’è il “World’s Best Hospitals”, se non una classifica, una delle tante, ma in questo caso attenta, molto accorta, ripresa dalle riviste di tutto il mondo e, per prima, dal settimanale Newsweek. La chart, come la chiamano gli americani, scaturisce dall’idea di far sentire il fiato sul collo agli addetti ai lavori di tutto il mondo. Di classifiche se ne stilano tante, tanto al chilo, tutti i giorni: su tutto, ma proprio tutto. Quella sulla Sanità, in generale, però, è materia delicata. Si parla, scrive, redige di salute: c’è un voto, competente, al massimo fra addetti ai lavori e pazienti. Ne parliamo a breve, intanto entriamo nel vivo del ragionamento.

Intanto, su quale sia il migliore ospedale al mondo, non avevamo dubbi: primi, gli Stati Uniti d’America. «E in Italia?», si domanderà qualcuno, beh, non ci sarebbe nemmeno da chiederselo: ha la meglio il Nord (avevate dubbi?). Ma, attenzione, lo scrivevamo prima, introducendo il tema con la dichiarazione del portavoce dell’ospedale pugliese più importante del Sud, che anche stavolta mantiene il primato: l’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.

«Questo risultato – conferma Gumirato – è frutto dell’impegno costante di tutti gli operatori sanitari dell’Ospedale ai quali vanno i più sentiti ringraziamenti di tutto il Consiglio di Amministrazione. Nel perseguire l’eccellenza, i professionisti di Casa Sollievo mettono l’ammalato sempre al centro dell’attenzione sia nell’assistenza clinica e chirurgica, sia nel campo della ricerca scientifica, affinché l’obiettivo resti invariato: rispondere ai bisogni di salute dei cittadini offrendo prestazioni sanitarie fortemente integrate, ad alta specialità, e caratterizzate da un alto contenuto tecnologico, professionale e umano».

 

 

OSPEDALI PUGLIESI, GLI ALTRI…

Sempre in Puglia, il Policlinico di Bari si piazza al trentanovesimo posto in Italia. Tra gli altri ospedali pugliesi: il Perrino di Brindisi (cinquantaseiesimo), il San Paolo di Bari (sessantanovesimo), il Vito Fazzi di Lecce (settantaseiesimo), il Riuniti di Foggia (ottantatreesimo) 83simo, il Santissima Annunziata di Taranto (centotrentaduesimo, penultimo).

Come si diceva, secondo quanto riportato da Neewsweek, dalle riviste nazionali e dalle agenzie di stampa, la metodologia utilizzata per il ranking del 2025 ha considerato: Sondaggi tra decine di migliaia di colleghi, medici e professionisti in ambito sanitario, principalmente nazionali (peso attribuito 40%); metriche di Qualità ospedaliera sul rapporto pazienti/medici-infermieri, Qualità dell’assistenza per trattamenti specifici e misure di igiene e sicurezza, Tempi di attesa (37,5%); esperienze dei pazienti (17,5%); misure di esito riportate dal paziente (5%).

«Io e mio figlio autistico, sfrattati!»

Taranto: Adriana e Saverio, lunedì scorso “sgomberati” 

«Tre anni di battaglie non hanno condotto a nulla», ha dichiarato la donna. «Avevo chiesto un altro giorno di proroga per dare un’occhiata a un B&B dove avremmo dovuto trasferirci: mi è stato negato». Infine: «Non vi fidate di chi mostra comprensione, alla fine spariscono tutti…»

 

Lunedì scorso, a Taranto, è stato eseguito lo sfratto dall’appartamento in cui abitavano, Adriana e Saverio. Mamma la prima, figlio autistico il secondo.  La casa in cui i due sfortunati protagonisti della vicenda risiedevano, non era stata riscattata per mille motivi, quello principale di carattere economico. Adriana e suo marito, dal quale la donna era separata da otto anni, non erano riusciti più a pagare le rate del mutuo. A causa dei problemi e delle cure costanti di cui aveva bisogno Saverio, la donna aveva contratto debiti. Non erano stati sufficienti gli aiuti che giungevano a quel piccolo nucleo familiare in modo sporadico.

E’ una delle tante vicende italiane che da una parte dovrebbero farci indignare, dall’altra farci “inquartare” (per non usare vocaboli più pesanti, non è nostra abitudine). E, allora, facile sparare addosso a questo o quello: prendersela, forse, con i servizi sociali, qualcuno con la nuova proprietaria dell’immobile che ha acquistato casa di Adriana e Saverio all’asta. All’interno della vicenda che ci fa sentire tutti più vulnerabili, deboli, nonostante i guai e i problemi ai quali è andata incontro in questi mesi, ma diremmo anche anni, la donna, una cosa, piccola sia chiaro, che ci ha riempito il cuore, è stato il suo sorriso.

 

 

ADRIANA, GRANDE DIGNITA’

Arrabbiata, forse con se stessa e quanti le avevano assicurato che una soluzione l’avrebbero trovata, Adriana fino all’ultimo momento ha mostrato carattere. Certo, «non fa piacere a nessuno finire sui giornali», specie per cose così spiacevoli, per certi versi umilianti (dove di umiliante non c’è nulla). La mamma di Saverio, sia chiaro, non ha mostrato solo il sorriso, ha mostrato anche i muscoli quando c’è stato da rispondere a quei giornalisti che, svolgendo il proprio mestiere, le chiedevano «e adesso, Adriana, tu e Saverio che farete? Dove andrete ad abitare?». E lei, il sorriso sulle sue labbra per una volta appena smorzato: «Dove andrò? Non lo saprà nessuno!». Come a dire: «Ringrazio tutti per la collaborazione, dai giornali alle tv, dai servizi sociali ai politici che si erano in qualche modo avvicinati per capire se ci fosse un qualche margine, adesso io e Saverio faremo a modo nostro…». Insomma, pare di capire che la storia sia andata a finire proprio come immaginava la stessa donna, epilogo compreso. Lo sfratto ha fatto notizia, tutti le si sono avvicinati, poi quando i riflettori sulla vicenda si sono spenti, via gran parte di quel circo mediatico. Qualcuno è rimasto sul campo, accanto: ha provato a rassicurare Adriana; lei, che in tutto questo tempo ne ha viste e sentite tante, ormai non si scompone più di tanto: ciò che aveva previsto è accaduto, nonostante altre rassicurazioni.

«Questa – la dichiarazione della donna all’agenzia Ansa – è stata la degna conclusione di tre anni di battaglie; avevo solo chiesto ancora ventiquattro ore di tempo per spostarmi con mio figlio Saverio e svuotare casa delle nostre ultime cose per trasferirci in un B&B: dovevo solo visionare che i locali nei quali ci saremmo trasferiti si dimostravano adeguati; invece, niente: mi hanno canzonata; mi hanno invitato a mandare via la stampa e cominciare a togliere qualcosa per mostrare tutta la nostra buona volontà ad arrenderci di fronte alla macchina giudiziaria; mi avevano assicurato che  avrei potuto restare con Saverio un’altra notte: niente di tutto questo, è stata l’ennesima presa in giro».

 

 

PAROLE TANTI, FATTI NESSUNO

La dignità della donna a cui facevamo allusione. Nel suo sfogo fa attenzione a non a fare entrare la vicenda umana che ha per protagonista suo figlio Saverio, autistico. Tutti lontani dal ragazzo, mamma e figlio avrebbero avuto bisogno di una mano, sì, ma non di compassione. Adriana, quelle parole che provavano a scavare nella coscienza di una città “spettatrice”, le ha sempre rispedite al mittente. Anzi, è stato come se le avesse respinte come “irricevibili”. C’era stata un’occasione, forse due, in cui la donna aveva provato, con grande dignità, a spiegare di cosa avesse bisogno, più per il bene del ragazzo, che non per se stessa. Missione fallita. Parole, tante; fatti, nessuno. Tanto che Adriana e Saverio hanno lasciato casa, piccola, accogliente, ma tremendamente loro, anche se con qualche ipoteca: i soldi servivano e serviranno a sostenere l’assistenza per il ragazzo.

«I servizi sociali – ha spiegato sempre all’Ansa, Adriana – hanno trovato un posto che probabilmente sarà pronto tra un paio di mesi, poi sono andati via; così sono stata costretta a sgombrare casa alla meno peggio: non vi fidate, anche se c’è di mezzo un ragazzo disabile, dell’intera storia importa poco». Infine, si diceva: «Dove andrò? Non lo saprà nessuno, statene certi».

«Ucraina: nessun invio di truppe»

L’Italia non manda militari sul confine

«Questa ipotesi non è mai stata all’Ordine del giorno», dice il ministro Antonio Tajani, «dovessimo andare al fronte, lo faremo solo ed esclusivamente condividendo la posizione con gli altri Paesi». Stesso ragionamento per la Palestina, interviene il vicepremier Salvini: «Abbiamo già migliaia di soldati italiani in giro per il mondo, quando ci sarà avanzata richiesta, ne parleremo»

 

«L’Italia ha sempre detto che l’invio di truppe italiane in Ucraina non è all’ordine del giorno, dopodiché, se un domani ci dovesse essere una missione Onu con contingenti di vari Paesi, si potrà eventualmente ragionare, ma al momento questo tema non è all’ordine del giorno». Questo, in sintesi, l’intervento alla Camera del ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Insomma, l’Italia non schiera il suo esercito a sostegno della causa ucraina, opponendosi esplicitamente al conflitto contro la Russia. Vista così, oltre a una posizione di non belligeranza, sembrerebbe un rifiuto, netto, all’ingresso dell’Italia nel conflitto che vede l’Ucraina opposta alla Russia. Questa posizione mostra anche una certa disponibilità da parte del nostro Paese ad “ascoltare” il governo di Putin, dopo che il Capo di Stato russo ha trovato argomenti utili e condivisibili con Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, che con la sua posizione di arbitro del complesso conflitto militare ha di fatto ignorato l’Europa. Evitato un ulteriore bagno di sangue.

 

 

A QUANDO IL «CESSATE IL FUOCO»?

Ora altri due sono i temi che stanno a cuore a quanti sono contro ogni tipo di conflitto ed auspicano pace incondizionata: il definitivo “Cessate il fuoco” sul confine russo-ucraino e sulla Striscia di Gaza, dove prosegue un conflitto che da tempo immemore semina odio e morti, donne e bambini compresi.  

Niente confine ucraino, dunque, per l’Italia. «Se sarà necessario creare una “zona cuscinetto”, bisognerà mandare truppe sotto la bandiera delle Nazioni Unite; solo in questo caso potrà esserci una disponibilità italiana; così come accaduto per la Palestina, ma sempre con la corresponsabilità di tutti». Tajani, portavoce del governo, è tassativo. Alla domanda sul fatto che la Lega fosse d’accordo con questa posizione, la risposta, secca, non lascia spazio a interpretazioni: «Se la Lega è d’accordo? Parlate con loro: io dico la mia», riporta, puntuale, l’agenzia giornalistica Ansa. «Se deve essere – prosegue il ministro – una forza di interposizione, questa deve essere delle Nazioni unite in modo che sia neutrale».

 

 

«INVIO TRUPPE: NON PREVISTO»

Per chi non avesse inteso a chiare lettere le parole del vicepremier azzurro, alla Camera è stato ribadito che l’Italia ha sempre sostenuto che l’invio di truppe italiane in Ucraina non è all’ordine del giorno: se, invece, un domani ci fosse una missione Onu con contingenti di vari Paesi, si potrà tornare sul tema e ragionarci sopra. Non è all’ordine del giorno, né se n’è mai parlato. Fonti del governo ribadiscono tale posizione definendo «notizie totalmente campate per aria le ricostruzioni sulle valutazioni di un invio di truppe: non esiste questo dibattito all’interno della maggioranza».

A proposito del «Chiedetelo alla Lega», la risposta resa alla stampa dal ministro Tajani, dopo le dichiarazioni sul “non invio di truppe italiane sul fronte ucraino”. Sempre l’agenzia Ansa ha registrato le dichiarazioni di Matteo Salvini, vicepremier e segretario della Lega.

«Il governo non sta discutendo di soldati italiani in Ucraina: nessuno ci ha rivolto richiesta a riguardo: quando ce lo chiederanno ne parleremo; l’Italia ha già migliaia di soldati in giro per il mondo, pertanto, prima di mandarne altri sarei molto cauto». 

«Ditemi la verità, sempre…»

Papa Francesco ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma

Sotto osservazione da venerdì 14, reagisce, sorride, prega, domanda, fa battute. «Mantiene il suo buonumore: al mattino, quando lo salutiamo, con un “Buongiorno Santo Padre” lui risponde “Buongiorno santo figlio”», spiega alla stampa il prof. Sergio Alfieri. «Il Pontefice vuole conoscere le sue condizioni: “mi rendo conto che la situazione sia grave, ma ditemi tutto…”»  

 

«Non è fuori pericolo, Sua Santità vuole gli si dica la verità: noi possiamo solo dire, e lo abbiamo riferito allo stesso Papa Francesco, che la degenza potrebbe essere lunga». E’ uno dei concetti del prof. Sergio Alfieri, coordinatore dell’equipe medica che si occupa del Pontefice. Sono le prime dichiarazioni rilasciate dallo specialista nell’incontro con la stampa organizzato all’interno del Policlinico Gemelli di Roma, dove Papa Francesco è ricoverato dallo scorso 14 febbraio.

Qualche giornalista insiste, Alfieri risponde, perché la domanda è quella che attende per prima. «Come sta? Come un signore di ottantotto anni che ha patologie polmonari croniche». Una domanda tira l’altra, risposta breve, secca: «Non è fuori pericolo; è un papa, ma è anche un uomo».

Se non lo fa un portavoce della Santa sede o un cronista, ci pensa lo stesso professionista. Anticipa un’altra domanda, perché una di quelle spontanee riguarda l’umore del Pontefice. «Mantiene il suo buonumore: per dirne una, al mattino quando si mette in poltrona, lo salutiamo con un “Buongiorno Santo Padre” e lui, persona di grande spirito, per dire quanto sia presente, risponde “Buongiorno santo figlio”».

 

 

SE TUTTO ANDASSE PER IL MEGLIO…

Breve conversazione a parte, quello che sta a cuore a milioni di fedeli di tutto il mondo, è quanto durerà il ricovero del Papa: se tutto dovesse andare per il meglio, sicuramente per tutta la prossima settimana». Il rischio, dicono i bollettini medici, è che i germi presenti nei polmoni, nonostante le terapie che il papa sta facendo, possano passare nel sangue; al momento non sarebbe così, ma in quel caso avrebbe una sepsi e alla sua età potrebbe essere difficile uscirne: è questo il rischio che il Pontefice correrebbe.

Alla luce di queste notizie, è normale che Papa Francesco con celebrerà l’Angelus di questa mattina. «Sarà diffuso, però, il testo preparato dal Santo Padre, secondo quanto già avvenuto domenica scorsa; anche l’omelia della messa di oggi nella Basilica di San Pietro, in occasione del Giubileo dei Diaconi, è stata fornita da Papa Bergoglio. La leggerà il celebrante delegato da Francesco, l’arcivescovo Rino Fisichella».

Nelle scorse ore era stato diffuso un briefing informativo con i giornalisti accreditati alla Sala stampa con rappresentanti dell’equipe medica che ha in cura il Papa. Fra questi, lo stesso Alfieri, capo dell’equipe medica, e dal professor Luigi Carbone. «Non è attaccato a nessun macchinario; quando ha bisogno, mette i naselli per un po’ di ossigeno, ma ha respiro spontaneo e si alimenta; occorre restare concentrati per superare questa fase». La conferma su tempra e spirito.

 

 

«CONOSCE LA GRAVITA’, IL PERICOLO»

«Il Santo Padre non è persona che molla: resterà qui almeno tutta la prossima settimana: il Papa – viene ribadito – non è fuori pericolo, ma nemmeno in pericolo di vita, tanto che si è recato in cappella a pregare».

Nessun giro di parole, parlano i medici. «Il Papa – hanno dichiarato – ha sempre voluto che dicessimo la verità; la malattia cronica rimane, questo Sua Santità lo sa». Lui stesso avrebbe detto: «Mi rendo conto che la situazione è grave, a volte gli manca il respiro e la sensazione non è piacevole per nessuno». Questo l’aggiornamento fortemente desiderato da Bergoglio.  voluto fortemente dallo stesso Papa: «, ma desidera che si sappia la verità, basta con le fake news».

Continua intanto il pellegrinaggio dei fedeli al Policlinico Gemelli, per rivolgere una preghiera al Pontefice. Fedeli di ogni età, fra questi i giovani, anche studenti di Medicina che approfittando di una pausa dallo studio, osservano che in questi giorni si è registrato un certo movimento, specie in occasione del Capo del Governo, Giorgia Meloni.

«Imprenditore in Senegal»

Claudio, sessantenne, vicentino sbanca a Dakar

La sua “avventura” nel cuore dell’Africa occidentale inizia con “Sapori d’Italia”, qualche anno fa. «Ho provato ad esportare prima i prodotti della mia terra, poi il resto dell’enogastronomia del mio Paese». Un successo, anche in termini di fatturazione. «Hanno tentato di replicare il mio percorso, arrendendosi subito…»

 

«Sapori d’Italia». Chi lo diceva che il nostro Paese potesse esportare prodotti in Senegal, in passato una delle colonie più importanti dell’Africa occidentale francese, di cui Dakar è la capitale? Eppure, da tempo la capitale, famosa per ospitare manifestazioni di alto profilo sportivo, è affascinata dalle bontà del nostro Paese che gode credibilità in tutto il mondo.

Nei giorni scorsi, grazie ad un servizio riportato dal corriere.it, il brand «Sapori d’Italia» è tornato alla ribalta. Merito del prestigioso quotidiano online, che non si lascia scappare quella che, a ragione, possiamo definire “ghiotta occasione”, ma anche del protagonista della nostra storia, Claudio Bonatto, sessantenne nativo di Breganze (Vicenza), la voglia matta di viaggiare e fare impresa, tanto che quando il cronista prova a farsi rilasciare una, due battute, lui preferisce far parlare il suo passato e, perché no, il suo futuro, fatto di imprese e scommesse da una parte all’altra del pianeta. Poi arriva Dakar. «La mia – confessa al Corriere – è diventata in pochi anni la prima azienda di importazione di prodotti di enogastronomia italiana qui in Senegal, con un occhi di riguardo a tutto ciò che proviene dal Veneto, dalla mia regione d’origine».

 

 

QUESTIONE DI «SAPORI»

Per Claudio non è solo questione di business, nel tempo ha imparato che non puoi arrivare secondo, specie se vuoi fare impresa ad alto livello. Dunque, la risposta resa al cronista del popolare quotidiano che registra alti numeri anche online, non ci stupisce. «Siamo i numeri uno – conferma infatti Bonatto – tanto che vendo quello che altri non hanno; chi si serve da me sa perfettamente che si troverà al cospetto di prodotti introvabili: articoli che qui, a Dakar, non ci sono, non sono nemmeno neppure reperibili nei migliori supermercati francesi, che qui in Senegal sono disseminati ovunque».

Fondata sei anni fa, poco prima della pandemia, l’azienda di Bonatto è diventata la principale importatrice di prodotti alimentari italiani in Senegal, con particolare attenzione rivolta ai prodotti della sua terra (Veneto). Salumi, dalla sopressa al cotechino, proseguendo con formaggi tipici come l’Asiago e il Morlacco, prodotti con i quali il nostro connazionale ha saputo conquistare i palati locali e internazionali, vendendo – si diceva – prodotti introvabili nei supermercati francesi presenti in tutto Senegal. Lo scorso anno, Claudio registra un primato raggiungendo un fatturato di mezzo milione di euro. Un buon inizio, che lascia ben sperare in prospettiva, perché gli investimenti di «Sapori d’Italia» proseguono.

 

 

DAKAR, AGGREGATORE SOCIALE

Il suo quartier generale è al centro di Dakar. Non è semplicemente un esercizio, ma un “point” nel quale si incrociano non solo palati, ma anche culture, una storia che, non a caso, comincia dalla curiosità che i clienti manifestano per i suoi prodotti: nella sua attività, quanti sono interessati al suo brand scoprono la storia dei prodotti e le tradizioni culinarie italiane. Bonatto, ecco il bernoccolo dell’imprenditore, ha creato uno spazio dove non solo fanno bella mostra di sé prodotti di alta qualità, ma si promuove anche un’esperienza gastronomica completa, dalle degustazioni di vino alle storie dei produttori italiani. Qualcuno si è domandato se l’imprenditore veneto non temesse una certa concorrenza. Di solito l’invidia e lo spirito di emulazione spingono altri imprenditori a replicare più o meno la stessa formula.

Ci hanno provato, figuriamoci, ma, c’è un ma: «Chi ha provato a imitarmi – riporta la redazione di AltovicentinOnline – è durato pochi mesi». Il suo negozio, sottolinea il “giornale” online, è ormai una tappa obbligata per gli expat, i diplomatici e i senegalesi in cerca di un assaggio di Italia. L’inaugurazione di “Sapori d’Italia” è stata un evento mondano a Dakar, e ora Bonatto sta valutando di ampliare il locale per accogliere meglio la crescente clientela. Con un progetto che va oltre la semplice vendita, Bonatto sta contribuendo a rafforzare i legami tra Italia e Senegal, portando nel cuore dell’Africa la cultura e i sapori del Veneto.

«Potenza della lirica…»

Simone Cristicchi, “Quando sarai piccola”, il Festival e il sociale

Indipendentemente dalla classifica, il cantautore romano a Sanremo ha manifestato un messaggio forte, che ha commosso tutti. Sala stampa e teatro Ariston gli hanno tributato una “standing ovation”. La mamma, vittima di un’emorragia cerebrale, si “risveglia bambina”. Le similitudini con “Ti regalerò una rosa”, dedicata anche al povero Antonio Cosimo Stano

 

«Quando ho ascoltato la canzone di Cristicchi, “Quando sarai piccola”, ho avuto una forte emozione, mi sono scappate le lacrime: una storia così l’ho vissuta sulla mia pelle; non c’è critica che possa scalfire minimamente un brano così carico di sensibilità». Anna, commerciante, confessa la sua emozione a un paio di clienti, che condividono. «Vero – ammettono – anche a me è piaciuta: in una rassegna dove per il più del tempo la faceva da padrona il disimpegno e il divertimento, ho avvertito, forte, la sensazione che in quel momento si fosse fermato il tempo, tutti facessero silenzio per ascoltare le parole di una canzone trascinata da una musica altrettanto suggestiva».

«Uno che scrive una cosa così, come minimo deve averla vissuta sulla sua pelle, perché solo dal cuore di chi soffre possono scaturire parole simili: per mio padre sono diventato il suo migliore amico, non mi riconosce più, quando gli telefono quasi mi redarguisce: hai telefonato in ritardo questa sera, amico mio, mi dice; e io: “Papà, non mi riconosci? Sono tuo figlio…”». Paolo racconta la sua di storia, lo fa con la stessa dolcezza con la quale il cantautore di “Ti regalerò una rosa”, altro suo grande successo, ha trattato un dolore altrettanto personale.

 

 

EVITATA OGNI RETORICA

«Ho voluto evitare la retorica – dice lo stesso Simone Cristicchi in conferenza stampa il giorno dopo il debutto – perché se l’avessi percepita non l’avrei nemmeno presentata al Festival invece ci siamo commossi tutti perché si tratta di storie vere, è vita autentica, si toccano corde emotive in un mondo in cui c’è una grande compressione emotiva, tanto che trasmettiamo sempre meno».

«La poesia non dovrebbe basarsi sui numeri ma su altri parametri – prosegue Cristicchi – sta accadendo qualcosa di inatteso e, cioè, che un autore, come me, non abituato a certe dinamiche sta facendo ascoltare la propria canzone a milioni di persone: per me è stata una grandissima sorpresa». Al mattino circolano già le prime proiezioni, non solo per addetti ai lavori: “Quando sarai piccola” è al secondo posto in radio, mentre il video registra visualizzazioni da primato su Youtube. Non solo, il brano riceve una bella spinta dalla sala stampa e una meritatissima “standing ovation” in teatro, gli applausi e la la commozione degli orchestrali che di canzoni sotto il loro naso ne hanno viste passare; una parte di quegli applausi vanno anche a Valter Sivilotti, il direttore che sabato 8 marzo dirigerà l’Orchestra della Magna Grecia che accompagnerà Cristicchi insieme ad Amara al teatro Orfeo in “Concerto mistico per Battiato” (nella serata dedicata alle cover i due artisti al Festival hanno cantato “La cura”, una delle più grandi suggestioni del cantautore siciliano).

 

Foto Aurelio Castellaneta

 

«TORNARE BAMBINI», UN DRAMMA

“Quando sarai piccola” racconta di una delle circostanze di fronte alle quali ti mette la vita: “quando i genitori diventano figli”. Quella dell’artista è una storia personale: racconta la malattia della mamma che qualche anno fa, a sessantatré anni, è stata colpita da una grave emorragia cerebrale, per tornare bambina al suo risveglio. «La Federazione Nazionale Alzheimer – rivela Cristicchi – mi ha scritto: il senso di questo brano va oltre una patologia, parla del ciclo della vita, un messaggio più spirituale che medico; molti che vivono ogni giorno situazioni simili si sono ritrovati nelle mie parole». Applausi a scena aperta in teatro. «Prima del debutto ero preoccupato, ero teso, poi mi sono rilassato: ero riuscito a mantenere quell’equilibrio che in teatro significa andare per sottrazione, meno si fa e più il messaggio arriva potente».

E ancora: «Ho descritto – conclude il cantautore – la sofferenza di vedere un genitore diventare fragile, ma c’è anche la rabbia di vedere una persona amata cambiare e la fatica di volerlo accettare; chi fa questo lavoro può essere considerato un cronista, un fotografo: la canzone è un momento di libertà per raccontare una storia, ed è questo quello che ho fatto».

 

Foto Aurelio Castellaneta

 

SIMONE E QUEL PENSIERO PER COSIMO

Tempo fa Cristicchi, romano, quarantotto anni appena compiuti, dopo un concerto, rispose a una nostra domanda a proposito della canzone, “strumento potentissimo”. «In tre minuti – ci disse – riesce a smuoverti quello che hai dentro, a farti sentire delle emozioni, a trascinarti dentro una storia. “Ti regalerò una rosa” è l’esempio, il mio manifesto: trovo interessante utilizzare il palcoscenico, mettere in luce queste realtà di cui poco si parla e dire “Esiste Antonio Cosimo Stano!”, uno dei miei “santi silenziosi”, a volte agnelli sacrificali che muoiono per risvegliarci; nei miei concerti dedico spesso questa canzone all’anziano disabile picchiato selvaggiamente a Manduria, che il caso ha voluto si chiamasse proprio come il protagonista di “Ti regalerò una rosa”: mi piace pensare a Cosimo come al protagonista di questo brano, che vola finalmente libero, ora che ha fregato tutti trasferendosi in un’altra dimensione. Chi ha compiuto quell’aggressione ha sì una grande responsabilità, ma è anche il mondo ad averne una enorme: che mondo abbiamo costruito, che mondo stiamo dando a questi ragazzi se poi compiono questo tipo di azioni? Cosa ci ha portati all’indifferenza, che poi è il male del momento storico che stiamo vivendo?».

Per la cronaca, la giudice Vilma Gilli, condannò i tre aggressori, due a 10 anni di reclusione, mentre a 8 anni e 8 mesi il terzo. Il giudice riconobbe il reato di tortura nei confronti del sessantaseienne, escludendo l’aggravante della morte dell’uomo come diretta conseguenza di quelle violenze portate avanti con “inaudità crudeltà” da una baby-gang composta per buona parte da minorenni

Trani, una, cento suggestioni…

Uno dei Borghi pugliesi più belli

Dal Duomo “nell’acqua” al Castello svevo. Dalla cultura alla cucina. Per chi possiede il bernoccolo per la scoperta di località particolari, questa è una esperienza imperdibile. Un angolo di paradiso, autorevolmente eletto “una delle mete più amate del Sud”. Una fiorente industria di calzature, abbigliamento, metalmeccanica e del legno

 

Puglia, uno spettacolo. Non lo scriviamo solo noi. Provate a digitare su internet, scrivete la parola “Puglia” sul vostro motore di ricerca di riferimento, digitate “invio” e il gioco è fatto. Appare una sfilza di località dalla bellezza mozzafiato. Una più bella dell’altra.

Del resto, quante volte abbiamo scritto che venire a visitare la Puglia, non è solo un’esperienza, ma un tuffo nella bellezza e nella sostanza; nella storia, come nella tavola; nel passato, pieno di riferimenti, molti dei quali ancora esistenti, e nel presente e, perché no, anche in un futuro fatto di conforto e di tentazioni. Il mare, la collina, la campagna, le masserie, i castelli, la storia che comincia dall’Antica Roma per proseguire nel Risorgimento. E non solo. Insomma, se c’è una regione ricca di bellezza e nella quale qualsiasi turista la eleggerebbe a seconda residenza, bene, questa è la Puglia. Ma di cosa scriviamo oggi. Ci ha colpito un servizio ripreso e pubblicato da Bitontotv.it . Un bel servizio, a firma di Daniela Pisapia – perché è bene dare pane al pane, vino al vino, si dice così da queste parti… –  nel quale si segnala uno dei borghi più belli della provincia di Bari: Trani. E’ qui che piombano visitatori e turisti provenienti non solo dal resto della Puglia, ma anche d’Italia e da un po’ di anni, tanti, dal resto del mondo. Trani, una delle mete più ambite e più consigliate, a giusta ragione.

 

 

LOCALITA’ PIENA DI FASCINO

Se avete il bernoccolo per la scoperta di località particolari, Trani diventa una meta imperdibile. Come a dire che non potete perdervi un borgo pugliese così affascinante. Un angolo di paradiso, tanto da averlo autorevolmente eletto “una delle mete più amate del Sud”. Trani, una location da sogno, lontana dal traffico e dall’inquinamento acustico provocato dalle grandi città. Questo comune della Puglia è perfetto da visitare tutto l’anno, in estate come in inverno.

Avrete sentito parlare della sesta provincia pugliese, dopo Bari, Lecce, Taranto, Brindisi e Foggia. Bene, la sesta è BAT, acronimo di Barletta, Andria e, appunto, Trani, che consideriamo a tutti gli effetti provincia di se stessa. Un Borgo bello e suggestivo, con il suo quartiere ebraico e il suo centro storico, destinazione ideale per una immersione totale fra relax e bellezza. Qui è possibile visitare due splendide sinagoghe: la Sinagoga Museo Sant’Anna e la Scolanova. Come imperdibile è da considerare la splendida Villa comunale a picco sul mare.

Fra le principali attrazioni per i turisti, e non solo, oltre al bellissimo Castello svevo, la chiesa a pochi passi dall’acqua: il Duomo di Trani (ufficialmente Basilica Cattedrale di Maria Santissima Assunta, detta anche di San Nicola Pellegrino), che, senza tema di smentita, possiamo indicare come un esempio di architettura romanica pugliese. La cucina tranese, come nel resto della Puglia, con le dovute sfumature “locali”, è una tentazione per i palati con pietanze a base di agnello o capretto (come iturcineddi), oppure a base di specialità di pesce azzurro, come le irresistibili alici arrancate.

 

 

TRANI, LA CORTE, UN DETTO…

Trani, inoltre è anche sede di tribunale e di sezione di Archivio di Stato. A partire dal 1586, Trani per due secoli è stata sede della Regia udienza provinciale, con funzioni di capoluogo e di principale centro amministrativo e giudiziario per l’antica provincia di Terra di Bari, per poi diventare sede della Corte d’Appello delle Puglie (da qui l’esclamazione tipicamente pugliese: “Meglio avere a che fare con la Corte di Trani…”).

Oltre all’estrazione e lavorazione dalle sue cave della pietra di Trani, qui risiede una fiorente industria di calzature, abbigliamento, metalmeccanica e del legno. Detto della produzione del Moscato di Trani, negli anni hanno registrato un significativo sviluppo il settore terziario e, appunto, quello del turismo, da quello culturale a quello balneare. Non è un caso che sia riconosciuta tra le città d’arte della Puglia. E questo, grazie ad una importante rilevanza storica e artistica del Borgo antico e di monumenti, a cominciare dalla Cattedrale romanica proseguendo con il Castello svevo. Anche questo imperdibile per chiunque. 

Rita, un turbo nel motore

La popolare tiktoker napoletana dopo Roccaraso rende popolare un altro evento

«Venite a trovarmi a Bari ad “Esteticamente”, ci sarà da divertirsi». Giovanni Conversano, ex tronista di “Uomini e donne”, e perfetto padrone di casa: «In realtà non l’abbiamo invitata, ma sarà la benvenuta». In tutto questo, a guadagnarci è questa “Fiera della bellezza” che si svolgerà fino a lunedì prossimo

 

Quando si dice che i social fanno più danni della grandine. Sarà pure una iperbole, ma come vogliamo chiamarla la convocazione attraverso i suoi mille canali di comunicazione che Rita De Crescenzo, nota tiktoker, ha rivolto ai suoi fedelissimi? E’ successo in occasione delle vacanze sulla neve a Roccaraso. Rita, non richiesto, ha concesso il bis giorni dopo per “invitare” le sue migliaia di follower anche nel capoluogo pugliese provocando quello che si chiama terremoto mediatico in vista di “Esteticamente, la fiera della bellezza.

Sia chiaro, nessun ferito, solo disagio da parte degli organizzatori del capoluogo barese e di quanti anche stavolta hanno voluto vedere, in modo palese o di nascosto…l’effetto che fa. Insomma, una sorta di “vengo anch’io” trasformatosi nello spazio di un paio di giorni in un ping-pong fra influencer e organizzatori. L’incontro è finito pari, senza vincitori né vinti. Ne ha guadagnato, comunque, il brand fieristico finito su tutti i social, i siti, i quotidiani, le riviste. E bene andrà ad “Esteticamente” se la De Crescenzo non emetterà regolare fattura per aver promosso la manifestazione, che comunque godeva già di grande popolarità. Succede questo e altro. Anche la signora “Grandi idee”, a quanto ci risulta, dalla manovra pubblicitaria ha avuto riscontri positivi. Sono aumentati i suoi follower e, presumiamo, anche i suoi inserzionisti che affideranno una parte dei loro investimenti pubblicitari sui canali della De Crescenzo presi letteralmente d’assalto.

 

 

COSA E’ ACCADUTO

Ma “cosa è successo?” si starà chiedendo qualcuno. Ebbene, c’è da fare un passo indietro. Dopo Roccaraso, la De Crescenzo ha invita tutti a Bari per la fiera del beauty. Un messaggio breve, ma significativo, come si dice in questi casi: «Vi aspetto, dobbiamo fare peggio di là». Pare, però, si sia autoinvitata.

Nell’ottimo articolo di Erika Cuscito del Corriere del Mezzogiorno, la tiktoker napoletana Rita De Crescenzo (due milioni di follower!) avrebbe annunciato la sua presenza alla fiera barese (“Esteticamente”) per domenica 16 febbraio invitando migliaia di follower ad andare a trovarla. Interviene l’organizzatore, Giovanni Conversano: «Ci ha chiamati lei», dice l’ex tronista.

Dopo Roccaraso, insomma, è toccato a Bari. L’invito sui social arriva direttamente dalla tiktoker che domenica prossima prenderà parte ad “Esteticamente in Fiera”, la vetrina dedicata al mondo della bellezza in programma negli spazi della Fiera del Levante, da oggi, venerdì 14, a lunedì 17 febbraio. A Bari, naturalmente piomberanno influencer e ospiti da ogni parte d’Italia. Personaggi invitati dagli stessi espositori, altri voluti dai brand prestigiosi che hanno inteso ricavare pubblicità da una “expo” di prestigio.

 

Foto Profilo Facebook

 

IN PRINCIPIO FU ROCCARASO

Prima di Bari, però, Roccaraso, la località sciistica presa d’assalto da più di diecimila visitatori. Diecimila visitatori giunti principalmente dalla Campania, grazie alla pubblicità impressa attraverso i social da influencer, fra i quali Rita De Crescenzo.

Problemi di comunicazione. Gli organizzatori confermano la presenza di Rita, che però avrebbe fatto tutto da sola, invito compreso. Portavoce della tiktoker smentiscono. Sostengono, infatti, che la sua partecipazione non sarebbe stata frutto di una sua decisione. «Rita viene scelta, è molto seguita e viene richiesta che siano eventi pubblici o privati; conosce Bari e conosce i baresi che la amano». Giovanni Conversano, ex volto della tv dopo la partecipazione come tronista al programma “Uomini e Donne” (Canale 5) e oggi imprenditore dichiara: «Ci ha contattati lei per sapere se ci fosse la possibilità di ospitarla e noi le abbiamo risposto che non c’era alcun problema». In effetti, la partenza di “Esteticamente” non poteva andare meglio. Macchina da guerra, assicurano. Ma il turbo ce lo avrebbe messo Rita.

«Sanremo, gioia immensa»

Alla vigilia del Festival, Red Canzian dei Pooh racconta una grande esperienza

«Cominciò con una provocazione, poi la telefonata di Adriano Aragozzini. Avevamo la canzone giusta, “Uomini soli”, vincemmo e in albergo saltammo su un letto e sfondammo una rete». Un libro e un musical di successo. «“Centoparole”, firmacopie pugliese caloroso; “Casanova”, un musical che ha sbancato anche in Cina, l’invito in Russia e tanto altro ancora»

 

Ieri il “via” al Festival di Sanremo. C’è la Champion’s di calcio a contrasto con la corazzata di Raiuno che fagociterà presentatori, cantanti, direttori d’orchestra, musicisti, varie ed eventuali. Nulla si può contro una “macchina da guerra” progettata anni fa da Pippo Baudo e poi ripresa dalle varie produzioni messe in campo con presentatori-selezionatori. E, allora, per una volta, approfittando di un’amicizia collaudata proviamo a farci raccontare un importante dietro le quinte, quello del 1990 presentato da Johnny Dorelli e Milly Carlucci e vinto dai Pooh con la splendida “Uomini soli”. Per fare questo e capire che aria tiri al Festival, approfittiamo della presenza in Puglia di Red Canzian, storico bassista della formazione musicale più amata dagli italiani (https://www.youtube.com/watch?v=7KRqebRYMdE è il link dell’intervista sul canale di “Costruiamo”). Canzian in rappresentanza anche dei colleghi Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, del compianto Stefano D’Orazio che a quell’edizione c’era.

«Finita la canzone – racconta Red – proprio Stefano mi rifilò una bacchettata, non per riprendermi, del resto avevo cantato bene, ma per scacciare un pipistrello che si era appoggiato a una mia spalla: eravamo al Palafiori e non al Teatro Ariston, e lì dove tenevano la fiera dei fiori, riuscivano ad entrare tutti i tipi di volatili che circolavano nel cielo della liguria, dai passerotti ai piccioni, fino, appunto ai pipistrelli: insomma, andò così quella prima esibizione, preludio a una vittoria meritata, credo…»

 

 

COMICIA DA QUI…

Comincia così il racconto della serie “C’era una volta Sanremo, il festival delle meraviglie…”. Quello con l’orchestra, le due versioni di ciascun brano, poi scavalcato dal playback e, infine, ripreso con una formula che nel tempo ha mantenuto i suoi principali cardini. I Pooh a Sanremo con uno dei gioielli inediti della loro collezione Grandi successi. Lo snodo è una conferenza stampa, protagonisti naturalmente Roby, Stefano, Dodi e Red. «Se al Festival tornerà l’orchestra e gli organizzatori porranno fine al playback, stavolta potremmo farci un pensiero e partecipare…».

Questa la risposta a una provocazione durante una conferenza stampa. C’è un prima e c’è un dopo. Tempo dopo, infatti, Adriano Aragozzini, patron di più di un’edizione della rassegna canora quest’anno a quota settantacinque, chiama i Pooh: «Ricordate quella promessa? “Se torna l’orchestra, noi partecipiamo al Festival!”». «Certo che lo ricordiamo, Adriano – la risposta dei quattro artisti – ma occorre un’altra condizione: dobbiamo avere la canzone giusta, altrimenti Sanremo diventa una passerella e sai quanti non vedono l’ora di darci addosso…».

 

 

CHI APRI’ LA STRADA

Era il 1990, si diceva. La canzone giusta, nel frattempo, i Pooh l’avevano trovata: “Uomini soli”. I Pooh vinsero quell’edizione, l’unica a cui parteciparono come concorrenti, per poi tornare all’Ariston come ospiti e annunciare la reunion che l’anno prossimo porterà il gruppo musicale italiano più longevo a celebrare i sessant’anni di attività.

Per la cronaca. C’è una pugliese in gara, la barese Serena Brancale. Partecipa all’edizione condotta da Carlo Conti e in programma da ieri, martedì 11, a sabato 15 febbraio. Sul palco dell’Ariston la Brancale ha invitato a duettare con lei la salentina Alessandra Amoroso.

Torniamo al passo indietro che sa di storia e Red Canzian, nei giorni scorsi in Puglia per presentare il suo libro di successo “Centoparole – Per raccontare una vita”. Non solo un libro, primo in classifica con le sole prenotazioni, ma anche “Casanova”, primo musical in assoluto ad essere presentato (e replicato) con successo in Cina appena nel gennaio scorso.

I Pooh al Festival di Sanremo, Canzian. «Partì da quella provocazione: in conferenza avevamo dichiarato che se il Festival fosse tornato quello di un tempo, con l’orchestra e il cantante straniero nella doppia versione, avremmo potuto farci un pensierino; in breve, Aragozzini, patron del Festival, alzò il telefono e ci chiamò: “Bene, farò Sanremo proprio come auspicavate, ora non potete tirarvi più indietro”; questo uno dei motivi che ci spinsero verso il Festival; l’altro motivo, direi fondamentale, era che avevamo “Uomini soli”, una canzone che ci avrebbe dato grande soddisfazione a livello artistico: certo, vincere è importante, ma se non fosse accaduto, con un pezzo come “Uomini soli” saremmo cascati in piedi».

 

 

UOMINI SOLI

Canzian e soci non avevano messo in preventivo la vittoria. «Vero – conferma il bassista – tanto che non avevamo nemmeno pensato a scrivere un pezzo per l’Eurofestival, a cui partecipava di diritto chi vinceva Sanremo; avevamo il tour in partenza e al nostro posto ci andò Toto Cutugno, classificatosi secondo a quell’edizione: i Pooh, negli anni hanno rinunciato a realizzare progetti all’estero per dedicarsi al pubblico italiano, una scelta ripagata, se stiamo pensando al tour dei sessant’anni…».

C’era tensione o leggerezza, è il caso di domandarsi. «Leggerezza non direi, quell’anno ne ho vista poca: una volta annunciata la nostra partecipazione al Festival in un programma di Pippo Baudo, i giornali si scatenarono, davano la nostra come una vittoria annunciata, tanto che i colleghi non ci vedevano di buon occhio; Sanremo, da principio lo avevamo considerato come un’occasione per far conoscere una canzone di rara bellezza musicale e di una poetica elevata».

Ripensando a quel Sanremo, ci sarà pure stata un’emozione più forte delle altre. «Sicuramente, fino alle lacrime: noi in quinta, emozionatissimi, nel sentire Dee Dee Bridgewater cantare il nostro pezzo in inglese; e poi, quando ci è stata comunicata la vittoria; eravamo in albergo nella stanza di Emanuele Ruffinengo, nostro arrangiatore: per la gioia saltammo sul suo letto fino a sfondarne la rete!».

 

 

CAPITA A VOLTE…

Canzian, non solo musica, anche un titolo in libreria: “Centoparole”: un firmacopie affollato, quello pugliese. «Lettori in perfetta sintonia – conferma Canzian – sono in molti ad essersi avvicinati a questo mio libro dimenticandosi per qualche istante cosa avessi fatto con i Pooh o da solista, accettando il confronto, spesso ritrovandosi nel significato che ho attribuito a ognuna di queste cento parole; bello sentirsi dire: “mi hai aiutato a riflettere, a stare meglio, a risollevarmi”: un libro lo scrivi per la gente, non certamente per te».

Abbracci infiniti e selfie. «Un affetto così grande credo sia la cosa più bella che possa capitare a uno che scrive un libro, piuttosto che un’opera teatrale, una canzone: quando il lettore si riconosce in quello che hai fatto – e questo mi è capitato di constatare – vuol dire che hai trovato la strada più breve per arrivare al cuore della gente».

Non solo canzoni e un libro, c’è anche un musical, “Casanova”, scritto da Canzian. “Tutto esaurito” nei teatri italiani, stessa sorte nelle scorse settimane in Cina. «Pienone e applausi. Credo siano i frutti della passione, dell’impegno, per giunta non solo mio, ma di tutta la mia famiglia – mia moglie Bea, i miei ragazzi Chiara e Phil – che con compiti diversi ha lavorato alla realizzazione di un’opera straordinaria: pensa, avevamo la richiesta di sette rappresentazioni a Mosca e tre a San Pietroburgo, un invito che abbiamo rimandato a causa della guerra; si è, però, realizzato un sogno: soltanto tre anni fa ero disteso in un letto di ospedale e la mia famiglia, portava avanti la realizzazione di questo musical che stava per partire».

Sogni, bello averne realizzati. «Quando fai il mestiere che hai sempre desiderato fare – conclude Canzian – fai una buona vita, soprattutto hai l’affetto dei tuoi cari e l’abbraccio di tanta gente, ogni giorno, capisci che hai fatto bene. Credo che questo sia il più grande sogno mai realizzato…».