Valencia, dolore infinito

Continua a salire il numero delle vittime causato dalla Dana

Finora sarebbero 211 le persone decedute, ma ci sono gli scomparsi (allestite morgue per accogliere questi ultimi). Accuse contro il governo per il ritardo dei soccorsi, gestiti in modo improprio. I reali di Spagna contestati e presi di mira con lancio di fango. Posizione di grande spessore quella assunta dai piloti del GP Motociclistico, da Bagnaia, campione del mondo in carica, a Martin e Marquez

 

Non si arresta il doloroso bollettino quotidiano che ci aggiorna sui sugli spagnoli deceduti a causa dei danni causati dalla Dana: il numero delle vittime della catastrofe provocata nella provincia di Valencia, fino a ieri, notizie riportate dall’Agenzia giornalistica Ansa, dunque una delle fonti più autorevoli, parlava di 211 persone decedute. L’informazione è del Centro operativo di emergenze del governo regionale della Generalitat, confermato dalle forze di sicurezza.

Il numero delle vittime, però, sale, posto che il Ministero dell’Interno alza a 217, includendo nell’elenco i morti registrati nelle altre regioni della Spagna. Il sospetto, anche se l’auspicio è contrario, è che il numero fin qui riportato dalle agenzie e dall’Unità di crisi è praticamente fermo a sabato scorso, mentre sui social si rincorrono cifre sempre più discordanti. Questa imprecisione sarebbe da addebitare al fatto che le vittime segnalate dai comuni viene inoltrato alle Forze di polizia, ma che non sempre aggiorna in tempo reale le liste.

 

 

E POI I DISPERSI

C’è anche un’altra cifra che dolorosamente prova a farsi largo, ed è quella relativa al numero di dispersi. Un numero ancora indefinito, tanto che la mancanza di informazione non fa altro che dare al Paese la sensazione che la catastrofe abbattutasi su Valencia e dintorni possa essere stata molto più grave. Dall’ufficiale a capo dell’Unità militare dell’esercito al comando dei 7.800 militari, ha confermato che è stata allestita una sala mortuaria per 400 persone, che potrebbe avvicinarsi al numero complessivo dei dispersi.

Accanto a questa attività, si affianca anche quella altrettanto tragica che riguarda l’identificazione delle vittime dove squadre di medici legali hanno finora realizzato 190 autopsie e identificato con certezza 111 dei cadaveri recuperati. Un’attività che ha permesso di espletare le formalità con la consegna dei corpi restituiti ai familiari.

Nei giorni scorsi la notizia di un Pecco Bagnaia, più volte campione del mondo di Moto GP, aveva assunto una posizione intransigente, a proposito del Gran Premio che sarebbe dovuto svolgersi proprio a Valencia: l’ultima gara della stagione sulla pista spagnola, proprio in una località martoriata dalla terribile alluvione, non si svolgerà. I piloti, in testa Bagnaia, che ha dichiarato “A costo di perdere il Mondiale, non corro”, sono stati fra i più attivi contro lo svolgimento della corsa di chiusura nel Mondiale a Valencia. Oltre a Bagnaia, i due centauri spagnoli, evidentemente i più influenti, Jorge Martin e Marc Marquez.

 

 

“NO” DEI PILOTI, FANGO SUI REALI

Più diretto, si diceva, era stato il campione del mondo in carica, Pecco Bagnaia, disposto – parole sue – a rinunciare al titolo iridato pur di tenere fede al suo principio di non voler correre nella città spagnola martoriata da centinaia di vittime. Infine, ma non ultima, a proposito delle notizie che circolano su quanto accade a Valencia e dintorni. Durante la visita del re di Spagna Felipe VI e la regina Letizia a Paiporta, altra città colpita dalle inondazioni, i due reali sono stati aggrediti da numerosi abitanti furiosi che hanno scagliato contro loro fango urlandogli contro, tanto da costringere l’intera delegazione ad interrompere la visita.

La regina Letizia in lacrime e sporca di fango ha voluto lo stesso salutare quella gente meno inferocita, ma ugualmente critica, a causa della risposta tardiva e mal gestita in occasione di quello che viene indicato come il peggior disastro degli ultimi decenni.

Cani e gatti, impariamo

Quando le bestie insegnano una serena convivenza

Matteo, già proprietario di un cane, si imbatte in una micina, Principessa. Prova solo ad accudirla, le costruisce perfino una cuccia, ma quell’anima, lui ancora non lo sa, lo ha già adottato. E per finire, la piccola seduce un cagnone che oggi si prende cura di lei. Gli uomini dovrebbero meditare sulla saggezza degli animali

 

Per una volta il nostro “domenicale”, rubrica che raccoglie curiosità che scaturiscono dalle colonne della stampa e dalla cronaca, racconta una piccola grande storia. La storia fatta di accoglienza, quella di un signore che si imbatte in un gatto, e di tolleranza, considerando che l’uomo avendo in casa già un cane, alla fine fa convivere il suo nuovo ospite, un micetto, con quelli che sulla carta sono i loro nemici giurati, e cioè il suo fido.

Ecco, talvolta, cosa c’è dietro ad una semplice storia. Basta saperla leggere, perché ad interpretarla, come avrete modo di constatare, saranno loro, cane e gatto, quelle che i dizionari definiscono “bestie”.

La storia è bella, divertente oseremmo dire, piena di significato, come in qualche modo già spiegato. Sta tutto nella capacità di persuasione di una gattina, che chiameremo Principessa. Minuscolo essere, smarrito, abbandonato, che una sera tende un agguato romantico ad un ignaro signore. Questo piccolo spaccato di vita che non ci ha trovato indifferenti. Tante volte è il caso di fermarsi a riflettere, perché spesso, come vedrete, c’è da imparare più da una storia così semplice che non da quei pistolotti esagerati, con applausi a comando, scaturiti da uno dei tanti talk show televisivi.

 

 

QUA LA ZAMPA

La menzione la merita a tutto tondo il quotidiano La Stampa, che ha una rubrica, molto interessante, dalla parte degli animali. Se le storie non trovano spazio sul cartaceo, ecco che una delle più autorevoli testate giornalistiche, rimedia on line. E non solo, La Zampa può essere seguita su Facebook, Instagram e X. Inoltre, per non perdere notizie e storie, è possibile iscriversi ad una newsletter settimanale, naturalmente gratuita.

Dunque, veniamo alla storia. C’è un signore, che noi chiameremo Matteo. Lavora in un albergo. La serata scorre lenta, non succede niente di particolare. E’ il caso di vivacizzarla facendo due passi, per sgranchirsi le gambe e stiracchiarsi un po’ all’aria fresca. E’ passata la mezzanotte, nel parcheggio all’ingresso dell’hotel, il massimo silenzio. E’ un attimo, quando quel silenzio, viene rotto da un miagolio disperato, che si fa largo fra le vetture. E’ una minuscola creatura. La sua “vocina” sottile chiede aiuto. Matteo, alla fine della storia, confesserà di non aver mai avuto a che fare con i gatti, prendendosi per giunta già di un cane al quale è affezionato tanto che non potrebbe mai infliggergli un colpo a sorpresa. E, invece…

La Zampa, riprende la confessione dell’uomo che si è imbattuto con quel gatto. «Miagolava forte, spaventata, era sotto un’auto: per un quarto d’ora ho provato a farla uscire, ma non si muoveva».

 

 

ACQUA E PAZIENZA…

Dopo tentativi, la gattina spaventata si è rifugiata in un cespuglio. Solo grazie a un po’ di acqua e pazienza, Matteo riuscì a guadagnarsi abbastanza fiducia così da poterla avvicinare. L’aveva in qualche modo rassicurata. «Missione terminata, posso allontanarmi, ho compiuto la mia buona azione quotidiana». E invece, no, Matteo, quella che a te sembrava conclusa, era solo un’incompiuta. Principessa, ormai, aveva fatto la sua scelta: non voleva più restare sola, così prese a seguire Matteo mostrandogli tutta la sua determinazione esplicata con un piccolo balzo aggrappandosi alle sue gambe.

Non consentiva all’uomo di fare un passo: ogni volta che Matteo cercava di liberarsi di Principessa, il suo miagolio si faceva più disperato. Matteo aveva pensato anche a un soluzione transitoria, creare attorno alla micina un rifugio con una scatola e una coperta. Questo nella mente dell’uomo, che non era evidentemente la stessa di Principessa: l’unico posto dove sembrava trovar pace, spiega il giornale on line, era la sua spalla, tanto da non perdere occasione per saltarci sopra.

 

 

«LA MIA SPALLA: CASA SUA»

«Era tranquilla – riprende l’uomo – solo se stava sulla mia spalla o sul petto: ogni volta che provavo a spostarla, miagolava e risaliva subito: ha passato così la notte, tra coccole, riposini sulla spalla e occhiate di gratitudine, quel piccolo spirito aveva finalmente trovato un rifugio».

Così, emozionato e convinto che la cosa che stava per fare era la più giusta, Matteo aveva deciso di portare Principessa a casa sua. Unica preoccupazione, il suo cane e un interrogativo: come, l’inquilino già accasato fra le mura domestiche, avrebbe reagito alla nuova presenza? Un primo controllo ha un che di incoraggiante: i due animali hanno avuto solo brevi incontri, ma il cagnolone di Matteo pare eccitato e incuriosito dai nuovi odori e suoni che provengono dalla stanza dove Principessa sta prendendo le misure di questa sua nuova e più stabile abitazione.

Con tanto di benedizione a Matteo e a quel cagnone che ha entusiasticamente accettato la convivenza. Anzi, pare che il cucciolone si stia prendendo cura di Principessa come fosse un suo simile. E qui ci vorrebbe daccapo quel dizionario cui alludevamo: simile. Analogo o affine nell’aspetto, nei caratteri. Nonostante uno dei detti più popolari – ma andrebbe sicuramente aggiornato – continui a recitare: «Si odiavano come cane e gatto». Gli uomini prendano esempio su come due, all’apparenza differenti fra loro, possano convivere, rispettarsi e prendersi cura l’un l’altro.

«Gli esami non finiscono mai»

Mogol, il più grande di tutti, 88 anni, ritira una Laurea ad honorem

«Riprendo Battisti in uno spettacolo che debutta il prossimo 3 novembre a Milano», racconta Giulio Rapetti. «Ho scritto per Lucio, ma anche per Celentano e Cocciante; scoprii Gaber e lanciai Tenco». Una, dieci, cento storie, lo stesso numero di canzoni: Emozioni, La canzone del sole, Acqua azzurra acqua chiara, Il mio canto libero…

 

«Oggi è il giorno più bello della mia vita». In mano la preziosa pergamena, sulla testa che ha pensato mille canzoni, il tocco accademico, il copricapo che i laureati indossano unitamente alla toga. Lunedì scorso l’Università Iulm di Milano a Mogol, al secolo Giulio Rapetti, ha conferito il master ad honorem in Editoria e Produzione Musicale.

Come a dire, che gli esami non finiscono mai. Lo scriveva e recitava in una delle sue più celebri commedie un altro grande autore, Eduardo, a dimostrazione che far lavorare la mente non porta a grandi risultati culturali, titoli di studio che mai prima d’ora, ma anche ad essere longevi. Studiare, pensare, tenersi in esercizio, come recitava una compagnia telefonica tanti anni fa, “allunga la vita”.

Mogol, ottantotto anni, più che suonati, scritti. Alla musica ci pensava un altro genio, Lucio Battisti, che insieme con Rapetti ha costituito la coppia di autori di maggior successo, “finché Grazia Letizia – moglie dell’artista di Poggio Bustone – non ci separi”, verrebbe da dire.

 

 

«HO STUDIATO TANTO…»

La laurea, tiene a sottolinearlo, raccontandosi ad Andrea Spinelli in un bel “botta e risposta” rilasciato al quotidiano Il Giorno. «Ho studiato tanto, una delle mie scoperte: Giorgio Gaber, aveva stoffa, quando gli proposi un contratto pensò a uno scherzo…».

Battisti, un giorno, raccontò del suo incontro con Mogol a Milano, alla Ricordi, dietro l’insistenza di Pietruccio Montalbetti dei Dik Dik. «Mi chiese di fargli ascoltare alcune cose condite da un inglese maccheronico: “Fanno schifo, mi disse schietto”; in realtà un po’ anche a me, gli confessai; la cosa non ci scoraggiò e andammo avanti». La storia dette ragione ai due artisti di “Emozioni”, “Acqua azzurra acqua chiara”, “La canzone del sole”, “Il mio canto libero” e decine di grandi successi cantati e ricantati in tutto il mondo.

«Ma attenzione – confessa sempre Rapetti – nessuno nasce con la penna in mano; la prima canzone scritta, “Mamma guitar”, faceva davvero pena: veniamo al mondo con un talento da individuare, ma poi bisogna crescerlo con la passione, il lavoro, l’autocritica».

 

 

NON SOLO BATTISTI, PERO’…

Dici Mogol e pensi, inevitabilmente, a Battisti. Ma di canzoni, ne ha scritte a bizzeffe: per Celentano, Zero, Cocciante e tanti altri. Indietro nel tempo, prima di Battisti che era lì lì per esplodere. «“Se stasera sono qui” la scrissi con Tenco, primi anni Sessanta, ma Luigi – che aveva una voce molto interessante e un’attitudine alla Nat King Cole – non era del tutto convinto: un giorno, mentre andavamo in trattoria, ci fermammo nel mio studio in Corso Buenos Aires, gliela feci registrare. Quel brano, era il ’67, Wilma Goich lo presentò al Disco per l’Estate; qualche mese dopo recuperammo il provino originale, lo completammo con gli arrangiamenti orchestrali di Gian Piero Reverberi, lo pubblicammo trasformandolo in uno dei grandi successi di Tenco».

Mogol potrebbe raccontare ancora tanto, un’infinità di cose. Ma, si dice, una cosa per volta. Lui, Doc Mogol, non ha fretta. Cominciamo dall’impegno più immediato. Il 3 novembre al Lirico presenterà “Emozioni, la mia vita in canzone”, spettacolo in cui con Gianmarco Carroccia (provate a trovare su internet una delle sue tante interpretazioni, chiudete gli occhi e ascoltate e poi diteci…) tra i successi scritti con Lucio Battisti. Sul palco anche l’Emozioni Orchestra, un ensemble composto da venti elementi diretti dal maestro Marco Cataldi, che ha curato gli arrangiamenti.

«No ai killer a piede libero!»

Fiaccolata per ricordare l’ultimo episodio del quale è stata vittima una tredicenne

Secondo la sorella e i familiari della tredicenne che avrebbe compiuto un volo di otto, dieci metri dal balcone, l’esecutore dell’ennesimo femminicidio un quindicenne. Fidanzatino della vittima, sarebbe stato sottoposto a un interrogatorio da parte della Procura affiancata nelle indagini dai Carabinieri. Dopo l’autopsia, la manifestazione per ricordare ragazze donne vittime di inaudita violenza

 

Piccoli killer crescono. Sarebbe più corretto scrivere “aumentano”. Perché stavolta ci troviamo davanti a un omicidio nel quale è indagato un quindicenne, il fidanzatino della piccola vittima, ancora più giovane di lui, appena tredici anni. Un tipo «molto violento» accusano i familiari della piccola precipitata dal balcone di un condominio di Piacenza la scorsa settimana.

I familiari della ragazza non si danno pace, vogliono che gli inquirenti giungano al più presto alla soluzione del caso e assicurino alla giustizia l’assassino. Che per loro non sarebbe un mistero. L’ipotesi è una sola: sarebbe stato il quindicenne a spingere nel vuoto e a provocare la morte della ragazzina dopo un volo di otto, dieci metri.

I familiari non sono d’accordo con le prime versioni raccolte dagli organi di informazione. E’ quanto riporta fedelmente l’agenzia giornalistica Ansa. Non pensano nemmeno lontanamente, i familiari della poveretta, all’ipotesi di suicidio, così come non credono all’ipotesi di caduta accidentale.

 

 

«E’ LUI, NON CI SONO DUBBI!»

«No ai killer a piede libero». È il messaggio disperato, perentorio pubblicato sui social dalla sorella della vittima. La Procura, attivatasi in brevissimo tempo, ha compiuto i suoi passi, aprendo un fascicolo per omicidio volontario iscrivendo il nome del quindicenne, il fidanzatino della vittima, che la mattina del 25 ottobre era proprio con lei al momento della tragedia.

La ricostruzione, si diceva, è stata affidata al sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale per i minori di Bologna affiancato nelle indagini al nucleo investigativo dei carabinieri. Proprio i militari dell’Arma, dal momento in cui si è svolto l’episodio stanno verificando i fatti.  «Dalla mattinata di venerdì scorso, stanno lavorando senza un attimo di sosta, senza trascurare alcun particolare», dice l’avvocata Lorenza Dordoni, difensore della madre della tredicenne. «Dirimente – prosegue la legale – sarà per la ricostruzione della dinamica l’esito della perizia autoptica, per cui verrà conferito l’incarico ad un medico legale dell’istituto di Pavia; unitamente alle testimonianze raccolte, ai rilievi fatti dai carabinieri, si arriverà alla ricostruzione della dinamica di questo tristissimo evento».

 

 

«IL RAGAZZO E’ SOTTO SHOCK»

Cosa dichiara la controparte. «Il ragazzo è sotto shock, da quando ha fatto ritorno a casa non parla con nessuno», hanno riferito i familiari al quotidiano piacentino Libertà, che in un articolo riporta, stando sempre alle dichiarazioni dei familiari, che il ragazzo è affranto dal dolore.

Nel corso di un primo interrogatorio, l’indagato avrebbe negato ogni addebito, dichiarando che la ragazza sarebbe caduta da sola. Stando ai fatti, sarebbe stato lo stesso quindicenne a chiedere aiuto ai vicini, che hanno poi hanno chiamato i soccorsi. A lungo interrogato da Carabinieri e Procura per i minori, il quindicenne è stato rilasciato.

Intanto la sorella ventiduenne della vittima, annuncia una fiaccolata. «Sarò io personalmente ad organizzarla, non solo a nome di mia sorella, ma anche per tutti quei femminicidi che si stanno verificando ogni giorno», ha riportato sui social la giovane.

La fiaccolata dovrebbe avere luogo dopo i funerali, ancora privi di una data. Considerando le indagini ancora in corso, bisognerà attendere il responso dell’esame autoptico sulla salma e il via libera della Procura.

Il Salento ora “vola”

Consegnati ufficialmente i lavori per la realizzazione del collegamento ferroviario

«Premiato il lavoro di squadra: attendiamo quest’opera da decenni ed è fondamentale che sia rispettata la tabella di marcia», ha fatto sapere con una nota l’on. Andrea Caroppo, vicepresidente della Commissione Trasporti. Riqualificazione delle stazioni di Casarano, Gallipoli, Maglie, Novoli, Otranto, Tricase e Zollino. L’intervento di elettrificazione della linea ferroviaria regionale che collega le stazioni di Martina Franca a Lecce, Lecce a Gagliano del Capo, Maglie e Otranto

 

«La rivoluzione per la mobilità nel Salento può iniziare. I lavori possono finalmente entrare nel vivo». Ne ha dato notizia attraverso una nota l’on. Andrea Caroppo, vicepresidente della Commissione Trasporti. I lavori per il collegamento ferroviario con l’Aeroporto brindisino, possono considerarsi ufficialmente consegnati.

«Una bella notizia – prosegue Caroppo – che premia il lavoro di squadra portato con il collega Tullio Ferrante, sottosegretario con delega alle opere commissariate; nel Salento attendiamo quest’opera da decenni ed è fondamentale che sia rispettata la tabella di marcia. A tal fine organizzeremo un’azione di monitoraggio mensile affinché tutti i lavori vengano conclusi più presto secondo i tempi previsti».

La notizia, proprio per la sua ufficialità, è quella che si suol dire una “buona notizia”. Per il Salento, ma anche per l’intera Puglia, che proprio nell’estate appena finita aveva registrato gravi problemi nel fornire risposte sempre più adeguate a quella che ormai può considerarsi la sua maggiore forma di sostegno: il turismo. Proprio una serie di disservizi hanno messo a nudo la necessità di mettere mano ad un progetto già a buon punto, non solo nelle linee-guida, ma anche da accordi e finanziamenti approvati, come dichiarato dallo stesso vicepresidente della Commissione Trasporti.

 

 

LINEA ADRIATICA VELOCIZZATA

Inutile giraci intorno, grande importanza hanno sempre avuto gli interventi di velocizzazione della linea adriatica, che, estendendosi fino a Lecce, prevedono l’adeguamento dei requisiti tecnici che renderanno la linea idonea ad essere inclusa nella rete Core entro il 2050. Con la forte espansione del turismo, negli ultimi anni, si stava rendendo necessaria un’accelerazione in quella che doveva essere una svolta per una ulteriore crescita del Tacco d’Italia.

Nel maggio 2023 era stata RFI ad aggiudicarsi l’appalto dei lavori per la realizzazione del nuovo collegamento ferroviario tra la stazione di Brindisi Centrale e l’Aeroporto del Salento, intervento per un valore di circa 70 milioni di euro a valere sul Pnrr.

Sempre scrivendone al passato, segno che il tema è sempre stato vivo nei progetti della Regione, ricordiamo che sempre un anno fa (6 giugno) FSE aveva pubblicato il bando di gara per il completamento delle opere di attrezzaggio ERTMS (Sistema di gestione, controllo e protezione del traffico ferroviario), lavori che interessano in totale 215 Km di linea ferroviaria del valore complessivo di 130,8 milioni di euro a valere sul Pnrr.

Stessa fonte di finanziamento – aveva fatto sapere la Regione Puglia – per i lavori di realizzazione di hub intermodali e per la riqualificazione delle stazioni di Casarano, Gallipoli, Maglie, Novoli, Otranto, Tricase, Zollino, la cui sottoscrizione del contratto di appalto era già prevista entro la fine dello scorso anno.

 

 

STAZIONI “TRASFORMATE”…

Per intendersi, l’intervento è finalizzato alla trasformazione delle principali stazioni della rete FSE in “smart station” attraverso la realizzazione di veri e propri nodi intermodali con il potenziamento dei servizi di interscambio ferro-gomma-mobilità lenta, l’incremento del livello di sicurezza degli impianti di stazione, la realizzazione di segnaletica di sicurezza e di sistemi di videosorveglianza, nonché il miglioramento dell’accessibilità agli spazi delle stazioni e ai treni con l’eliminazione delle barriere architettoniche.

L’intervento di elettrificazione della linea ferroviaria regionale gestita da FSE che collega le stazioni di Martina Franca a Lecce, Lecce a Gagliano del Capo, Maglie e Otranto, è finanziato con il PSC-FSC 2014-2020, per un totale di circa 186 km. Il completamento delle opere è previsto, salvo contrattempi, per il primo semestre del 2026.

“Siamo in fase di approvazione del Piano attuativo 2021-2030 del Piano regionale dei Trasporti – aveva dichiarato lo scorso anno l’assessore ai Trasporti e alla Mobilità sostenibile, Anita Maurodinoia, assessorato oggi ricoperto da Debora Ciliento – documento di programmazione degli interventi in materia; avevamo sperato di inserire il nodo di Lecce come nodo della rete transeuropea di trasporto TEN-T, ma la Commissione europea non ha accettato la nostra proposta, pur rappresentando Lecce di fatto la parte terminale della Rete Comprehensive in Puglia; questo, però, non ci ha distolti dal programmare interventi in grado di potenziare la rete ferroviaria, di incrementare l’intermodalità verso le principali stazioni ferroviarie e l’aeroporto di Brindisi, e di ammodernare e rendere sempre più sicura e capillare la viabilità extra urbana”.

 

 

…E SVILUPPO TRAFFICO MERCI

Trasporti significa anche logistica per il trasporto merci, per dare impulso allo sviluppo del traffico merci su ferrovia e all’intermodalità ferro-gomma-mare, assicurando il raccordo tra la rete di interesse nazionale e i principali nodi intermodali, tra cui quello di Lecce Surbo.

E poi c’è il trasporto pubblico locale (TPL), che vede l’Assessorato regionale impegnato insieme ai concessionari del servizio su ferro e gomma a garantire mobilità tra i territori per i viaggiatori abituali, i pendolari per lavoro e studio, oltre che a trovare soluzioni come il biglietto o l’abbonamento unico in grado di far risparmiare tempo e denaro. “Puntiamo alla sostenibilità dei trasporti – ha detto l’assessore -, per cui ci stiamo impegnando nel rinnovo delle flotte su ferro e gomma con mezzi a basso impatto ambientale, ma anche sostenibilità in senso più ampio che coincida con una migliore qualità della vita. In questo modo cerchiamo di offrire infrastrutture e servizi utili ai viaggiatori in generale, come i turisti.

«Prevenzione innanzitutto»

Sabrina Salerno, showgirl, operata di tumore consiglia

«Dopo l’intervento, mi sento pronta ad affrontare il mio percorso», ha scritto sui social. Coraggio e determinazione di una donna di successo. «Non vedo l’ora di tornare alla normalità, poi di riprendere i contatti con il mio lavoro, fare un tour e incontrare tutta quella gente che in questi mesi mi ha incoraggiato», dice la cantante di “Siamo donne” e “Boys”

 

«Ho paura, ma sono pronta ad affrontare il mio percorso con determinazione». Sabrina Salerno, cinquantasei anni, una delle show-girl più amate della canzone italiana, rilascia una breve serie di dichiarazioni alla stampa, raccolta anche, sempre con la grande puntualità, dall’agenzia giornalistica Ansa. Sabrina compie questa sorta di outing all’indomani di una delicata operazione, perfettamente riuscita, subita a causa di un tumore ad un seno (nodulo maligno).

Lei, stella della dance, esuberante, bella, per un lungo periodo considerata anche “la più desiderata di tutte”, per via di seni vispi e generosi. Senza tanto nascondersi, Sabrina, non solo bella, intelligente, molto sensibile, come vedremo, è stata colpita proprio a quello che era, e continua ad esserlo, il suo simbolo.

Altri giornali, riprendono frasi e intervistano, brevemente, la cantante dalla mente della quale passano sentimenti sempre diversi. Fra gli approfondimenti, quelli della rivista “Io donna” (Corriere della sera), a cura di Concetta Desando, e del portale MeteoWeb a firma di Francesca Zavettieri.

 

 

«TUTTO IN COSI’ POCO TEMPO»

«In questo momento sto cercando di elaborare tutto quello che mi è successo in questi mesi», Sabrina Salerno aveva consegnato poche parole Sabrina ai social a dieci giorni dall’intervento al seno per la rimozione di un nodulo maligno. «Sono una donna – aveva aggiunto in uno sfogo, coraggioso, ripreso dall’Ansa – allenata a parare i colpi, non sempre gentili, che la vita mi ha riservato, ma una cosa è certa: gli avvenimenti negativi nascondono sempre un significato speciale e importante».

Prevenzione, innanzitutto. E’ il messaggio che fa pervenire a quanti visitano i suoi social, nutrono simpati nei suoi confronti, una ragazza, oggi una donna così solare. «Non immaginate – spiega – quanto sia importante questa parola; faccio la mammografia ogni anno, da quando ho compiuto trentacinque anni e, oggi, con determinazione e allo stesso tempo paura, sono pronta ad affrontare un percorso, il mio, che spero sia veloce e senza troppi intoppi. Un abbraccio a tutti per il sostegno e l’affetto che mi dimostrate giornalmente; ovviamente, non vedo l’ora di tornare in palestra e sul palco: la prevenzione e la diagnosi precoce può salvarci la vita».

Dai primi agli ultimi messaggi, traspare la voglia da parte della showgirl di “Siamo donne” e “Boys”, di riprendersi quella legittima quotidianità e tornare, finalmente, alla normalità. Benedetta normalità. Dopo aver annunciato sui social di essersi sottoposta, si diceva, a un delicato intervento, ha condiviso il percorso intrapreso dopo la diagnosi. C’è paura, non la nasconde, questo è il principale atto di coraggio. Ma ha anche voglia di riprendere la sua vita.

 

 

OPERATA CON SUCCESSO!

Operazione compiuta con successo. A pochi giorni di distanza, Sabrina torna sui social. Condivide con i suoi follower il suo stato di salute. «Ora sto cercando di elaborare tutto quello che mi è successo in questi mesi: paro i colpi, non sempre gentili, che la vita mi ha riservato, ma una cosa è certa: gli avvenimenti negativi nascondono sempre un significato speciale e importante».

Sabrina lo scorso 18 settembre è stata sottoposta a un intervento chirurgico a Treviso. Da quel giorno, il suo percorso di cure, con uno spazio significativo rivolto alla fragilità della vita e all’importanza di non dare mai nulla per scontato. Infine, parole di coraggio e un abbraccio «fortissimo tutti, uomini e donne, che stanno vivendo un percorso simile o più faticoso del mio; la vita è meravigliosa e vi giuro che mai avrei pensato di scrivere una frase simile a dispetto di tutto: come si cambia. Una ex malinconica cronica».

Avetrana, «fermate quella fiction!»

Il Comune chiede la sospensione della serie Disney+

Chiesto anche il cambio del titolo. «Vorremmo appurare se l’associazione del nome della cittadina all’adattamento cinematografico susciti una portata diffamatoria», dicono sindaco e pool difensivo del Comune in provincia di Taranto. «Abbiamo raccontato i fatti emersi dalla verità giudiziaria e limitati solo a quello, senza mai pensare di aprire altre strade», risponde il regista

 

Mentre parte la fiction televisiva sul canale Disney+ dal titolo “Avetrana – Qui non è Hollywood”, un ultimo disperato tentativo per sospenderne la programmazione o, in ultima analisi, provare a cambiarle il titolo, ci prova Antonio Iazzi, sindaco della cittadina in provincia di Taranto dove nell’agosto del 2010 fu barbaramente uccisa la quindicenne Sarah Scazzi.

Il primo cittadino si fa portavoce dell’Amministrazione, attraverso i suoi avvocati, depositando un ricorso cautelare d’urgenza per chiedere almeno la rettifica della denominazione della serie televisiva “Avetrana – Qui non è Hollywood” con sospensione immediata.

Della serie ne abbiamo scritto nei giorni scorsi, quando ancora il risentimento registrato nel paese in provincia di Taranto non aveva preso una piega giudiziaria, aspetto maturato in queste ultime ore. La fiction in questione, che descrive l’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi, sarà trasmessa sulla piattaforma Disney+ a partire dal 25 ottobre.

 

 

VORREMMO VISIONARE LA FICTION

«Risulta indispensabile visionarla in anteprima – scrive il primo cittadino nel documento inoltrato agli Organi di stampa e all’agenzia giornalistica Ansa – al fine di appurare se l’associazione del nome della cittadina all’adattamento cinematografico susciti una portata diffamatoria rappresentandola quale comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà».

«Volevamo esplorare la complessità del male – spiega, invece, il regista Pippo Mezzapesa alla rivista Vanity Fair – il rischio era di approcciarsi in modo morboso e voyeristico a questa storia ma l’intento invece è stato quello di andare oltre i personaggi che si sono creati e che inevitabilmente ognuno ha creato su se stresso, per andare anche a esplorarne le fragilità».

La programmazione prevista per venerdì 25 ottobre sulla piattaforma streaming Disney+ rischierebbe, secondo quanto riportato nel documento del Comune di Avetrana, di determinare un ulteriore attentato ai diritti della personalità dell’Ente civico accentuando il pregiudizio che il titolo già lascia presagire nel catapultare l’attenzione dell’utente sul territorio più che sul caso di cronaca.

 

 

RICORSO D’URGENZA

Nel ricorso depositato dagli avvocati Fabio Saponaro, Stefano Bardaro e Luca Bardaro, si indica che «risulta indispensabile visionare in anteprima il prodotto, ciò al fine di appurare se l’associazione del nome della cittadina all’adattamento cinematografico susciti una portata diffamatoria rappresentandola quale comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà».

«I dubbi e le perplessità della comunità avetranese, recepite dal pool difensivo – prosegue la nota – sembrano da ultimo avvalorate dalla recensione del film, pubblicata sul portale della Fondazione Ente dello Spettacolo, che rimanda all’idea di «un’Italia oscura e spaventosa abitata da mostri della porta accanto; una porta verso gli inferi dai quali non si fa ritorno, ambientata tra terre riarse, strade abbacinanti per il sole, tristi bar centri di incontri serali che tende a far rivivere un mondo di provincia chiuso e asfissiante guidato da una cattiveria che segna senza via di scampo relazioni, amicizie e parentele».

 

 

«RISPETTATI GLI ATTI GIUDIZIARI»

«La nostra comunità – conclude la nota a firma di Iazzi – merita rispetto e una giusta connotazione; ricordiamo che nel luglio del 2022, con atto ufficiale della Regione Puglia, Avetrana è stata riconosciuta “Città d’Arte” e inserita nell’Elenco regionale dei comuni ad economia prevalentemente turistica Città d’arte; a ciò si aggiungano accoglienza, ospitalità, generosità e altre peculiarità che da sempre caratterizzano la stessa cittadinanza».

Infine, sempre sulle colonne della rivista “Vanity Fair”, durante la lavorazione della serie tv, gli autori e la produzione della fiction sono rimasti in dialogo costante con la famiglia di Sarah Scazzi. «Il pericolo era di avere anche un coinvolgimento emotivo troppo forte che minasse la libertà di noi narratori – puntualizza Mezzapesa – abbiamo raccontato dei fatti emersi dalla verità giudiziaria, da tre sentenze e ci siamo limitati a quello: non abbiamo in alcun modo pensato di aprire altre strade, non siamo giudici, non siamo avvocati e non siamo giornalisti d’inchiesta, a noi interessava raccontare una storia per quello che è emerso ed esplorarne cause e conseguenze».

Italia, promossi e bocciati

Le città dove si vive meglio e peggio

E’ il Nord ad avere la meglio, il Sud in ripresa, ma la strada da compiere è ancora tanta. Un report dice che il divario si è ristretto, ma politica e impresa devono ancora lavorare. Money.it e Avvenire interpretano i risultati dei quattro saggi che hanno stilato la “chart” finale

 

Tutti pazzi per l’Italia, d’accordo. Stranieri, in particolare, matti per la Puglia. Ma non c’è solo il Paese del più e del meno, in Italia infatti esistono anche le zone intermedie. Fermo restando il meglio e il peggio, abbiamo preso in prestito lo studio, molto attento, aggiornato rispetto agli ultimi dodici mesi, svolto da Money.it

Come è stata stilata questa classifica. Il punteggio di ogni città è il risultato della somma di una serie di indicatori osservati dagli economisti interpellati per stilare la classifica definitiva: capacità di accoglienza, ambiente, turismo e cultura, capitale umano, demografia e famiglia, economia e inclusione, impegno civile, lavoro, legalità e sicurezza, salute, servizi alla persona.

L’indagine 2024 ha mostrato che le aree di osservazione circa legalità e sicurezza, salute e lavoro, sono migliorate. Gli indicatori che, invece, hanno registrato i livelli più bassi sono stati impegno civile, ambiente, cultura e turismo, accoglienza. Ambiti, questi, nei quali le città italiane sono risultate carenti.

 

 

BENE PORDENONE, SIENA E MILANO

La domanda che si pone il sito della rivista finanziaria americana e che in Italia, online, tratta problemi economici, parte dal meglio: “In quale città italiana si vive meglio in Italia?”. Il sito, come noi, setaccia il “Rapporto sul BenVivere e la Generatività delle province italiane 2024” pubblicato dal quotidiano L’Avvenire, che, puntuale, da sei anni aggiorna la sua classifica. In base all’indagine di un team di economisti italiani, il report in questione ha indicato, per esempio, miglioramenti sulla vivibilità al Sud. Il Sud, infatti, registra una riduzione della distanza fra nord e centro Italia rispetto a quanto riportato l’anno scorso.

Quando, però, si va a leggere la classifica, una sorta di Top 10, non solo la sensazione, ma le cifre e le indicazioni, nette, certificano che le città nelle quali si vive meglio si trovano in buona parte al Nord. Se pensiamo che le città più “giù”, in questa graduatoria, sono Siena e Firenze, va da sé che esiste ancora un certo squilibrio sul quale la politica e le imprese devono lavorare.

Nello scorgere la classifica 2024 delle città con la migliore qualità della vita in Italia, la prima osservazione che balza subito agli occhi è che è il Nord ad avere di gran lunga la meglio. In testa, saldamente, si colloca Pordenone. Sfila la testa di questa speciale classifica a Bolzano, città che non solo non conferma la sua leadership conquistata nella quinta edizione, ma addirittura perde nove posizioni, piazzandosi al decimo posto. A seguire la città friulana, Siena e Milano che formano il podio delle tre principali città con la migliore qualità della vita.

 

 

MALE REGGIO E CROTONE

Come Bolzano riesce a confermarsi per un soffio fra le prime dieci città italiane, ecco quattro città che fanno il loro ingresso in questa classifica. Nessuna sorpresa, sono sempre le città settentrionali a dire la loro: Trieste, Udine, Parma e Rimini. Questa la classifica completa: Pordenone, Siena, Milano, Trieste, Firenze, Trento, Rimini, Udine, Parma, Bolzano. Al Sud, degne di una certa attenzione, sono le città di Isernia e Benevento, comuni che hanno registrato un bel balzo in avanti nella qualità di vita.

Queste, dunque, le dieci città italiane dove si vive meglio. E se esiste una classifica “up”, per contro ce n’è una “up”, tanto che nel dare un’occhiata allo stesso rapporto, quello “sul BenVivere 2024”, osserviamo che Crotone e Reggio Calabria occupano ultimo e penultimo posto. Sempre secondo lo stesso report, le peggiori province italiane risultano essere Caltanissetta, Foggia, Catania e Napoli.

«Ius Scolae, magari…»

Storia di una coppia di giovanissimi studenti cinesi

«Pur non essendo una soluzione perfetta, rappresenta un passo avanti significativo, consentirebbe a chi frequenta le scuole elementari e medie di ottenere la cittadinanza italiana entro le superiori». I due piccoli fanno parte del nostro quotidiano. Di poche parole, mano nella mano, entrano in un bar del centro di Taranto: prendono due cornetti, pagano, salutano e vanno via. Tutto bene, naturalmente, se non fosse che il più grande, dodici anni, corregge: «Non mi chiamo Chen, ma se a voi sta bene così, fate pure..». Un inizio di giornata fra sorrisi, sguardi e un saluto, classico: “’Giolno..”.

 

C’è un giovanotto dodici anni, occhi a mandorla. Ogni giorno in un bar del centro cittadino si fa strada fra la gente che alle otto sorseggia il primo caffè della giornata. Tiene per una mano, la sorellina. Lui frequenta una scuola media, la bimba la scuola media. Ma parlano il mandarino, la lingua che più cinese non si può. E’ così che cambia il mondo. I due sono diventati le due mascotte dell’esercizio in pieno centro. Lo stesso dicasi per i clienti del bar. Non c’è verso, i due piccoli sorridono, piegano appena in avanti la testolina, stirano quegli occhietti a fessura, ringraziano, ma non accettano: obbediscono, pare di capire, a papà e mamma che hanno autorizzato una sola sosta prima di dirigersi, mano nella mano, a scuola.

Il piccolo è stato ribattezzato Chen. In realtà, lui ha cercato inutilmente di correggere il suo nome, ma per pigrizia o per la troppa gente che affolla quello spazio davanti al bancone, tanto da sembrare una sala d’attesa di un aeroporto, il titolare e i baristi non si sforzano più di tanto. «Chen, sei stato nominato!». Come fosse un reality, con personaggi, interpreti e nomination. Niente da fare, Chen alza appena il tono della voce, sempre composto, articola due sillabe, quasi a correggere quel nome che gli hanno già incollato sulla pelle, nemmeno fosse un tatuaggio.

 

 

CHEN, COME FOSSE “MARIO”

Chen, come fosse “Mario” dalle nostre parti. E così è. Non sono gli unici piccoli cinesi, nati in Italia da genitori che anni fa decisero di compiere il grande salto: partire dalla Cina e aprire un’attività all’estero. «In Italia, culla della cultura e della bellezza, sarebbe il massimo…», sembra di sentire. Aprono prima un localetto, poi un locale più grane, infine si trasferiscono in un immobile nel quale ci mettono di tutto. Dalle mini-stilo, a torcioni, plafoniere e candelabri; dal caricabatterie alla cover per cellulare. Nel bar. «Chen, per caso una foderina per questo cellulare ce l’avete?». E il piccolo, serio, senza prendere il telefonino fra le mani, sposta la testolina da un lato all’altro, come se stesse facendo una ripresa video. Cime mette un istante. Ciondola la testa in avanti, come a dire: «Sì, questa è materia nostra».

La consulenza dura solo il tempo di ritirare i due cornetti, pagare, salutare e andare via. «’Giolno…», pare di capire. «Ciao, Chen!». E uscendo, una mano stretta intorno alla manina della sorella, il piccolo dodicenne: «Non mi chiamo Chen…». E il titolare, appena smentito, rassicura i clienti. «Si chiama Chen, state tranquilli, loro sono così, non lo ammettono, ma alla fine si convincono…». Di fronte a una tale sicurezza, anche “Chen” sarà capitolato. Ci pare di vedere i suoi genitori. «Ti hanno chiamato Chen, che problema c’è, tu sorridi, ringrazia, prendi i cornetti, paga e soprattutto non lasciare la mano a tua sorella!». Saggezza popolare.

 

 

A TARANTO DECINE, A PRATO L’85%

A Taranto sono decine gli alunni, gli studenti che frequentano le nostre scuole. Ci sono città, per esempio, come Prato, in Toscana, dove esistono classi con l’85% di studenti cinesi. Il preside, non nasconde il suo punto di vista: va bene. «La cittadinanza è anche un incentivo a partecipare ai corsi fin da piccoli».

In una delle città più multietniche d’Italia, scrive puntuale il sito orizzontescuola.it, la questione della cittadinanza per gli studenti stranieri si presenta con urgenza e concretezza. Il preside di due istituti comprensivi pratesi, con una presenza di circa duemilatrecento alunni, sostiene l’importanza dello “Ius Scholae” come strumento per affrontare le sfide e le opportunità di una realtà scolastica sempre più multiculturale.

 

 

PRIMA DELLA CAMPANELLA

«Lo Ius Scholae – riprende orizzontiscuola.it – pur non essendo una soluzione perfetta, rappresenta un passo avanti significativo, consentirebbe a chi frequenta le scuole elementari e medie di ottenere la cittadinanza italiana entro le superiori». Il preside toscano sottolinea come molti studenti stranieri, nati e cresciuti in Italia, si trovino a dover affrontare complesse procedure burocratiche, come la richiesta di visti per partecipare a gite scolastiche nell’Unione Europea. Lo “Ius Scholae” semplificherebbe questi iter, riconoscendo l’appartenenza di fatto di questi giovani al tessuto sociale italiano».

Una legge che consentirebbe a molti dei nostri piccoli studenti di sentirsi italiani. Compreso Chen. «Non mi chiamo Chen…». Certo, pardon: compreso quel ragazzetto che ogni mattina mano nella mano con la sorellina si fa strada nel bar, saluta tutti e sgattaiola verso la scuola, prima che suoni la campanella.

«Palazzina Laf,  è una vicenda umana»

Lunedì scorso nella Biblioteca Acclavio un incontro con i protagonisti

«La Palazzina Laf ha rappresentato non solo per Taranto, ma per tutta l’Italia, una vergogna», così hanno ricordato Claudio Virtù e Giuseppe Palma, fra i 79 lavoratori Ilva relegati in un luogo fatiscente del siderurgico. Ritenuti scomodi o sindacalizzati, dovevano rappresentare in tutto lo stabilimento un esempio per condizionare anche le scelte aziendali. Promosso dal giornalista Antonio Attino e Vincenzo Di Renna, docente del liceo artistico “Calò”. Sono intervenuti, fra gli altri, il magistrato Alessio Coccioli, e lo scrittore Carlo Vulpio (“La città delle nuvole”)

 

Ventisei anni fa, il 7 novembre 1998, la magistratura mise sotto sequestro la Palazzina Laf (Laminatoi a freddo, l’acronimo), l’edificio della fabbrica in cui i dirigenti del Centro siderurgico Ilva confinavano i lavoratori indisponibili ad accettare il demansionamento.

Fu il primo clamoroso caso di mobbing in Italia, un caso esemplare di persecuzione sul luogo di lavoro che portò nel 2001 alla condanna (poi confermata nei due successivi gradi di giudizio) di undici persone: dirigenti, capi e il proprietario dell’Ilva, Emilio Riva.

La storia che ha ispirato il film del regista tarantino Michele Riondino, è stata raccontata da alcuni dei veri protagonisti della vicenda lunedì sera nella sala Agorà della biblioteca civica Acclavio di Taranto. “Taranto, la storia oltre il cinema. Palazzina Laf”, questo il titolo dell’incontro.

 

Foto Studio Ingenito

 

UN INCONTRO PER TUTTI

Obiettivo dell’incontro: andare alle origini della storia, ricostruendola grazie alle testimonianze di quanti la vissero. L’incontro, aperto a tutti, era nato avendo come pubblico ideale i giovani e gli studenti (numerosi i ragazzi che hanno partecipato al dibattito intervenendo con domande rivolte ai protagonisti). «Ci auguriamo possa essere stato un “esercizio” di educazione civica», aveva dichiarato Attino, promotore dell’incontro insieme con Vincenzo Di Renna, anche lui docente del liceo artistico “Calò”.

Fra i presenti, Alessio Coccioli, attualmente procuratore a Matera; è lui il magistrato che all’epoca condusse l’inchiesta giudiziaria con il procuratore aggiunto Franco Sebastio, scomparso a gennaio dell’anno scorso. Con Coccioli, due ex lavoratori confinati nella Laf, Claudio Virtù e Giuseppe Palma, i quali hanno raccontato la loro storia, le difficoltà lavorative e umane vissute.

Virtù nel 2001, aveva scritto il libro “Palazzina Laf. La violenza del padrone”, ripubblicato recentemente. A questo libro il regista Riondino ha attinto per il suo film. Presente all’incontro anche Carlo Vulpio, inviato del Corriere della Sera, che nel 2009 dedicò a Taranto al suo dramma ambientale e umano, il libro “La città delle nuvole”. Della palazzina Laf, Vulpio scrisse: «Dimostra che come non c’è mai limite all’inquinamento dell’aria, dell’acqua, della terra, così non c’è limite all’inquinamento delle coscienze e allo scempio della mente delle persone».

 

Foto Studio Ingenito

 

NON SOLO PER GIOVANI E STUDENTI

Lunedì sera, anche la testimonianza di Marisa Lieti, la psichiatra che seguì i lavoratori e denunciò pubblicamente la condizione dei lavoratori confinati. All’attore Sergio Tersigni, insegnante anche lui come Attino, è toccata la lettura di alcuni brani legati a quanto accadeva in quel periodo a Taranto, ricordando Franco Sebastio, il procuratore della Repubblica che visse con partecipazione e amarezza la storia, riversandola in una appassionata requisitoria.

«La palazzina Laf ha rappresentato non solo per Taranto, ma per tutta l’Italia, una vergogna; la vicenda che ha riguardato un gruppo di lavoratori relegati in un luogo fatiscente perché ritenuti scomodi o sindacalizzati o che non accettavano il demansionamento doveva rappresentare in tutto lo stabilimento un esempio per condizionare anche le scelte aziendali; noi lavoratori dovevamo abbassare la testa e subire le imposizioni del datore di lavoro, condizioni chiaramente fuori legge». Così Claudio Virtù e Giuseppe Palma, due tra i 79 dipendenti del Siderurgico che nel 1997, all’epoca della gestione dei Riva, furono confinati in una struttura definita lager, la palazzina Laf (Laminatoio a freddo), senza svolgere alcuna mansione. Una dichiarazione raccolta da Giacomo Rizzo, giornalista dell’agenzia giornalistica Ansa, che aveva collaborato con Virtù alla stesura del libro “Palazzina Laf”.

Foto Studio Ingenito

 

COCCIOLI, RICORDANDO SEBASTIO

«Sicuramente – ha detto dal suo canto il procuratore Coccioli – è stata una indagine unica; all’epoca era un fatto nuovo; c’erano pochissimi casi analoghi. Un caso unico perché si è parlato tanto di mobbing ed effettivamente lo era, ma non fu trattato come mobbing, almeno all’inizio: il problema era proprio la valutazione del reato perché i lavoratori erano pagati sostanzialmente per non fare nulla, costretti a una situazione di ozio forzato. Mi colpì la dichiarazione di uno di quei lavoratori. Gli chiesi: “ma lei cosa lamenta se viene pagato lo stesso?”. Mi rispose: “io non sono un gambero, io voglio andare avanti, non indietro: sono un lavoratore specializzato, non possono togliermi la dignità».

Questi, uno per uno, gli ospiti dell’incontro. Alessio Coccioli, procuratore capo a Matera. In magistratura dal 1996, è stato sostituto procuratore a Taranto negli in anni in cui venne aperta l’inchiesta giudiziaria sulla Palazzina Laf dell’Ilva. Successivamente ha lavorato come sostituto nella Direzione distrettuale antimafia a Lecce, dal 2018 come procuratore aggiunto a Bari. Da aprile di quest’anno è capo della procura a Matera.

 

TARANTO, CITTA’ DELLE NUVOLE

Carlo Vulpio, giornalista del Corriere della Sera, inviato in Italia e all’estero, nel 2009 autore di La città delle nuvole. Viaggio nel territorio più inquinato d’Europa, libro-inchiesta su Taranto. E’ autore tra gli altri del libro Il genio infelice, sulla vita di Antonio Ligabue, e il sogno di Achille, il romanzo di Gigi Riva. 

Claudio Virtù e Giuseppe Palma, ex dipendenti dell’Ilva, hanno condiviso la drammatica esperienza da confinati nella Palazzina Laf del centro siderurgico di Taranto. Prima di essere trasferiti lavoravano nel centro elaborazione dati.

Marisa Lieti, psichiatra, è stata responsabile del centro di salute mentale dell’Asl di Taranto dopo avere lavorato nell’ospedale psichiatrico di Collegno (Torino). Ha curato i lavoratori confinati nella Palazzina Laf.