Addio a Martina, quattordici anni, una vita negata

Assassinata con tre colpi di pietra sul capo. L’ex fidanzato reo confesso. Non si fa in tempo a seppellire una ragazza, che si registra un altro femminicidio. Lo psichiatra Paolo Crepet invita a porre un freno all’uso di internet, specie ai giovanissimi. «Decine di migliaia di ragazzine a tredici anni escono a mezzanotte; mai che un padre si metta davanti alla porta, anzi, le danno pure cento euro», dice lo studioso

 

Altro femminicidio. Il trentaduenne romeno fermato mercoledì con l’accusa di aver ucciso Maria Denisa Adas, ha confessato. L’uomo, guardia giurata, sposato e con due figli, dopo il fermo ha confessato. «Denisa mi ricattava, per questo l’ho uccisa». La donna, trent’anni, scomparsa il 15 maggio scorso a Prato, è stata ritrovata senza vita nei pressi di un casolare abbandonato. Era stata strangolata la stessa sera della sua scomparsa.

Apriamo con questo nuovo fatto di cronaca registrato appena due giorni fa (in realtà l’articolo lo scriviamo solo un giorno prima, cioè ieri), perché la storia sulla quale volevamo soffermarci in questa rubrica è un altro femminicidio, l’ennesimo, drammatico come può esserlo un omicidio, peggio se consumato ai danni di una donna, di una ragazza acerba nel caso di Afragola.

 

 

MARTINA, COLPITA TRE VOLTE

«Martina ha rifiutato un abbraccio: era di spalle e l’ho colpita», ha confessato Alessio Tucci, diciotto anni, femminicida reo confesso, davanti al giudice per le indagini preliminari. L’ha colpita con una pietra e con inaudita ferocia, come accade in uno di quei “crime tv” che tanto piacciono a papà, mamme e figlioli, che eleggono ad eroi chi senza farsi scrupoli risolve il problema, anche con violenza. Una violenza che si è abbattuta sul capo di quella ragazzina, di spalle, come se avesse dato al suo assassino l’ultima risposta con la quale lo invitava a tenersi lontano da lei.

Colpita tre volte violentemente così da toglierle il respiro, cancellarla per sempre alla vista di quel ragazzo così violento che fra i suoi princìpi non considerava nemmeno lontanamente un rifiuto. «E’ stato un attimo…», abbiamo sentito dire da qualcuno in circostanze simili, come se fosse plausibile che per attenuare il giudizio del giudice valga tutto, qualsiasi cosa: anche giustificare un gesto così efferato come se fosse un attimo di distrazione. Così, Alessio, l’assassino, ha nascosto il corpo di Martina in un armadio in un casolare di Afragola, dove poi è stato rinvenuto il corpo della poveretta. Durante l’interrogatorio, svoltosi nel carcere di Poggioreale, il ragazzo, accusato di omicidio pluriaggravato ed occultamento di cadavere, ha risposto alle domande del giudice, alla presenza del suo avvocato: «Non sappiamo se fosse viva – ha detto il legale dell’omicida – ma Alessio ha detto che la povera Martina non respirava più».

 

 

«NESSUN ACCANIMENTO», DICE LA DIFESA

«Comunque – la tesi difensiva dell’avvocato – non c’è stato accanimento; tre colpi, la ragazza ha perso i sensi quasi subito, ma nessun accanimento». Basiti è dir poco, ma non vogliamo fare il processo nel processo. Della posizione di certi programmi televisivi, al limite dell’osceno, ne abbiamo già scritto: siamo per la libertà d’informazione, ma non per lo sciacallaggio a favore di audience o di plastico, specie quello esercitato sul dolore che hanno, puntualmente, i parenti e gli amici più stretti delle vittime.

Ma veniamo a quanto ha attirato la nostra attenzione. L’ennesimo intervento, uno dei pochi avveduti e fatti senza cercare consensi, se non quello di accendere una spia su uno dei temi dei quali si discute spesso, a casa come a scuola: quello dello psichiatra Paolo Crepet: «Il raptus è un’insolenza per l’umanità», ha detto rilasciato all’agenzia giornalistica Adnkronos. Il risentimento che traspare dalle sue parole è una risposta ferma, secca, a quanti nel raccontare la cronaca descrivono questi assassini come persone normali trasformate improvvisamente in mostri. «Chi dice che ci sono esseri umani che fino al sabato pomeriggio sono dei santi – spiega Crepet – e poi lunedì sono dei feroci assassini, lo raccontino nelle più brutte favole della storia!».

La sua provocazione che sentiamo di condividere: «C’è qualcuno contro i social? Qualcuno che ha detto che a tredici anni non si possono usare i social? Decine di migliaia di ragazzine a tredici anni usciranno, non alle nove, a mezzanotte; non ho mai conosciuto un padre che si mette davanti alla porta. Anzi, non solo aprono la porta e gli dicono “divertiti”, ma le danno pure cento euro».

 

 

SOCIAL, PONIAMO UN FRENO!

L’uso indiscriminato dei social. «Se uno ha un profilo social a soli undici anni c’è un problema», sottolinea i rischi che questi strumenti comportano nelle relazioni sentimentali giovanili. Il revenge porn (vendetta porno, la condivisione pubblica di immagini o video intimi tramite Internet, senza il consenso dei protagonisti degli stessi, ndc) rappresenta l’evoluzione digitale della violenza di genere che Crepet denuncia da trent’anni. «La dipendenza da social e i disturbi comportamentali che ne derivano – considera il sito, sempre molto attento ai temi che maturano nell’ambito dello studio, orizzontescuola.it, creano terreno fertile per relazioni tossiche». Crepet sottolinea come la società abbia scelto di «non sentire il peso» di questa responsabilità, preferendo l’ipocrisia delle fiaccolate alla fatica di un’educazione digitale consapevole. «Il sexting e l’adescamento online – conclude la considerazione orizzontescuola.it – completano un quadro in cui i minori sono esposti a dinamiche adulte senza gli strumenti per comprenderle, creando quella “insolenza per l’umanità” che lo psichiatra denuncia con forza».