«Forza Edo!»

Domenica sera, gara di calcio, sfiorato il dramma

Bove, centrocampista della Fiorentina si accascia al suolo. Serpeggia la paura, reazione incontrollata, solo in un primo momento finiscono nell’occhio del ciclone i soccorsi e i sanitari. Poi il chiarimento, con il calciatore che intanto riprende conoscenza e viene trasportato nel vicino ospedale. Compagni in lacrime, colleghi, dirigenti viola e di tutte le altre società, esprimono la loro solidarietà al ragazzo di appena ventidue anni

 

Edoardo Bove, la sciagura si consuma in diretta televisiva. La gara Fiorentina-Inter, domenica pomeriggio, dopo l’ora del tè. E’ appena trascorso un quarto d’ora, il calciatore della squadra viola, compie pochi passi, si accascia al suolo. Calciatori, dirigenti, terna arbitrale, pubblico sugli spalti, rivolgono gli occhi al Cielo, invocano qualcuno lassù, perché metta una mano sulla testa, anzi, sul cuore di Edo e lo accompagni al “Careggi”, l’ospedale di Firenze a pochissimi minuti dallo stadio “Franchi”. In quei pochi minuti, che sembrano tanti, ci sono momenti di comprensibile isteria collettiva. I più lucidi sono i calciatori, qualcuno si lascia andare alle lacrime, non trova la forza di avvicinarsi. Il primo ad accorgersi che il ragazzo ha un malore, è Simone Inzaghi, tecnico nerazzurro, che si alza di scatto dalla panchina e soccorre il ragazzo. L’altro è Dumfries, avversario di Bove qualche istante prima, quando nell’area della Fiorentina i due sono venuti a contatto, poca roba. I calciatori dell’Inter seduti in panchina si alzano e insieme con i colleghi della Fiorentina fanno un cordone umano. Nessuno deve vedere quel corpo esanime. Specie i genitori e la fidanzata del ragazzo, che sono sugli spalti a seguire la gara. Intanto sono in molti a circondare l’ambulanza, a scagliarsi contro il personale medico, che ha già provveduto ad assicurare il primo soccorso allo sfortunato calciatore viola. Volano parole pesanti.

 

 

MEDICI AGGREDITI, PESSIMA ABITUDINE

Non deve essere un buon periodo per i sanitari, se più di qualcuno rifila al malcapitato che prova a spiegare che personale medico e paramedico tutto quello che prevede il protocollo lo stanno già facendo. Ma un paio di calciatori e un dirigente, forse, non vogliono saperne, rincarano la dose, spingono e il poveretto ridotto all’angolo, nonostante una stazza generosa, quasi soccombe. Urla, si difende, prova a spiegarsi. Nemmeno per sogno, viene spremuto, quasi fosse lui il colpevole di quanto fatalmente accaduto.

A bocce ferme, con l’animo un po’ più sereno, conoscendo le condizioni di Bove, da domenica sera per tutti “Edo”, c’è qualcuno che merita le scuse. È proprio quell’omone, forse un sanitario, comunque un addetto al soccorso del quale nessuno ha scritto. In quei momenti concitati, a tratti perfino comprensibili, è stato oggetto di quegli spintoni, quelle parole irripetibili, perfino minacce, di cui scrivevamo un po’ più su. E hai voglia a far comprendere a calciatori, dirigenti, bordocampisti, telecronisti, che esiste un protocollo, “quel protocollo” sottoscritto da società e associazione calciatori, e i primi soccorsi, defibrillatore compreso, sono già stati attivati.

 

CALMA E SANGUE FREDDO

In momenti in cui occorre mantenere la massima calma, c’era chi – non volendo, beninteso – faceva confusione. Spieghiamolo. L’ambulanza in campo non può entrare, la manovra sul quel campo di gioco potrebbe far perdere minuti, perfino istanti preziosi. Il mezzo di soccorso deve essere rivolto verso l’uscita, con le vie di fuga libere. Ciò per accelerare la corsa al più vicino presidio sanitario, il “Careggi” scrivevamo.

Quell’uomo, strattonato come fosse il colpevole del malore del calciatore steso metri più avanti, invece, ha fatto il suo dovere. E forse anche davanti a tante pressioni, la sua intransigenza sarà stata utile a guadagnare tempo nella corsa disperata in ospedale per salvare la vita a Edo. Dopo il malore in Fiorentina-Inter, il giocatore si trova ancora all’ospedale di Careggi. Le sue condizioni sono in miglioramento.

 

 

EDOARDO, COME VA?

Adesso Edoardo Bove sta bene, pare fosse sorridente. Se tutto dovesse andare per il verso giusto, a brevissimo passerà dalla terapia intensiva a un altro reparto. I compagni di squadra non smettono di chiedere notizie di Edo. C’è un’altra videochiamata tra il centrocampista e i compagni, che preparano la sfida di Coppa Italia. «Edoardo ha convinto la squadra a giocare», ha detto il direttore generale Ferrari.

«Grazie Firenze, ti abbiamo scelta pensando fossi proprio così, con valori assoluti di sensibilità vera, tangibile». Diego Tavano, procuratore di Edoardo Bove, lo scrive sui propri profili social. L’agente del calciatore ventiduenne ha ringraziato tutti per la solidarietà ricevuta e trasferita al suo assistito. «Grazie Roma, che lo ami e lo amerai per sempre, perché non dimentichi; perché non si può dimenticare chi suda in quel modo la maglia; grazie a tutti, perché mai avevo visto una cosa del genere, così tanto affetto dal mondo del calcio e non solo; grazie ad Emilio Butragueno che in nome e per conto del Real Madrid mi ha contattato in continuazione per sapere di Edo. Andiamo avanti, più forti di prima», ha detto. Ultimo aggiornamento sulle condizioni di Bove: il giocatore ha trascorso una notte tranquilla presso il Reparto di Terapia intensiva. Forza Edo.

Ergastolo a Impagnatiello

Omicidio di Giulia Tramontano, la sentenza lunedì 25 novembre

La condanna in concomitanza con la “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”. «Giulia, ventinove anni, firmò sua condanna a morte quando disse ad Alessandro che era incinta», ha affermato la pm nella sua requisitoria. Trentasette coltellate, undici in punti vitali, le aveva dato fuoco, chiusa nel bagagliaio dell’auto. Voleva far sparire completamente le tracce della vittima e del piccolo che portava in grembo da sette mesi

 

Alessandro Impagnatiello, trentuno anni, condannato all’ergastolo e all’isolamento diurno per l’omicidio della compagna Giulia Tramontano, ventinove anni, e del piccolo Thiago, il bambino che la donna portava in grembo da sette mesi. Il piccolo non saprà mai cosa fosse venire al mondo. Se ci sentisse, potremmo testimoniargli che il genere umano non è come quell’uomo che lo avrebbe generato, a questo punto non sappiamo con quanto amore, vista la fine che ha riservato a lui e alla mamma, “colpevole” di volerti e vederti crescere, anche contro la volontà di quel papà che non avresti meritato.

Sarebbe stato più naturale che Impagnatiello avesse fatto un passo indietro, rispettando la decisione della donna, assumendosi le sue responsabilità. E, invece, no. Lei e il piccolo che sarebbe arrivato due mesi dopo, costituivano un ostacolo, grave, ai quei progetti che, francamente, non osiamo immaginare dove dovessero condurlo. Il trentunenne, secondo le accuse della pm, Alessia Menegazzo, avrebbe agito con crudeltà, sferrando trentasette coltellate, di cui undici inferte in punti vitali. E, il tutto, con premeditazione.

 

 

ALESSANDRO, MANIPOLATORE

L’ex barman avrebbe portato avanti il piano per eliminare Giulia e Thiago, il nascituro che l’omicida mesi prima di portare a compimento il “duplice” omicidio, stava considerando un ostacolo alla sua realizzazione personale. Così l’Agenzia ADN Kronos aveva descritto, con grande puntualità, la vigilia della sentenza poi giunta ore dopo, lunedì 25 novembre, proprio in concomitanza con la “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”.

Il processo, che conferma l’ergastolo ad Impagnatiello, iniziato lo scorso gennaio era durato tredici udienze. Federica Zaniboni, giornalista dell’Agenzia Ansa, nella sua cronaca scrive che «ascoltando le parole pronunciate dalla giudice Antonella Bertoja, presidente della Corte d’Assise di Milano, Impagnatiello resta impassibile, in piedi accanto ai suoi avvocati, dando il consenso questa volta ad essere ripreso dalle telecamere, con lo sguardo fisso davanti a sé e accennando uno sguardo duro, mentre viene portato via dagli agenti della Penitenziaria».

E’ stata la stessa pm a ripercorrere quel dolorosissimo percorso da film horror cominciato il 27 maggio dello scorso anno, quando Giulia, ventinove anni, incinta al settimo mese, viene ammazzata nell’appartamento di Senago, alle porte di Milano. La donna viene aggredita, uccisa subito, con violente coltellate assestate ovunque capitasse, sorpresa alle spalle e senza alcuna possibilità di difendersi.

 

 

PIANO DIABOLICO E SANGUINOSO

Non finisce così, Impagnatiello prova a completare il suo piano diabolico, cercando di bruciare il corpo della donna nella vasca da bagno. Poi lo trascina lungo le scale per nasconderlo in cantina. Una volta in garage, prova ancora a darle fuoco, pensando che un simile gesto possa far perdere ogni traccia della povera vittima. Nasconde il corpo di Giulia nel bagagliaio dell’auto, poi la abbandona in un anfratto dietro a dei box di viale Monterosa, a settecento metri da casa. I carabinieri hanno subito la percezione di come siano andate le cose. Non conoscono ancora i dettagli dei quali poi verranno a conoscenza, intanto lo sottopongono a un pressante interrogatorio.

Stando agli elementi acquisiti, il delitto avviene poche ore dopo che Impagnatiello ha incontrato l’altra sua donna (episodio che non è in stretta relazione con quanto accaduto). «Giulia ha firmato la sua condanna a morte quando ha comunicato all’imputato che aspettava un bambino, un figlio che Impagnatiello non ha mai voluto tanto che “mente, falsifica un certificato, nega che sia suo figlio anche dopo averlo ucciso”». Non è finita, il pm nella sua requisitoria aggiunge: «(Impagnatiello) stava già avvelenando da tempo Giulia e il suo bambino quando festeggiava con lei il baby shower». Quando il piano di ucciderla con il veleno non si concretizza, l’uomo cambia strategia, pensa di attribuire a Giulia “l’allontanamento volontario”: una sparizione, forse l’idea del suicidio.

 

 

DETTAGLI RACCAPRICCIANTI

La vicenda delittuosa potrebbe andare avanti con dettagli sconcertanti. Nella mente dell’omicida balena di tutto, purtroppo l’omicida non riesce a fermarsi prima di compiere l’assalto sconcertante, fatale che costa la vita alla povera Giulia.

«Non si tratta di vendetta, è prima di tutto giustizia», ha dichiarato la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Eugenia Maria Roccella, sull’ergastolo inflitto ad Alessandro Impagnatiello per l’omicidio di Giulia Tramontano. «La lotta – ha proseguito – si articola sulle 3 P: proteggere, prevenire e perseguire; perché è importante che questi delitti non vengano sottovalutati ma considerati in tutta la loro gravità; non dare sufficiente centralità al reato vuol dire non dare centralità alla battaglia contro la violenza; anche quest’ultimo passaggio è necessario: oggi c’è stato l’ergastolo per l’assassino di Giulia Tramontano che è un caso di orrore; ogni femminicidio porta con sé una scia terribile di dolore».

Otto razzi contro base italiana in Libano

Nessun ferito fra i nostri militari, quattro fra i caschi blu ghanesi

“Inammissibile e inaccettabile che si spari contro il nostro contingente che è sul posto ad impegnarsi perché la situazione non precipiti”, ha detto Antonio Tajani, ministro degli Esteri. Intanto l’Argentina ritira i suoi militari dalla missione di pace

 

Ci uniamo allo sdegno del governo italiano per gli otto razzi lanciati da Hezbollah e che hanno colpito la base italiana Unifil (United Nations Interim Force In Lebanon), la missione di interforze con il compito di verificare il ritiro delle truppe israeliane per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Ma anche con il compito di assistere il governo libanese a ripristinare la sua effettiva autorità nella zona. Per fortuna, i razzi in questione non hanno provocato alcun ferito fra gli italiani.

Allo stesso tempo, però, Unifil ha comunicato che quattro caschi blu ghanesi sono stati feriti da un razzo lanciato contro la loro base a Ramia molto probabilmente da quanti impegnati in attività non statali libanesi.

Detto che bene ha fatto il governo ad alzare il tono della voce, crediamo che a dichiarazioni puntuali, di sdegno, per essere presi di mira per una missione di pace è quanto di più pericoloso possano fare quanti, invece, tengono a cuore di creare uno stato di confusione, occorre anche mandare messaggi inequivocabili: contro ogni stupida guerra che semina morti, vittime e provoca disagi gravi che una vita non basterà per porvi rimedio.

 

 

COSA E’ ACCADUTO

Ma cosa è accaduto secondo quanto riportato dalle agenzie e dai notiziari italiani e internazionali. E’ notizia di ieri che otto razzi da 107 millimetri hanno colpito il quartier generale del contingente italiano nel sud del Libano. I razzi, specificano le fonti di informazione, usando termini militari hanno “impattato” su aree all’aperto e sul magazzino ricambi della base dove non era presente alcun soldato. Nessun ferito, dunque. Al momento della diffusione della notizia e delle dichiarazioni del ministro della Difesa Guido Crosetto (“Intollerabile che le basi dell’Unifil vengano colpite”) e del ministro degli Esteri Antonio Tajani (“Inammissibile che si spari contro il contingente Unifil, truppe che hanno garantito anche la sicurezza di Hezbollah”).

Se non ci sono feriti italiani è solo per pura fortuna. Infatti, alla luce del bollettino militare diramato alle agenzie, i caschi blu e le strutture di Unifil sono stati presi di mira in tre diversi attacchi nel sud del Libano, con quattro peacekeeper ghanesi feriti. Il portavoce dell’Idf (Israel Defense Forces) ha tenuto a specificare all’agenzia Ansa che “non è stato l’esercito israeliano a colpire le forze di pace Unifil nel Libano meridionale”.

 

 

ARGENTINA, ADIOS

Concomitante o meno, alle dichiarazioni militari e politiche, se ne aggiunge una terza. A farla pervenire alla stessa Unifil e agli organi di informazione, è il governo argentino. L’Argentina, infatti, ha intanto ha fatto sapere in via formale all’Unifil il ritiro dei suoi soldati dalla missione di pace delle Nazioni Unite in Libano. E’ stato il portavoce di Unifil, a comunicare che l’Argentina ha chiesto ai suoi ufficiali di rientrare. Non sono ancora chiare le motivazioni che hanno portato a questo annuncio, un chiarimento che probabilmente arriverà nelle prossime ore. Al momento c’è la concomitanza delle due azioni, attacco e disimpegno argentino, in quanto accaduto ieri.

Riportato con la massima attenzione quanto diffuso dalle agenzie di stampa, in particolare dall’Ansa e da Adn Kronos, sempre nelle prossime ore attendiamo un’accelerazione sulla politica di pace, prima che proseguano attacchi indiscriminati da qualsiasi parte avvengano, vuoi per dare segnali di forza, vuoi per provocare confusione fra gli attori che dopo le elzioni americane si stanno impegnando a riportare la pace. Una missione non semplice, anzi, complicata e, purtroppo, sanguinosa, anche alla luce di quanto accaduto ieri in un episodio che fortunatamente non ha provocato vittime.

Donald Trump, effetto…dominio

Il tycoon rieletto 47mo presidente degli Stati Uniti

«Abbiamo fatto la storia, lo ha voluto Dio: per l’America ha inizio una nuova “epoca d’oro”», ha detto il vincitore. Sconfitta Kamala Harris, che si è congratulata con il suo avversario, dichiarando a quanti l’hanno sostenuta: «Accetto la sconfitta ma non la fine della lotta per la nostra libertà». Flop dei sondaggi che davano una lotta gomito a gomito: la vittoria dei Repubblicani è stata schiacciante

 

Non c’è sondaggio che tenga. Lo dice la storia, anche l’Italia è passata attraverso clamorosi flop annunciati nelle trasmissioni televisive di prima serata per anticipare i risultatati delle elezioni. Donald Trump è il 47.mo presidente eletto degli Stati Uniti. Lo ha annunciato Fox News, dopo le proiezioni delle vittorie dell’ex presidente in Pennsylvania e nel Wisconsin. Conferma CNN, che commenta la vittoria del neopresidente in Pennsylvania alle 2 di notte. Una vittoria di misura, come dicevano i sondaggi alla vigilia della vigilia? Nemmeno per sogno. La “rimonta” non prevista, comincia dalle grandi città americane: le chiacchiere stanno a zero.

Orgoglioso del successo che va oltre ogni più rosea previsione, lo stesso Trump, ovviamente: «Guardate che cosa è successo: non è incredibile?», è una delle sue prime dichiarazioni rivolta ai suoi sostenitori. Adesso dovrà “solo” mantenere le sue promesse rivolte ai suoi elettori e, ora, al resto degli americani. «Prometto di impegnarmi e combattere, se sarà necessario, con tutte le mie energie e le mie forze per il bene degli americani, sistemare il confine per scrivere insieme una nuova “epoca d’oro” per gli Stati Uniti.

 

 

PROIEZIONI SCONFESSATE

A proposito di sondaggi dell’ultima ora. L’altra candidata, Kamala Harris, aveva intuito che qualcosa non stesse andando per il verso giusto quando la candidata del Partito democratico aveva perso Florida e Texas con margini molto superiori a quanto previsto: 13% e 15% punti percentuali. Mica noccioline. Primi segnali scoraggianti arrivavano, a ruota, dalla Virginia, Georgia e North Carolina, stati sui quali il suo partito aveva investito tanto. Non solo Trump in quegli stati è riuscito a risalire sui sondaggi, ma è riuscito ad inanellare risultati sempre più incoraggianti: meglio nelle aree rurali, saldo nelle aree suburbane e voti, un po’ qua e un po’ là, in particolar modo tra gli ispanici e nei grandi centri urbani.

Gli esperti di politica internazionale indicano nell’errore più grande della Harris e, forse quello determinante, nel non aver preso subito e in modo inequivocabile le distanze da Biden, un modus operandi assunto timidamente nelle ultime settimane di campagna. Sempre per gli esperti, Kamala Harris avrebbe dovuto mostrare un taglio decisivo nei confronti della precedente amministrazione, con particolare riferimento al tema dell’economia e della guerra a Gaza, argomenti sensibili che, alla fine, al suo partito sono costati svariati milioni di voti.

 

 

KAMALA, FATALE MEDIO ORIENTE

Su quanto accade tutt’oggi in Medio Oriente, la candidata del partito democratico si è giocata il sostegno degli arabo-americani, che non le hanno perdonato l’appoggio incondizionato ad Israele, come quello degli stessi ebrei conservatori che avevano indicato al governo Biden di essere fautore di un crescente antisemitismo negli Stati Uniti dopo gli attacchi del 7 ottobre.

Cosa dicono queste elezioni e la presidenza assegnata a Trump. Che gli Stati Uniti si riconoscono nella politica del “tycoon” assegnandogli pieni poteri per tutta una serie di impegni e temi sui quali Mr. Donal ha appoggiato la sua “campagna”: rilanciare l’economia, arginare l’esponenziale espansionismo cinese, debellare il terrorismo islamico, tenere a bada Putin, l’Iran e la Corea del Nord, difendere occupazione e risparmi, riaffermare il primato strategico e tecnologico degli Usa nel mondo.

Impegni non da poco. Vedremo, insomma, su quale di questi primi punti cruciali, il nuovo presidente USA costruirà questa nuova “epoca d’oro”.

Valencia, dolore infinito

Continua a salire il numero delle vittime causato dalla Dana

Finora sarebbero 211 le persone decedute, ma ci sono gli scomparsi (allestite morgue per accogliere questi ultimi). Accuse contro il governo per il ritardo dei soccorsi, gestiti in modo improprio. I reali di Spagna contestati e presi di mira con lancio di fango. Posizione di grande spessore quella assunta dai piloti del GP Motociclistico, da Bagnaia, campione del mondo in carica, a Martin e Marquez

 

Non si arresta il doloroso bollettino quotidiano che ci aggiorna sui sugli spagnoli deceduti a causa dei danni causati dalla Dana: il numero delle vittime della catastrofe provocata nella provincia di Valencia, fino a ieri, notizie riportate dall’Agenzia giornalistica Ansa, dunque una delle fonti più autorevoli, parlava di 211 persone decedute. L’informazione è del Centro operativo di emergenze del governo regionale della Generalitat, confermato dalle forze di sicurezza.

Il numero delle vittime, però, sale, posto che il Ministero dell’Interno alza a 217, includendo nell’elenco i morti registrati nelle altre regioni della Spagna. Il sospetto, anche se l’auspicio è contrario, è che il numero fin qui riportato dalle agenzie e dall’Unità di crisi è praticamente fermo a sabato scorso, mentre sui social si rincorrono cifre sempre più discordanti. Questa imprecisione sarebbe da addebitare al fatto che le vittime segnalate dai comuni viene inoltrato alle Forze di polizia, ma che non sempre aggiorna in tempo reale le liste.

 

 

E POI I DISPERSI

C’è anche un’altra cifra che dolorosamente prova a farsi largo, ed è quella relativa al numero di dispersi. Un numero ancora indefinito, tanto che la mancanza di informazione non fa altro che dare al Paese la sensazione che la catastrofe abbattutasi su Valencia e dintorni possa essere stata molto più grave. Dall’ufficiale a capo dell’Unità militare dell’esercito al comando dei 7.800 militari, ha confermato che è stata allestita una sala mortuaria per 400 persone, che potrebbe avvicinarsi al numero complessivo dei dispersi.

Accanto a questa attività, si affianca anche quella altrettanto tragica che riguarda l’identificazione delle vittime dove squadre di medici legali hanno finora realizzato 190 autopsie e identificato con certezza 111 dei cadaveri recuperati. Un’attività che ha permesso di espletare le formalità con la consegna dei corpi restituiti ai familiari.

Nei giorni scorsi la notizia di un Pecco Bagnaia, più volte campione del mondo di Moto GP, aveva assunto una posizione intransigente, a proposito del Gran Premio che sarebbe dovuto svolgersi proprio a Valencia: l’ultima gara della stagione sulla pista spagnola, proprio in una località martoriata dalla terribile alluvione, non si svolgerà. I piloti, in testa Bagnaia, che ha dichiarato “A costo di perdere il Mondiale, non corro”, sono stati fra i più attivi contro lo svolgimento della corsa di chiusura nel Mondiale a Valencia. Oltre a Bagnaia, i due centauri spagnoli, evidentemente i più influenti, Jorge Martin e Marc Marquez.

 

 

“NO” DEI PILOTI, FANGO SUI REALI

Più diretto, si diceva, era stato il campione del mondo in carica, Pecco Bagnaia, disposto – parole sue – a rinunciare al titolo iridato pur di tenere fede al suo principio di non voler correre nella città spagnola martoriata da centinaia di vittime. Infine, ma non ultima, a proposito delle notizie che circolano su quanto accade a Valencia e dintorni. Durante la visita del re di Spagna Felipe VI e la regina Letizia a Paiporta, altra città colpita dalle inondazioni, i due reali sono stati aggrediti da numerosi abitanti furiosi che hanno scagliato contro loro fango urlandogli contro, tanto da costringere l’intera delegazione ad interrompere la visita.

La regina Letizia in lacrime e sporca di fango ha voluto lo stesso salutare quella gente meno inferocita, ma ugualmente critica, a causa della risposta tardiva e mal gestita in occasione di quello che viene indicato come il peggior disastro degli ultimi decenni.

«No ai killer a piede libero!»

Fiaccolata per ricordare l’ultimo episodio del quale è stata vittima una tredicenne

Secondo la sorella e i familiari della tredicenne che avrebbe compiuto un volo di otto, dieci metri dal balcone, l’esecutore dell’ennesimo femminicidio un quindicenne. Fidanzatino della vittima, sarebbe stato sottoposto a un interrogatorio da parte della Procura affiancata nelle indagini dai Carabinieri. Dopo l’autopsia, la manifestazione per ricordare ragazze donne vittime di inaudita violenza

 

Piccoli killer crescono. Sarebbe più corretto scrivere “aumentano”. Perché stavolta ci troviamo davanti a un omicidio nel quale è indagato un quindicenne, il fidanzatino della piccola vittima, ancora più giovane di lui, appena tredici anni. Un tipo «molto violento» accusano i familiari della piccola precipitata dal balcone di un condominio di Piacenza la scorsa settimana.

I familiari della ragazza non si danno pace, vogliono che gli inquirenti giungano al più presto alla soluzione del caso e assicurino alla giustizia l’assassino. Che per loro non sarebbe un mistero. L’ipotesi è una sola: sarebbe stato il quindicenne a spingere nel vuoto e a provocare la morte della ragazzina dopo un volo di otto, dieci metri.

I familiari non sono d’accordo con le prime versioni raccolte dagli organi di informazione. E’ quanto riporta fedelmente l’agenzia giornalistica Ansa. Non pensano nemmeno lontanamente, i familiari della poveretta, all’ipotesi di suicidio, così come non credono all’ipotesi di caduta accidentale.

 

 

«E’ LUI, NON CI SONO DUBBI!»

«No ai killer a piede libero». È il messaggio disperato, perentorio pubblicato sui social dalla sorella della vittima. La Procura, attivatasi in brevissimo tempo, ha compiuto i suoi passi, aprendo un fascicolo per omicidio volontario iscrivendo il nome del quindicenne, il fidanzatino della vittima, che la mattina del 25 ottobre era proprio con lei al momento della tragedia.

La ricostruzione, si diceva, è stata affidata al sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale per i minori di Bologna affiancato nelle indagini al nucleo investigativo dei carabinieri. Proprio i militari dell’Arma, dal momento in cui si è svolto l’episodio stanno verificando i fatti.  «Dalla mattinata di venerdì scorso, stanno lavorando senza un attimo di sosta, senza trascurare alcun particolare», dice l’avvocata Lorenza Dordoni, difensore della madre della tredicenne. «Dirimente – prosegue la legale – sarà per la ricostruzione della dinamica l’esito della perizia autoptica, per cui verrà conferito l’incarico ad un medico legale dell’istituto di Pavia; unitamente alle testimonianze raccolte, ai rilievi fatti dai carabinieri, si arriverà alla ricostruzione della dinamica di questo tristissimo evento».

 

 

«IL RAGAZZO E’ SOTTO SHOCK»

Cosa dichiara la controparte. «Il ragazzo è sotto shock, da quando ha fatto ritorno a casa non parla con nessuno», hanno riferito i familiari al quotidiano piacentino Libertà, che in un articolo riporta, stando sempre alle dichiarazioni dei familiari, che il ragazzo è affranto dal dolore.

Nel corso di un primo interrogatorio, l’indagato avrebbe negato ogni addebito, dichiarando che la ragazza sarebbe caduta da sola. Stando ai fatti, sarebbe stato lo stesso quindicenne a chiedere aiuto ai vicini, che hanno poi hanno chiamato i soccorsi. A lungo interrogato da Carabinieri e Procura per i minori, il quindicenne è stato rilasciato.

Intanto la sorella ventiduenne della vittima, annuncia una fiaccolata. «Sarò io personalmente ad organizzarla, non solo a nome di mia sorella, ma anche per tutti quei femminicidi che si stanno verificando ogni giorno», ha riportato sui social la giovane.

La fiaccolata dovrebbe avere luogo dopo i funerali, ancora privi di una data. Considerando le indagini ancora in corso, bisognerà attendere il responso dell’esame autoptico sulla salma e il via libera della Procura.

Avetrana, «fermate quella fiction!»

Il Comune chiede la sospensione della serie Disney+

Chiesto anche il cambio del titolo. «Vorremmo appurare se l’associazione del nome della cittadina all’adattamento cinematografico susciti una portata diffamatoria», dicono sindaco e pool difensivo del Comune in provincia di Taranto. «Abbiamo raccontato i fatti emersi dalla verità giudiziaria e limitati solo a quello, senza mai pensare di aprire altre strade», risponde il regista

 

Mentre parte la fiction televisiva sul canale Disney+ dal titolo “Avetrana – Qui non è Hollywood”, un ultimo disperato tentativo per sospenderne la programmazione o, in ultima analisi, provare a cambiarle il titolo, ci prova Antonio Iazzi, sindaco della cittadina in provincia di Taranto dove nell’agosto del 2010 fu barbaramente uccisa la quindicenne Sarah Scazzi.

Il primo cittadino si fa portavoce dell’Amministrazione, attraverso i suoi avvocati, depositando un ricorso cautelare d’urgenza per chiedere almeno la rettifica della denominazione della serie televisiva “Avetrana – Qui non è Hollywood” con sospensione immediata.

Della serie ne abbiamo scritto nei giorni scorsi, quando ancora il risentimento registrato nel paese in provincia di Taranto non aveva preso una piega giudiziaria, aspetto maturato in queste ultime ore. La fiction in questione, che descrive l’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi, sarà trasmessa sulla piattaforma Disney+ a partire dal 25 ottobre.

 

 

VORREMMO VISIONARE LA FICTION

«Risulta indispensabile visionarla in anteprima – scrive il primo cittadino nel documento inoltrato agli Organi di stampa e all’agenzia giornalistica Ansa – al fine di appurare se l’associazione del nome della cittadina all’adattamento cinematografico susciti una portata diffamatoria rappresentandola quale comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà».

«Volevamo esplorare la complessità del male – spiega, invece, il regista Pippo Mezzapesa alla rivista Vanity Fair – il rischio era di approcciarsi in modo morboso e voyeristico a questa storia ma l’intento invece è stato quello di andare oltre i personaggi che si sono creati e che inevitabilmente ognuno ha creato su se stresso, per andare anche a esplorarne le fragilità».

La programmazione prevista per venerdì 25 ottobre sulla piattaforma streaming Disney+ rischierebbe, secondo quanto riportato nel documento del Comune di Avetrana, di determinare un ulteriore attentato ai diritti della personalità dell’Ente civico accentuando il pregiudizio che il titolo già lascia presagire nel catapultare l’attenzione dell’utente sul territorio più che sul caso di cronaca.

 

 

RICORSO D’URGENZA

Nel ricorso depositato dagli avvocati Fabio Saponaro, Stefano Bardaro e Luca Bardaro, si indica che «risulta indispensabile visionare in anteprima il prodotto, ciò al fine di appurare se l’associazione del nome della cittadina all’adattamento cinematografico susciti una portata diffamatoria rappresentandola quale comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà».

«I dubbi e le perplessità della comunità avetranese, recepite dal pool difensivo – prosegue la nota – sembrano da ultimo avvalorate dalla recensione del film, pubblicata sul portale della Fondazione Ente dello Spettacolo, che rimanda all’idea di «un’Italia oscura e spaventosa abitata da mostri della porta accanto; una porta verso gli inferi dai quali non si fa ritorno, ambientata tra terre riarse, strade abbacinanti per il sole, tristi bar centri di incontri serali che tende a far rivivere un mondo di provincia chiuso e asfissiante guidato da una cattiveria che segna senza via di scampo relazioni, amicizie e parentele».

 

 

«RISPETTATI GLI ATTI GIUDIZIARI»

«La nostra comunità – conclude la nota a firma di Iazzi – merita rispetto e una giusta connotazione; ricordiamo che nel luglio del 2022, con atto ufficiale della Regione Puglia, Avetrana è stata riconosciuta “Città d’Arte” e inserita nell’Elenco regionale dei comuni ad economia prevalentemente turistica Città d’arte; a ciò si aggiungano accoglienza, ospitalità, generosità e altre peculiarità che da sempre caratterizzano la stessa cittadinanza».

Infine, sempre sulle colonne della rivista “Vanity Fair”, durante la lavorazione della serie tv, gli autori e la produzione della fiction sono rimasti in dialogo costante con la famiglia di Sarah Scazzi. «Il pericolo era di avere anche un coinvolgimento emotivo troppo forte che minasse la libertà di noi narratori – puntualizza Mezzapesa – abbiamo raccontato dei fatti emersi dalla verità giudiziaria, da tre sentenze e ci siamo limitati a quello: non abbiamo in alcun modo pensato di aprire altre strade, non siamo giudici, non siamo avvocati e non siamo giornalisti d’inchiesta, a noi interessava raccontare una storia per quello che è emerso ed esplorarne cause e conseguenze».

«Palazzina Laf,  è una vicenda umana»

Lunedì scorso nella Biblioteca Acclavio un incontro con i protagonisti

«La Palazzina Laf ha rappresentato non solo per Taranto, ma per tutta l’Italia, una vergogna», così hanno ricordato Claudio Virtù e Giuseppe Palma, fra i 79 lavoratori Ilva relegati in un luogo fatiscente del siderurgico. Ritenuti scomodi o sindacalizzati, dovevano rappresentare in tutto lo stabilimento un esempio per condizionare anche le scelte aziendali. Promosso dal giornalista Antonio Attino e Vincenzo Di Renna, docente del liceo artistico “Calò”. Sono intervenuti, fra gli altri, il magistrato Alessio Coccioli, e lo scrittore Carlo Vulpio (“La città delle nuvole”)

 

Ventisei anni fa, il 7 novembre 1998, la magistratura mise sotto sequestro la Palazzina Laf (Laminatoi a freddo, l’acronimo), l’edificio della fabbrica in cui i dirigenti del Centro siderurgico Ilva confinavano i lavoratori indisponibili ad accettare il demansionamento.

Fu il primo clamoroso caso di mobbing in Italia, un caso esemplare di persecuzione sul luogo di lavoro che portò nel 2001 alla condanna (poi confermata nei due successivi gradi di giudizio) di undici persone: dirigenti, capi e il proprietario dell’Ilva, Emilio Riva.

La storia che ha ispirato il film del regista tarantino Michele Riondino, è stata raccontata da alcuni dei veri protagonisti della vicenda lunedì sera nella sala Agorà della biblioteca civica Acclavio di Taranto. “Taranto, la storia oltre il cinema. Palazzina Laf”, questo il titolo dell’incontro.

 

Foto Studio Ingenito

 

UN INCONTRO PER TUTTI

Obiettivo dell’incontro: andare alle origini della storia, ricostruendola grazie alle testimonianze di quanti la vissero. L’incontro, aperto a tutti, era nato avendo come pubblico ideale i giovani e gli studenti (numerosi i ragazzi che hanno partecipato al dibattito intervenendo con domande rivolte ai protagonisti). «Ci auguriamo possa essere stato un “esercizio” di educazione civica», aveva dichiarato Attino, promotore dell’incontro insieme con Vincenzo Di Renna, anche lui docente del liceo artistico “Calò”.

Fra i presenti, Alessio Coccioli, attualmente procuratore a Matera; è lui il magistrato che all’epoca condusse l’inchiesta giudiziaria con il procuratore aggiunto Franco Sebastio, scomparso a gennaio dell’anno scorso. Con Coccioli, due ex lavoratori confinati nella Laf, Claudio Virtù e Giuseppe Palma, i quali hanno raccontato la loro storia, le difficoltà lavorative e umane vissute.

Virtù nel 2001, aveva scritto il libro “Palazzina Laf. La violenza del padrone”, ripubblicato recentemente. A questo libro il regista Riondino ha attinto per il suo film. Presente all’incontro anche Carlo Vulpio, inviato del Corriere della Sera, che nel 2009 dedicò a Taranto al suo dramma ambientale e umano, il libro “La città delle nuvole”. Della palazzina Laf, Vulpio scrisse: «Dimostra che come non c’è mai limite all’inquinamento dell’aria, dell’acqua, della terra, così non c’è limite all’inquinamento delle coscienze e allo scempio della mente delle persone».

 

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NON SOLO PER GIOVANI E STUDENTI

Lunedì sera, anche la testimonianza di Marisa Lieti, la psichiatra che seguì i lavoratori e denunciò pubblicamente la condizione dei lavoratori confinati. All’attore Sergio Tersigni, insegnante anche lui come Attino, è toccata la lettura di alcuni brani legati a quanto accadeva in quel periodo a Taranto, ricordando Franco Sebastio, il procuratore della Repubblica che visse con partecipazione e amarezza la storia, riversandola in una appassionata requisitoria.

«La palazzina Laf ha rappresentato non solo per Taranto, ma per tutta l’Italia, una vergogna; la vicenda che ha riguardato un gruppo di lavoratori relegati in un luogo fatiscente perché ritenuti scomodi o sindacalizzati o che non accettavano il demansionamento doveva rappresentare in tutto lo stabilimento un esempio per condizionare anche le scelte aziendali; noi lavoratori dovevamo abbassare la testa e subire le imposizioni del datore di lavoro, condizioni chiaramente fuori legge». Così Claudio Virtù e Giuseppe Palma, due tra i 79 dipendenti del Siderurgico che nel 1997, all’epoca della gestione dei Riva, furono confinati in una struttura definita lager, la palazzina Laf (Laminatoio a freddo), senza svolgere alcuna mansione. Una dichiarazione raccolta da Giacomo Rizzo, giornalista dell’agenzia giornalistica Ansa, che aveva collaborato con Virtù alla stesura del libro “Palazzina Laf”.

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COCCIOLI, RICORDANDO SEBASTIO

«Sicuramente – ha detto dal suo canto il procuratore Coccioli – è stata una indagine unica; all’epoca era un fatto nuovo; c’erano pochissimi casi analoghi. Un caso unico perché si è parlato tanto di mobbing ed effettivamente lo era, ma non fu trattato come mobbing, almeno all’inizio: il problema era proprio la valutazione del reato perché i lavoratori erano pagati sostanzialmente per non fare nulla, costretti a una situazione di ozio forzato. Mi colpì la dichiarazione di uno di quei lavoratori. Gli chiesi: “ma lei cosa lamenta se viene pagato lo stesso?”. Mi rispose: “io non sono un gambero, io voglio andare avanti, non indietro: sono un lavoratore specializzato, non possono togliermi la dignità».

Questi, uno per uno, gli ospiti dell’incontro. Alessio Coccioli, procuratore capo a Matera. In magistratura dal 1996, è stato sostituto procuratore a Taranto negli in anni in cui venne aperta l’inchiesta giudiziaria sulla Palazzina Laf dell’Ilva. Successivamente ha lavorato come sostituto nella Direzione distrettuale antimafia a Lecce, dal 2018 come procuratore aggiunto a Bari. Da aprile di quest’anno è capo della procura a Matera.

 

TARANTO, CITTA’ DELLE NUVOLE

Carlo Vulpio, giornalista del Corriere della Sera, inviato in Italia e all’estero, nel 2009 autore di La città delle nuvole. Viaggio nel territorio più inquinato d’Europa, libro-inchiesta su Taranto. E’ autore tra gli altri del libro Il genio infelice, sulla vita di Antonio Ligabue, e il sogno di Achille, il romanzo di Gigi Riva. 

Claudio Virtù e Giuseppe Palma, ex dipendenti dell’Ilva, hanno condiviso la drammatica esperienza da confinati nella Palazzina Laf del centro siderurgico di Taranto. Prima di essere trasferiti lavoravano nel centro elaborazione dati.

Marisa Lieti, psichiatra, è stata responsabile del centro di salute mentale dell’Asl di Taranto dopo avere lavorato nell’ospedale psichiatrico di Collegno (Torino). Ha curato i lavoratori confinati nella Palazzina Laf.

In Puglia l’ultimo femminicidio

Quarantaquattro delitti, vittime donne succubi della violenza degli uomini

«Mi voleva uccidere, mi ha chiuso in auto tra le fiamme», Maria Arcangela prima di morire. E’ l’ultima donna sulla quale si è abbattuta la furia omicida del marito. E’ accaduto domenica sera a Gravina di Puglia. Prima l’uomo ha lanciato l’auto contro un muro, darle fuoco e simulare un incidente. La poveretta era riuscita ad uscire dalla vettura, ma una volta raggiunta è stata soffocata. Un breve video inchioda l’uomo, che quindici anni prima aveva accoltellato il figlio

 

Ma basta. Ancora un femminicidio. La follia omicida di un uomo che si scaglia contro una donna per sopraffarla, per cancellarla dall’esistenza e dal futuro. Con quello accaduto a Gravina di Puglia domenica sera, sarebbero quarantaquattro gli episodi finiti nella tragedia, che hanno come protagonisti uomini sull’orlo di una crisi di nervi e donne, inermi, incapaci di difendersi, di tentare la pur minima difesa.

Perché non hanno il fisico, né il lontano sospetto che l’uomo, nel caso della sessantenne Maria Arcangela Turturo, suo marito, il sessantacinquenne Giuseppe Lacarpia, avesse in mente un piano diabolico. Lacarpia, dicono le cronache, aveva pensato di simulare un incidente: scagliare la sua vettura contro un muro e dare fuoco al mezzo con dentro la moglie. Purtroppo per lui, e soprattutto per la donna, il disegno criminoso non si è concretizzato: la vittima è riuscita ad uscire dalla macchina, ma è stata raggiunta dal marito che ha approfittato delle sue condizioni (ridotta in fin di vita): Lacarpia, nemmeno lontanamente mosso a compassione, si è seduto con tutto il suo peso sul corpo della donna per stringerle forte il collo.

 

 

«MA COSA FAI?», UNA COPPIA RIPRENDE L’ACCADUTO

Una coppia di fidanzati, insieme con un amico, hanno visto tutto, hanno perfino ripreso il tentativo di omicidio, diventato poco dopo omicidio a causa delle ferite riportate dalla donna. Quindici secondi che inchiodano inequivocabilmente l’uomo che quindici anni prima era stato condannato per aver sferrato una coltellata al figlio messosi in mezzo ad un altro furioso litigio.

«Mi voleva uccidere, mi ha chiuso in auto tra le fiamme», sono le ultime parole che Maria Arcangela ha  appena sibilato a un poliziotto e poi a sua figlia, in ospedale. Lacarpia che lunedì avrebbe dovuto sottoporsi a una visita per problemi neurologici, si diceva, avrebbe fatto finire l’auto contro un muro. Una volta scagliato il mezzo contro l’ostacolo, avrebbe chiuso la donna nella vettura e acceso il fuoco. Quando la donna, nonostante le ustioni, è riuscita a uscire dall’abitacolo dell’auto, l’uomo l’ha bloccata sull’asfalto, ponendosi su di lei con un peso enorme, un corpo di quasi cento chili. La povera Maria Arcangela, trasportata d’urgenza in ospedale purtroppo non ce l’ha fatta: è morta nel nosocomio, riuscendo però a raccontare cosa fosse accaduto in quei momenti drammatici e così concitati. A testimoniare i fatti, si diceva, un filmato di una quindicina di secondi ripreso con un cellulare da una coppia di fidanzati che, in quel momento, passava da lì e spaventata da un’auto in fiamme.

 

 

«SOFFRIVA DI SINDROME DEPRESSIVA»

A nulla è valso il tentativo di urlare al sessantacinquenne «Ma cosa stai facendo?». La donna appena soccorsa, con un filo di voce ha rivelato ai suoi ai soccorritori: «Mi voleva togliere davanti!». A quanto emerso qualche ora più tardi, le liti in famiglia sarebbero state spesso causate dai debiti che l’azienda di Lacarpia, impegnato nell’allevamento di mucche e produzioni casearie, aveva contratto.

L’uomo, inoltre, era finito a processo anche per maltrattamento di animali. Nel procedimento penale, svoltosi lo scorso gennaio sulla base di una perizia disposta dal tribunale di Bari, Lacarpia era stato dichiarato incapace di stare in giudizio, con invalidità per sindrome depressiva.

Nel 2024 sono state almeno quarantaquattro le donne uccise da mariti, compagni, ex, nel nostro Paese. Non è il caso di applicare misure restrittive alle prime denunce, ai primi segnali di insofferenza? Specie quando un uomo, come nel caso dell’omicida di Gravina presentasse scompensi psichici spesso sfociati in episodi di inaudita violenza.

Cara maestra, da quanto tempo…

Isole Tremiti, chiusa nel 2003, riapre la scuola

«Era ora», dicono gli abitanti. Del resto, l’istruzione è un diritto per tutti. E c’è già chi vuole fare un monumento all’insegnante che ha accettato l’incarico, nel frattempo rifiutato da due colleghe. «Accogliamo con entusiasmo la nuova maestra», dice la sindaca, Annalisa Lisci. «Sono felice di essere qui: ho ricevuto un’accoglienza a dir poco meravigliosa dalle famiglie dei miei alunni», confessa la docente, Michela Liuzzi

 

Le Tremiti dopo quasi venti anni, hanno daccapo un’insegnate e una classe di alunni ai quali insegnare a leggere e scrivere. Evviva. Fosse stato ancora in vita, Lucio Dalla, cittadino onorario delle Isole Tremiti, elette a suo “buen retiro”, e attracco della sua imbarcazione, il “Catarro”, di cui andava fiero, minimo avrebbe scritto una canzone. Di più, si sarebbe fatto promotore nei confronti del Governo centrale, come dell’Amministrazione comunale, che in questa vicenda – sia chiaro – non ha colpe, di una protesta: quando cominciamo a crescere e a fare lezione ai bambini, per pochi che siano, che sono nati in un’isola affascinante, ma distante dalla terra ferma. Possibile che non ci sia qualcuno che si muova? Ma, quando nessuno aveva più speranza, ecco che si vede uno spiraglio. Uno spiraglio dalle sembianze di una insegnate, che ha un nome e un cognome: Michela Liuzzi, che il Cielo la benedica. Ha 64 anni e la cosa ci dice che abbiamo tre anni per trovare una collega che la sostituisca quando Michela andrà meritatamente in pensione.

 

 

DOPO VENT’ANNI

Insomma, da queste parti la scuola, chiusa poco più di venti anni fa, era stata chiusa. Non c’era un numero sufficiente di studenti. Chi aveva voglia di studiare, poteva farlo collegandosi con il pc. Una classe virtuale, non c’è da farsi meraviglia, ormai qua è tutto virtuale. Non si prende più un caffè al mattino, un tè insieme con un’amica, un amico. Si va di corsa. E se c’è un problema che interessa un piccolo concittadino, la comunità c’entra poco. Anzi, fa spallucce. Da queste parti, detto alla pugliese, ma traduciamo per gli amici che non hanno dimestichezza con la lingua del posto: chi ha il prurito, se lo grattasse. Ce ne sarebbe uno ancora più forte, che rende il senso, ma considerando la scelta di un esempio, ci fermiamo qua.

Così, se il problema non ci vede parte interessata, pazienza, della sua risoluzione se ne interessassero i genitori, gli zii, i nonni. Perché, si sa come vanno le cose in Italia: fai una segnalazione, spieghi qual è l’emergenza e passano gli anni. Tant’è che siamo intorno ai due decenni.

 

 

L’AGENZIA ANSA: SCUOLA RIAPERTA!

Questa la notizia ufficiale, ripresa dall’Ansa, l’agenzia giornalistica italiana di riferimento: la scuola dell’infanzia delle Isole Tremiti, con due settimane di ritardo – ma l’importante era dare inizio alle lezioni – ha ufficialmente riaperto: l’insegnate Michela Liuzzi, residente ad Apricena, sessantaquattro anni – come si diceva – e ancora precaria, ha accettato l’incarico. Non è stato come bere un bicchier d’acqua: due altre sue colleghe, destinatarie del ruolo, avevano rifiutato, gettando ancora una volta la “ridente, affascinante, accogliente cittadina” nella desolazione.

La scuola, infatti, era chiusa dal 2003. Mancavano gli alunni e anche quest’anno, nonostante ci fosse una classe composta da sette piccoli studenti, rischiava di rimanere chiusa ancora a lungo per mancanza di docente.

L’inizio delle lezioni, infatti, previsto il 16 settembre, rischiava di slittare ancora una volta: nessuna maestra era disponibile ad affrontare il viaggio in traghetto che occorre fare per raggiungere l’arcipelago nel Foggiano. La “Signora Maestra” ha deciso che resterà sull’isola dal lunedì al venerdì e poi, condizioni meteo permettendo, tornerà a casa dove l’attende suo marito. I figli da tempo hanno lasciato Apricena: si sono trasferiti a Roma.

 

 

«FELICITA’ E’ TORNARE FRA I BANCHI…»

«Sono così felice di essere qui, alle Tremiti: ho ricevuto un’accoglienza a dir poco meravigliosa dalle famiglie dei miei alunni; sono consapevole che non sarà facile, anche perché sono ad un passo dalla pensione: con tanti comuni presenti in provincia di Foggia, l’arcipelago delle Tremiti mi terrà più spesso lontana da casa; ma ho accettato questa nuova sfida perché amo insegnare e amo i bambini, tanto da essere anche catechista e volontaria in parrocchia ad Apricena». 

Raggiante la sindaca delle Tremiti, che non sono ha accolto, ma ha anche abbracciato la nuova insegnante. «Accogliamo – il commento della sindaca, Annalisa Lisci – con entusiasmo la nuova maestra: la riapertura della scuola segna un nuovo capitolo pieno di energia positiva». “Un bell’applauso!”, si dice in momenti solenni come questo. Perché come vogliamo chiamarlo un momento atteso per venti anni? Se non “solenne”.