Andrea, il giallo del momento

Tutti gli organi di informazione puntano i riflettori sullo studente

Ieri le prime pagine di Corriere della sera, Repubblica e Messaggero dedicate allo sfortunato diciannovenne. Non sarebbe suicidio, ma istigazione a compiere l’insano gesto. Secondo il padre della vittima, invece, sarebbe stato omicidio. Gli aspetti intorno alla vicenda sono complessi, gli inquirenti agiscono con cautela. Arrestato un diciottenne, fermato un altro uomo. Tv, stampa e social, il via al tam-tam mediatico

 

Andrea, diciannove anni, scomparso per cinque giorni, poi rinvenuto morto in un appartamento di via del Prospetto, a Perugia; un diciottenne arrestato con l’accusa di istigazione al suicidio; un altro, indagato, con l’accusa di cessione di oppiacei. Come accade spesso in questi casi, la soluzione su quanto accaduto potrebbe essere risolta nelle prossime ore, con una piena confessione di chi sa cosa in realtà sia accaduto in quell’appartamento, oppure allontanarsi velocemente a causa delle acque che andrebbero intorbidendosi.

La tragedia che ha toccato la famiglia di Andrea Prospero, è da due giorni sulla bocca di tutti. E’ cominciato il tam-tam mediatico, ieri mattina i due principali quotidiani nazionali, Corriere della sera e Repubblica, riportavano la notizia, con foto della vittima, in prima pagina. Lo stesso l’altrettanto prestigioso quotidiano nazionale, Il Messaggero, che ha realizzato un servizio molto dettagliato, considerando che l’inchiesta – con l’arresto del diciottenne e il fermo del possibile complice o testimone – si sarebbe spostata nella capitale. Da ieri, causa riverbero delle notizie, riprese dai numerosi siti e tv, anche online, si è scatenato il solito valzer dei collegamenti, con le trasmissioni crime di punta con criminologi, psicologi e sociologi in studio. Ecco le sovrapposizioni cui alludevamo e che potrebbero complicare, piuttosto che semplificare le indagini degli inquirenti, posto che più di qualcuno si sia già chiamato fuori prestando però il miglior profilo a favore di telecamere.

 

 

GLI ELEMENTI A DISPOSIZIONE

Val la pena sottolinearlo che non è il caso degli inquirenti che per motivi intuibili provano a tenere circoscritti gli elementi a disposizione. Purtroppo, in casi come questi, professionisti della comunicazione o personaggi scaltri con una certa dimestichezza con i social, sanno come muoversi e avere un ritorno in termini di popolarità. Ecco perché il più stretto riserbo e l’invito ai genitori del ragazzo morto, dell’arrestato e del sospettato, a non prestarsi a rilasciare dichiarazioni. La Procura del capoluogo umbro, diretta da Raffaele Cantone, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari a carico di un 18enne, residente a Roma, con l’accusa di istigazione o aiuto al suicidio. Un’altra persona è stata indagata per cessione di un medicinale di tipo oppiaceo. «La tragedia di Andrea, la sua tragica sorte, sia un monito per tanti ragazzi che nel web trovano un abisso estremamente pericoloso». Questa una dichiarazione dell’avvocato Francesco Mangano, legale della famiglia di Andrea Prospero, riportata dalla redazione di Corriere.it .

«È un’indagine complicata – ha dichiarato Cantone – svolta analizzando i dati presenti su cellulari e apparati informatici; questo, però, il primo passo, l’indagine dovrà sciogliere dubbi e aiutarci a comprendere questioni che riguardano la presenza delle sim e di più cellulari in uso dalla vittima».

 

 

ALTRA PERQUISIZIONE

Eseguita, inoltre, un’altra perquisizione, in Campania e, precisamente, nell’abitazione di un giovane che potrebbe aver venduto il medicinale rivelatosi fatale per il povero Andrea. Quest’ultimo non risponderebbe dello stesso reato (vale a dire “istigazione o aiuto al suicidio”), puntualizza Corriere.it, perché l’indagato non era a conoscenza della ragione per la quale Prospero lo ha utilizzato». Durante la perquisizione sarebbero stati trovati 10 mila euro in contanti.

La scomparsa di Andrea era stata denunciata lo scorso 24 gennaio dalla sorella, anche lei iscritta all’università di Perugia. Il giovane, fuori sede, al primo anno di Informatica, aveva fatto perdere le proprie tracce dopo essere uscito da un ostello dove alloggiava. È stato poi il gestore dell’appartamento in cui è stato rinvenuto il cadavere del ragazzo che, non avendo più sue notizie, ha deciso di contattare la polizia, permettendo agli agenti di trovare il corpo senza vita dello studente.

All’interno del monolocale sono stati rinvenuti farmaci (tipo-oppiacei), un pc portatile, cinque telefoni cellulari e quarantasei sim-card. Stanza in perfetto ordine era in ordine, sul corpo del ragazzo nessuna ferita, indizio che faceva presumere che la morte di Andrea potesse essere addebitata ad un gesto volontario, dunque un suicidio.

 

 

PADRE DELLA VITTIMA, MADRE DEL SOSPETTATO

«Ditemi chi era mio figlio: quel ragazzo trovato con telefoni, sim e carte di credito non è il ragazzo che ho conosciuto per diciannove anni: le cose non tornano», disse non a caso il padre di Andrea, Michele Prospero, qualche giorno dopo il ritrovamento del corpo.

«Mangia tutte e sette le pasticche e basta», «Ce la puoi fare», «Se vuoi ammazzarti ammazzati e zitto», sono alcuni dei passaggi agghiaccianti delle chat, come riporta l’agenzia giornalistica Ansa. Altro elemento che ha indirizzato gli inquirenti sull’indiziato numero uno, che l’interlocutore una volta appreso che i farmaci erano stati assunti, invece di invocare chiamare i soccorsi, si è preoccupato dei possibili rischi di poter essere identificato».

«Mi crolla il mondo addosso, anzi, mi è già crollato», dice la mamma del diciottenne arrestato con l’accusa di istigazione al suicidio ad un cronista del Messaggero. «Siamo persone perbene – aggiunge la donna – uno dei nostri ragazzi fa il poliziotto; però lui – il riferimento è all’arrestato – è molto chiuso e riservato, sempre con il telefonino in mano: lui, ora, sta male, non sappiamo come fare, ci sentiamo molto soli e impotenti in questo: è il nostro più grande dolore».

Migranti, in Italia altri 5 Cpr

Centri di permanenza per i rimpatri

In una intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica e ripresa dal sito del Governo, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi spiega le misure assunte insieme con il premier Giorgia Meloni.Un altro Centro di trattenimento sarebbe invece rivolto ai migranti che arrivano da Paesi sicuri. Tutto ripartirebbe da qui, non più dall’Albania. C’è chi non la pensa allo stesso modo: trasferire gli “irregolari” dall’Italia violerebbe le norme Ue

 

Ci sarebbero cinque nuovi Centri di permanenza per i rimpatri realizzati in Italia (dunque non più Albania) e un altro Centro di trattenimento per i migranti che arrivano da Paesi sicuri. È uno degli annunci rivolto da Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno. Lo conferma in una intervista rilasciata ad Alessandra Ziniti, inviata de la Repubblica e pubblicata anche dal sito del Governo. Il segnale reso dal ministro sarebbe quello riguardante una serie di rimpatri che, appunto, Piantedosi insieme con Giorgia Meloni, presidente del Governo, hanno confermato a questori e prefetti. In buona sostanza, stando a quanto dichiarato, tutto ripartirebbe dall’Italia, non più dall’Albania. O, comunque, in buona parte non più dall’Albania.

«L’indicazione – dice Piantedosi – è che migranti irregolari con precedenti e pericolosi per la sicurezza dei cittadini vanno rimpatriati; in molti casi ricercandoli se già noti agli uffici; questa scelta, che abbiamo dato come vero e proprio obiettivo prioritario, sta dando i suoi frutti: siamo già a un più 35% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno che pure aveva fatto registrare una crescita».

 

 

PER ORA, CINQUE VANNO BENE

Per realizzare il progetto di cui sopra, secondo il ministro, servirebbero altri Centri per il rimpatrio. Cinque, per ora. «Abbiamo individuato nuovi siti – conferma il ministro – dove realizzare Cpr e per due di essi abbiamo già affidato e realizzato gli studi preliminari e contiamo di partire con l’affidamento della realizzazione entro primavera; abbiamo riattivato oltre settecento posti, in precedenza resi inagibili da atti di vandalismo, e siamo prossimi alla riapertura del Cpr di Torino; sul territorio nazionale abbiamo realizzato, inoltre, due strutture di trattenimento per le procedure di frontiera, come quella in Albania, mentre un’altra è in via di progettazione».

A proposito dei Centri in Albania. «Sono pronti ad accogliere altri immigrati – continua Piantedosi – e sono già organizzati per esprimere più funzioni, una parte è già destinata a Cpr; avere rimesso la questione di diritto alla Corte di giustizia europea può solo ritardare la loro entrata in pieno funzionamento, che avverrà al più presto nell’una e nelle altre funzioni; intanto c’è una prima udienza favorevole alle nostre tesi: tesi alle quali hanno aderito molti Paesi e anche la Commissione europea».

 

 

E SE FOSSE UNA VIOLAZIONE?

C’è chi non la pensa allo stesso modo. Secondo un numero del Manifesto pubblicato nel febbraio scorso, Piantedosi eviterebbe volutamente di entrare in argomento, anche se l’altro giorno il ministro avrebbe manifestato sicurezza sulle sue dichiarazioni: «Ma trasferire gli “irregolari” dall’Italia violerebbe le norme Ue; “polivalente”, è questo l’aggettivo che il ministro dell’Interno ha replicato dopo aver parlato di “impianto”».

Fra le ipotesi, scrive ancora il giornale, la più accreditata sarebbe quella che l’esecutivo provi a parcheggiare in Albania persone che si trovano irregolarmente in Italia. Altra ipotesi: trasferire a Shengjin e Gjader solo i naufraghi soccorsi in mare che non chiedono asilo: in Sicilia alcuni casi si registrano, spesso riguardano tunisini. Resterebbero, però, dubbi sulla correttezza della procedura a cui sarebbero sottoposti.

E per finire, torniamo all’intervista della Ziniti, che indica al ministro Piantedosi come moltissime città stanno disegnando zone rosse e proprio qualche giorno fa sono stati forniti i numeri degli allontanamenti, moltissimi dei quali riguardano stranieri. Questa la domanda: mandar via le persone pericolose dai Centri e poi non farsi carico di reali e consistenti percorsi di integrazione in cui investire denaro sia solo buttare la polvere sotto il tappeto?

 

 

«POLVERE SOTTO IL TAPPETO?»

«I percorsi di integrazione sono importanti e ne pratichiamo tanti – la risposta di Piantedosi – ma, come investimento, vanno rivolti a chi realmente dimostra di volersi integrare; per il resto è di prioritario interesse restituire sicurezza, anche nella percezione, ai cittadini che vivono nelle molte zone difficili delle nostre città; l’eccessiva tolleranza – prosegue il ministro – non aiuta la convivenza: i risultati della prima applicazione di queste misure sembrano darci ragione, anche in termini di apprezzamento della gente. Del resto, anche su questo tema si registra a volte una discussione schizofrenica: con gli interventi su Caivano e quelli programmati sulle altre sette aree degradate del paese individuate con il cosiddetto Decreto emergenze abbiamo puntato proprio sui percorsi di riqualificazione e integrazione, oltre che sugli interventi per la sicurezza. Eppure una certa opposizione ci critica lo stesso».

Trentadue naufraghi, salviamoli

Sea Watch lancia l’appello e invia una nave per soccorrere uomini, donne e bambini

Un uomo sarebbe già deceduto. Partiti su un gommone dalla Libia, si sono ribaltati in mare. Vivi per miracolo, senza acqua e cibo da quattro giorni, si sono messe in salvo su una piattaforma petrolifera che, però, non è attrezzata per prendersene cura. L’intervento tempestivo della Ong, dei politici, l’invito al Ministro

 

Sabato scorso un gommone sul quale viaggiavano migranti in fuga dalla Libia, si è ribaltato: uno di loro è morto, mentre gli altri sono riusciti ad arrampicarsi sulla piattaforma. La denuncia parte dalla Ong Mediterranea. Trentadue migranti vivi per miracolo. Come spiega Sea Watch, i naufraghi si sono arrampicati su una piattaforma petrolifera, in pieno Mediterraneo. Fra questi ci sarebbe anche una vittima, un uomo che nella traversata su una imbarcazione di fortuna non ce l’avrebbe fatta.

Intanto, la stessa Sea Watch ha inviato una nave in soccorso dei naufraghi, da quattro giorni in balia di un tempo inclemente e i morsi della fame. Sul finire della scorsa settimana, nonostante il tempo, uomini, donne e bambini, si sono avventurati su un gommone partito dalla Libia.

L’ennesimo naufragio ha poca ospitalità sui notiziari istituzionali. Il braccio di ferro alla Casa Bianca fra Trump e Zelensky, ha praticamente oscurato qualsiasi altra notizia. Perfino le condizioni critiche di Sua Santità, Papa Francesco, ricoverato al “Gemelli” e che ha trascorso la notte scorsa con l’ossigeno per favorirne la respirazione. A rimediare ad una informazione a singhiozzo, agenzie e siti, sempre puntuali e con aggiornamenti sulle condizioni dei trentadue migranti aggrappati alla speranza e alla piattaforma Miskar: Ansa, Open, Repubblica e altri organi di stampa.

 

 

POCHE ORE FA…

Poche ore fa l’ultimo appello, mentre la nave inviata da Sea Watch, sta solcando il mare per agganciarsi alla piattaforma e soccorrere gente assetata e a digiuno. Hanno bisogno di aiuto. Fino a poche ore fa nessuno si stava occupando di loro, anche perché la piattaforma sulla quale si sono in qualche modo “salvati” non sarebbe attrezzata per prendersene cura.

«Questa mattina, “Aurora”, l’assetto veloce di SeaWatch – ha tempestivamente comunicato la Ong Sea Watch – è partita da Lampedusa alla volta della piattaforma Miskar dove sono bloccate da quattro giorni trentadue persone in fuga dalla Libia: hanno bisogno di aiuto, nessuno – al momento – li sta soccorrendo e la piattaforma non è attrezzata per prendersene cura: a breve arriveremo in zona», il primo appello raccolto dalle agenzie di stampa, fra queste l’Ansa.

Mentre scriviamo, sono trentadue le persone a trovarsi sulla piattaforma. Viaggiavano, si diceva, a bordo di un gommone partito dalla Libia, tra loro vi sono anche donne e bambini. Una persona, purtroppo, sarebbe già deceduta. «Le autorità italiane devono prestare soccorso immediato alle trentadue persone – fa sapere Ong Mediterranea Saving Humans – che, da oltre quattro giorni ormai, in fuga dalla Libia, sono naufragate sulla piattaforma petrolifera Miskar, di proprietà della multinazionale inglese British Gas, che si trova al largo delle coste tunisine, nel Mediterraneo centrale; le persone sono in contatto fin dall’inizio con Alarm Phone che, da giorni, ha informato costantemente le Autorità italiane e maltesi della situazione: le piattaforme sono state anche monitorate domenica e ieri (lunedì, per chi legge) dall’aereo civile Seabird di Sea-Watch».

 

 

E INVITO ALLE AUTORITA’

Mediterranea prosegue nel suo appello alle autorità italiane. Segnala, infatti, che una persona sarebbe già deceduta, mentre altre, in particolare donne e bambini, starebbero molto male. Non hanno acqua, cibo e sono esposte, spiega la Ong, alle intemperie di un mare in burrasca: non si può perdere altro tempo. «Chiediamo – riprende Mediterranea – un intervento immediato di soccorso da parte delle Autorità Europee: la piattaforma si trova a poche decine di miglia da Malta e dall’isola di Lampedusa, mentre i militari tunisini non avrebbero fornito assistenza ai naufraghi». Insomma, vanno soccorse senza perdere altro tempo.

«Richiamo l’attenzione del ministro Piantedosi – ha riportato alla Camera Marco Grimaldi, vicepresidente AVS – non possiamo lasciare sole e senza soccorso persone che da oltre quattro giorni sono naufragate sulla piattaforma petrolifera Miskar, di proprietà della multinazionale inglese British Gas, che si trova al largo delle coste tunisine, nel Mediterraneo centrale: chiediamo che il ministro intervenga al più presto».

Intanto, l’eurodeputato Sandro Ruotolo ha presentato un’interrogazione alla Commissione UE chiedendo quali misure intenda adottare per garantire il salvataggio delle trentadue vittime ed evitare il respingimento in Tunisia.

«Ucraina: nessun invio di truppe»

L’Italia non manda militari sul confine

«Questa ipotesi non è mai stata all’Ordine del giorno», dice il ministro Antonio Tajani, «dovessimo andare al fronte, lo faremo solo ed esclusivamente condividendo la posizione con gli altri Paesi». Stesso ragionamento per la Palestina, interviene il vicepremier Salvini: «Abbiamo già migliaia di soldati italiani in giro per il mondo, quando ci sarà avanzata richiesta, ne parleremo»

 

«L’Italia ha sempre detto che l’invio di truppe italiane in Ucraina non è all’ordine del giorno, dopodiché, se un domani ci dovesse essere una missione Onu con contingenti di vari Paesi, si potrà eventualmente ragionare, ma al momento questo tema non è all’ordine del giorno». Questo, in sintesi, l’intervento alla Camera del ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Insomma, l’Italia non schiera il suo esercito a sostegno della causa ucraina, opponendosi esplicitamente al conflitto contro la Russia. Vista così, oltre a una posizione di non belligeranza, sembrerebbe un rifiuto, netto, all’ingresso dell’Italia nel conflitto che vede l’Ucraina opposta alla Russia. Questa posizione mostra anche una certa disponibilità da parte del nostro Paese ad “ascoltare” il governo di Putin, dopo che il Capo di Stato russo ha trovato argomenti utili e condivisibili con Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, che con la sua posizione di arbitro del complesso conflitto militare ha di fatto ignorato l’Europa. Evitato un ulteriore bagno di sangue.

 

 

A QUANDO IL «CESSATE IL FUOCO»?

Ora altri due sono i temi che stanno a cuore a quanti sono contro ogni tipo di conflitto ed auspicano pace incondizionata: il definitivo “Cessate il fuoco” sul confine russo-ucraino e sulla Striscia di Gaza, dove prosegue un conflitto che da tempo immemore semina odio e morti, donne e bambini compresi.  

Niente confine ucraino, dunque, per l’Italia. «Se sarà necessario creare una “zona cuscinetto”, bisognerà mandare truppe sotto la bandiera delle Nazioni Unite; solo in questo caso potrà esserci una disponibilità italiana; così come accaduto per la Palestina, ma sempre con la corresponsabilità di tutti». Tajani, portavoce del governo, è tassativo. Alla domanda sul fatto che la Lega fosse d’accordo con questa posizione, la risposta, secca, non lascia spazio a interpretazioni: «Se la Lega è d’accordo? Parlate con loro: io dico la mia», riporta, puntuale, l’agenzia giornalistica Ansa. «Se deve essere – prosegue il ministro – una forza di interposizione, questa deve essere delle Nazioni unite in modo che sia neutrale».

 

 

«INVIO TRUPPE: NON PREVISTO»

Per chi non avesse inteso a chiare lettere le parole del vicepremier azzurro, alla Camera è stato ribadito che l’Italia ha sempre sostenuto che l’invio di truppe italiane in Ucraina non è all’ordine del giorno: se, invece, un domani ci fosse una missione Onu con contingenti di vari Paesi, si potrà tornare sul tema e ragionarci sopra. Non è all’ordine del giorno, né se n’è mai parlato. Fonti del governo ribadiscono tale posizione definendo «notizie totalmente campate per aria le ricostruzioni sulle valutazioni di un invio di truppe: non esiste questo dibattito all’interno della maggioranza».

A proposito del «Chiedetelo alla Lega», la risposta resa alla stampa dal ministro Tajani, dopo le dichiarazioni sul “non invio di truppe italiane sul fronte ucraino”. Sempre l’agenzia Ansa ha registrato le dichiarazioni di Matteo Salvini, vicepremier e segretario della Lega.

«Il governo non sta discutendo di soldati italiani in Ucraina: nessuno ci ha rivolto richiesta a riguardo: quando ce lo chiederanno ne parleremo; l’Italia ha già migliaia di soldati in giro per il mondo, pertanto, prima di mandarne altri sarei molto cauto». 

«Potenza della lirica…»

Simone Cristicchi, “Quando sarai piccola”, il Festival e il sociale

Indipendentemente dalla classifica, il cantautore romano a Sanremo ha manifestato un messaggio forte, che ha commosso tutti. Sala stampa e teatro Ariston gli hanno tributato una “standing ovation”. La mamma, vittima di un’emorragia cerebrale, si “risveglia bambina”. Le similitudini con “Ti regalerò una rosa”, dedicata anche al povero Antonio Cosimo Stano

 

«Quando ho ascoltato la canzone di Cristicchi, “Quando sarai piccola”, ho avuto una forte emozione, mi sono scappate le lacrime: una storia così l’ho vissuta sulla mia pelle; non c’è critica che possa scalfire minimamente un brano così carico di sensibilità». Anna, commerciante, confessa la sua emozione a un paio di clienti, che condividono. «Vero – ammettono – anche a me è piaciuta: in una rassegna dove per il più del tempo la faceva da padrona il disimpegno e il divertimento, ho avvertito, forte, la sensazione che in quel momento si fosse fermato il tempo, tutti facessero silenzio per ascoltare le parole di una canzone trascinata da una musica altrettanto suggestiva».

«Uno che scrive una cosa così, come minimo deve averla vissuta sulla sua pelle, perché solo dal cuore di chi soffre possono scaturire parole simili: per mio padre sono diventato il suo migliore amico, non mi riconosce più, quando gli telefono quasi mi redarguisce: hai telefonato in ritardo questa sera, amico mio, mi dice; e io: “Papà, non mi riconosci? Sono tuo figlio…”». Paolo racconta la sua di storia, lo fa con la stessa dolcezza con la quale il cantautore di “Ti regalerò una rosa”, altro suo grande successo, ha trattato un dolore altrettanto personale.

 

 

EVITATA OGNI RETORICA

«Ho voluto evitare la retorica – dice lo stesso Simone Cristicchi in conferenza stampa il giorno dopo il debutto – perché se l’avessi percepita non l’avrei nemmeno presentata al Festival invece ci siamo commossi tutti perché si tratta di storie vere, è vita autentica, si toccano corde emotive in un mondo in cui c’è una grande compressione emotiva, tanto che trasmettiamo sempre meno».

«La poesia non dovrebbe basarsi sui numeri ma su altri parametri – prosegue Cristicchi – sta accadendo qualcosa di inatteso e, cioè, che un autore, come me, non abituato a certe dinamiche sta facendo ascoltare la propria canzone a milioni di persone: per me è stata una grandissima sorpresa». Al mattino circolano già le prime proiezioni, non solo per addetti ai lavori: “Quando sarai piccola” è al secondo posto in radio, mentre il video registra visualizzazioni da primato su Youtube. Non solo, il brano riceve una bella spinta dalla sala stampa e una meritatissima “standing ovation” in teatro, gli applausi e la la commozione degli orchestrali che di canzoni sotto il loro naso ne hanno viste passare; una parte di quegli applausi vanno anche a Valter Sivilotti, il direttore che sabato 8 marzo dirigerà l’Orchestra della Magna Grecia che accompagnerà Cristicchi insieme ad Amara al teatro Orfeo in “Concerto mistico per Battiato” (nella serata dedicata alle cover i due artisti al Festival hanno cantato “La cura”, una delle più grandi suggestioni del cantautore siciliano).

 

Foto Aurelio Castellaneta

 

«TORNARE BAMBINI», UN DRAMMA

“Quando sarai piccola” racconta di una delle circostanze di fronte alle quali ti mette la vita: “quando i genitori diventano figli”. Quella dell’artista è una storia personale: racconta la malattia della mamma che qualche anno fa, a sessantatré anni, è stata colpita da una grave emorragia cerebrale, per tornare bambina al suo risveglio. «La Federazione Nazionale Alzheimer – rivela Cristicchi – mi ha scritto: il senso di questo brano va oltre una patologia, parla del ciclo della vita, un messaggio più spirituale che medico; molti che vivono ogni giorno situazioni simili si sono ritrovati nelle mie parole». Applausi a scena aperta in teatro. «Prima del debutto ero preoccupato, ero teso, poi mi sono rilassato: ero riuscito a mantenere quell’equilibrio che in teatro significa andare per sottrazione, meno si fa e più il messaggio arriva potente».

E ancora: «Ho descritto – conclude il cantautore – la sofferenza di vedere un genitore diventare fragile, ma c’è anche la rabbia di vedere una persona amata cambiare e la fatica di volerlo accettare; chi fa questo lavoro può essere considerato un cronista, un fotografo: la canzone è un momento di libertà per raccontare una storia, ed è questo quello che ho fatto».

 

Foto Aurelio Castellaneta

 

SIMONE E QUEL PENSIERO PER COSIMO

Tempo fa Cristicchi, romano, quarantotto anni appena compiuti, dopo un concerto, rispose a una nostra domanda a proposito della canzone, “strumento potentissimo”. «In tre minuti – ci disse – riesce a smuoverti quello che hai dentro, a farti sentire delle emozioni, a trascinarti dentro una storia. “Ti regalerò una rosa” è l’esempio, il mio manifesto: trovo interessante utilizzare il palcoscenico, mettere in luce queste realtà di cui poco si parla e dire “Esiste Antonio Cosimo Stano!”, uno dei miei “santi silenziosi”, a volte agnelli sacrificali che muoiono per risvegliarci; nei miei concerti dedico spesso questa canzone all’anziano disabile picchiato selvaggiamente a Manduria, che il caso ha voluto si chiamasse proprio come il protagonista di “Ti regalerò una rosa”: mi piace pensare a Cosimo come al protagonista di questo brano, che vola finalmente libero, ora che ha fregato tutti trasferendosi in un’altra dimensione. Chi ha compiuto quell’aggressione ha sì una grande responsabilità, ma è anche il mondo ad averne una enorme: che mondo abbiamo costruito, che mondo stiamo dando a questi ragazzi se poi compiono questo tipo di azioni? Cosa ci ha portati all’indifferenza, che poi è il male del momento storico che stiamo vivendo?».

Per la cronaca, la giudice Vilma Gilli, condannò i tre aggressori, due a 10 anni di reclusione, mentre a 8 anni e 8 mesi il terzo. Il giudice riconobbe il reato di tortura nei confronti del sessantaseienne, escludendo l’aggravante della morte dell’uomo come diretta conseguenza di quelle violenze portate avanti con “inaudità crudeltà” da una baby-gang composta per buona parte da minorenni

«Sanremo, gioia immensa»

Alla vigilia del Festival, Red Canzian dei Pooh racconta una grande esperienza

«Cominciò con una provocazione, poi la telefonata di Adriano Aragozzini. Avevamo la canzone giusta, “Uomini soli”, vincemmo e in albergo saltammo su un letto e sfondammo una rete». Un libro e un musical di successo. «“Centoparole”, firmacopie pugliese caloroso; “Casanova”, un musical che ha sbancato anche in Cina, l’invito in Russia e tanto altro ancora»

 

Ieri il “via” al Festival di Sanremo. C’è la Champion’s di calcio a contrasto con la corazzata di Raiuno che fagociterà presentatori, cantanti, direttori d’orchestra, musicisti, varie ed eventuali. Nulla si può contro una “macchina da guerra” progettata anni fa da Pippo Baudo e poi ripresa dalle varie produzioni messe in campo con presentatori-selezionatori. E, allora, per una volta, approfittando di un’amicizia collaudata proviamo a farci raccontare un importante dietro le quinte, quello del 1990 presentato da Johnny Dorelli e Milly Carlucci e vinto dai Pooh con la splendida “Uomini soli”. Per fare questo e capire che aria tiri al Festival, approfittiamo della presenza in Puglia di Red Canzian, storico bassista della formazione musicale più amata dagli italiani (https://www.youtube.com/watch?v=7KRqebRYMdE è il link dell’intervista sul canale di “Costruiamo”). Canzian in rappresentanza anche dei colleghi Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, del compianto Stefano D’Orazio che a quell’edizione c’era.

«Finita la canzone – racconta Red – proprio Stefano mi rifilò una bacchettata, non per riprendermi, del resto avevo cantato bene, ma per scacciare un pipistrello che si era appoggiato a una mia spalla: eravamo al Palafiori e non al Teatro Ariston, e lì dove tenevano la fiera dei fiori, riuscivano ad entrare tutti i tipi di volatili che circolavano nel cielo della liguria, dai passerotti ai piccioni, fino, appunto ai pipistrelli: insomma, andò così quella prima esibizione, preludio a una vittoria meritata, credo…»

 

 

COMICIA DA QUI…

Comincia così il racconto della serie “C’era una volta Sanremo, il festival delle meraviglie…”. Quello con l’orchestra, le due versioni di ciascun brano, poi scavalcato dal playback e, infine, ripreso con una formula che nel tempo ha mantenuto i suoi principali cardini. I Pooh a Sanremo con uno dei gioielli inediti della loro collezione Grandi successi. Lo snodo è una conferenza stampa, protagonisti naturalmente Roby, Stefano, Dodi e Red. «Se al Festival tornerà l’orchestra e gli organizzatori porranno fine al playback, stavolta potremmo farci un pensiero e partecipare…».

Questa la risposta a una provocazione durante una conferenza stampa. C’è un prima e c’è un dopo. Tempo dopo, infatti, Adriano Aragozzini, patron di più di un’edizione della rassegna canora quest’anno a quota settantacinque, chiama i Pooh: «Ricordate quella promessa? “Se torna l’orchestra, noi partecipiamo al Festival!”». «Certo che lo ricordiamo, Adriano – la risposta dei quattro artisti – ma occorre un’altra condizione: dobbiamo avere la canzone giusta, altrimenti Sanremo diventa una passerella e sai quanti non vedono l’ora di darci addosso…».

 

 

CHI APRI’ LA STRADA

Era il 1990, si diceva. La canzone giusta, nel frattempo, i Pooh l’avevano trovata: “Uomini soli”. I Pooh vinsero quell’edizione, l’unica a cui parteciparono come concorrenti, per poi tornare all’Ariston come ospiti e annunciare la reunion che l’anno prossimo porterà il gruppo musicale italiano più longevo a celebrare i sessant’anni di attività.

Per la cronaca. C’è una pugliese in gara, la barese Serena Brancale. Partecipa all’edizione condotta da Carlo Conti e in programma da ieri, martedì 11, a sabato 15 febbraio. Sul palco dell’Ariston la Brancale ha invitato a duettare con lei la salentina Alessandra Amoroso.

Torniamo al passo indietro che sa di storia e Red Canzian, nei giorni scorsi in Puglia per presentare il suo libro di successo “Centoparole – Per raccontare una vita”. Non solo un libro, primo in classifica con le sole prenotazioni, ma anche “Casanova”, primo musical in assoluto ad essere presentato (e replicato) con successo in Cina appena nel gennaio scorso.

I Pooh al Festival di Sanremo, Canzian. «Partì da quella provocazione: in conferenza avevamo dichiarato che se il Festival fosse tornato quello di un tempo, con l’orchestra e il cantante straniero nella doppia versione, avremmo potuto farci un pensierino; in breve, Aragozzini, patron del Festival, alzò il telefono e ci chiamò: “Bene, farò Sanremo proprio come auspicavate, ora non potete tirarvi più indietro”; questo uno dei motivi che ci spinsero verso il Festival; l’altro motivo, direi fondamentale, era che avevamo “Uomini soli”, una canzone che ci avrebbe dato grande soddisfazione a livello artistico: certo, vincere è importante, ma se non fosse accaduto, con un pezzo come “Uomini soli” saremmo cascati in piedi».

 

 

UOMINI SOLI

Canzian e soci non avevano messo in preventivo la vittoria. «Vero – conferma il bassista – tanto che non avevamo nemmeno pensato a scrivere un pezzo per l’Eurofestival, a cui partecipava di diritto chi vinceva Sanremo; avevamo il tour in partenza e al nostro posto ci andò Toto Cutugno, classificatosi secondo a quell’edizione: i Pooh, negli anni hanno rinunciato a realizzare progetti all’estero per dedicarsi al pubblico italiano, una scelta ripagata, se stiamo pensando al tour dei sessant’anni…».

C’era tensione o leggerezza, è il caso di domandarsi. «Leggerezza non direi, quell’anno ne ho vista poca: una volta annunciata la nostra partecipazione al Festival in un programma di Pippo Baudo, i giornali si scatenarono, davano la nostra come una vittoria annunciata, tanto che i colleghi non ci vedevano di buon occhio; Sanremo, da principio lo avevamo considerato come un’occasione per far conoscere una canzone di rara bellezza musicale e di una poetica elevata».

Ripensando a quel Sanremo, ci sarà pure stata un’emozione più forte delle altre. «Sicuramente, fino alle lacrime: noi in quinta, emozionatissimi, nel sentire Dee Dee Bridgewater cantare il nostro pezzo in inglese; e poi, quando ci è stata comunicata la vittoria; eravamo in albergo nella stanza di Emanuele Ruffinengo, nostro arrangiatore: per la gioia saltammo sul suo letto fino a sfondarne la rete!».

 

 

CAPITA A VOLTE…

Canzian, non solo musica, anche un titolo in libreria: “Centoparole”: un firmacopie affollato, quello pugliese. «Lettori in perfetta sintonia – conferma Canzian – sono in molti ad essersi avvicinati a questo mio libro dimenticandosi per qualche istante cosa avessi fatto con i Pooh o da solista, accettando il confronto, spesso ritrovandosi nel significato che ho attribuito a ognuna di queste cento parole; bello sentirsi dire: “mi hai aiutato a riflettere, a stare meglio, a risollevarmi”: un libro lo scrivi per la gente, non certamente per te».

Abbracci infiniti e selfie. «Un affetto così grande credo sia la cosa più bella che possa capitare a uno che scrive un libro, piuttosto che un’opera teatrale, una canzone: quando il lettore si riconosce in quello che hai fatto – e questo mi è capitato di constatare – vuol dire che hai trovato la strada più breve per arrivare al cuore della gente».

Non solo canzoni e un libro, c’è anche un musical, “Casanova”, scritto da Canzian. “Tutto esaurito” nei teatri italiani, stessa sorte nelle scorse settimane in Cina. «Pienone e applausi. Credo siano i frutti della passione, dell’impegno, per giunta non solo mio, ma di tutta la mia famiglia – mia moglie Bea, i miei ragazzi Chiara e Phil – che con compiti diversi ha lavorato alla realizzazione di un’opera straordinaria: pensa, avevamo la richiesta di sette rappresentazioni a Mosca e tre a San Pietroburgo, un invito che abbiamo rimandato a causa della guerra; si è, però, realizzato un sogno: soltanto tre anni fa ero disteso in un letto di ospedale e la mia famiglia, portava avanti la realizzazione di questo musical che stava per partire».

Sogni, bello averne realizzati. «Quando fai il mestiere che hai sempre desiderato fare – conclude Canzian – fai una buona vita, soprattutto hai l’affetto dei tuoi cari e l’abbraccio di tanta gente, ogni giorno, capisci che hai fatto bene. Credo che questo sia il più grande sogno mai realizzato…».

Chi di dazio ferisce…

Trump alza le tasse, la Cina risponde

Prima che sia troppo tardi, l’economia mondiale invita le due potenze a venire a miti consigli. Potrebbe esserci una telefonata fra Trump e Xi’, come primo rimedio. Quella delle tasse più elevate sulle merci importate, potrebbe provocare un effetto a cascata anche sulla Puglia

 

La reazione della Cina non si è fatta attendere. Pechino compie una immediata reazione contro l’aumento dei dazi voluto da Donald Trump. Tutto questo accade nelle ultime ore, in attesa di una telefonata chiarificatrice tra i leader dei due Paesi, USA e Cina, che momentaneamente potrebbe calmare le acque e fare ragionare le due potenze economiche mondiali.

Insomma, Donald Trump e una decisione che sembrava più uno slogan politico, che un programma per porre al centro dell’universo gli Stati Uniti. Una decisione che rischia di compiere un effetto-domino. Stando alle ultime ore, un risultato che non sarebbe assoluto appannaggio di quell’America forte e risoluta voluta dal tycoon. Fra il dire e il fare, per farla breve, ci sarebbe il mare. Quello della Cina. Enorme e minaccioso.

Infatti riguardo i dazi, nota dolente di tutto il programma per rendere più solida l’economia USA, ecco arrivare le prime reazioni che metterebbero il neopresidente con le spalle al muro. Aumentare le tasse sui prodotti importati fra il 10% e il 25%? Bene, ora c’è la Cina, che risponde e rilancia ponendo più o meno le stesse condizioni “svantaggiose” in senso opposto. E, allora, vedremo quando dagli Stati Uniti le esportazioni dovranno prendere la strada della Cina, per esempio. O saranno indirizzate in Europa.

 

 

PUGLIA, OCCHIO…

Finiamo di compiere un primo giro “intercontinentale”, per poi provare a capire anche cosa potrebbe, di sponda, capitare alla nostra Puglia.

Ma andiamo per gradi: Pechino risponde ai dazi del 10% a tutte le importazioni “made in China” volute da Trump, approva una serie di misure che prendono di mira il carbone e il gas naturale liquefatto (Gnl) con aliquote del 15%, più un’ulteriore tariffa del 10% su petrolio, attrezzature agricole e alcune automobili. Come riporta l’agenzia giornalistica italiana Ansa, questo pacchetto di iniziative confermate dal Ministero delle Finanze cinese, sono state evidentemente imposte per contrastare i piani annunciati nei giorni scorsi dal presidente USA. Ed entreranno in vigore, non fra un mese, due mesi: nient’affatto, il tutto partirà, senza se e senza ma, da lunedì 10 febbraio.

Naturalmente, secondo un plausibile effetto-domino, la decisione assunta da Trump, cioè di imporre dazi del 25%, fra gli altri, a Canada e Messico, e – si diceva – del 10% contro la Cina, con l’annuncio che a breve toccherà anche all’Europa, non può che mettere in allerta gli imprenditori pugliesi. I dazi porrebbero un freno agli scambi commerciali con gli Stati Uniti, con effetto a cascata sulla nostra economia che non se la passa bene. È quanto emerge dal nuovo studio condotto dal data analyst Davide Stasi, responsabile dell’Osservatorio economico Aforisma e cultore della materia in Economia politica all’Unisalento, e riportato dal quotidiano pugliese l’Edicola nelle sue due edizioni, quella pugliese e quella nazionale.

 

 

E STASI, L’ANALISTA, SPIEGA

«I dazi – spiega l’analista – di norma sono pagati da chi importa le merci; spesso costituiscono un freno al commercio, perché alzano i prezzi e rendono alcuni prodotti meno convenienti: vengono introdotti oppure incrementati anche per tutelare il mercato interno di un Paese, ricorrendo alla giustificazione di voler contrastare frodi o traffici illeciti o per ridurre la libera concorrenza».

Un esempio. «L’Unione europea – spiega Stasi – aveva stabilito di alzare i dazi sulle importazioni di auto elettriche cinesi, con l’accusa di aver causato un danno economico ai produttori europei». Si tratta di imposte indirette sui consumi, che colpiscono così la libera circolazione dei beni da uno Stato all’altro. Vengono pagati normalmente alla dogana dall’importatore o dall’esportatore, tramite una dichiarazione doganale. Solo una volta compiuto il pagamento, la merce può circolare in un determinato mercato. Il principale effetto è quello di elevare i prezzi al fine di ridurre l’acquisto di una determinata merce all’interno del proprio Paese. È un intervento, dunque, di politica protezionistica, che punta a proteggere la produzione nazionale da fattori esterni.

«Verso gli Stati Uniti d’America – prosegue l’esperto – esportiamo prodotti più di quanti ne importiamo». Negli ultimi anni, per via dell’inflazione, sono aumentati i prezzi determinando un importante e crescente surplus commerciale per il Meridione. Questo si verifica quando un Paese esporta beni per un valore maggiore di quello che importa; viceversa, gli Stati Uniti d’America hanno un deficit commerciale o una bilancia negativa.

 

 

BILANCIA COMMERCIALE POSITIVA

Nel 2021, scrive ancora l’Edicola, riportando un’analisi dettagliata, sono stati esportati beni, dalla Puglia verso gli Stati Uniti, per un valore complessivo di 734,9 milioni di euro, a fronte di importazioni che si sono fermate a un miliardo 457,7 milioni di euro, per un saldo attivo di 277,2 milioni di euro. L’anno dopo sono stati esportati beni per un valore complessivo di 892,2 milioni di euro, a fronte di importazioni che si sono fermate a un miliardo 643,1 milioni di euro, per un saldo attivo di 249 milioni di euro. L’anno scorso sono stati esportati beni per un valore complessivo di 992,1 milioni di euro, a fronte di importazioni che si sono fermate a un miliardo 710,2 milioni di euro, per un saldo attivo di 281,9 milioni di euro. Da gennaio a settembre 2024, sono stati esportati beni per un valore complessivo di 726,4 milioni di euro, a fronte di importazioni che si sono fermate a un miliardo 553,5 milioni di euro, per un saldo attivo di 172,9 milioni di euro. Ad oggi, la bilancia commerciale per il Mezzogiorno è positiva.

Dall’altare alla polvere

Accusa grave e arresto per Radja Nainggolan, già calciatore di Cagliari, Roma e Inter, ma rilasciato in queste ore

Fulmine a ciel sereno ad inizio settimana. La Procura belga spicca un mandato di arresto. L’accusa è di quelle gravi: traffico internazionale di droga. «Anche se il giocatore figura tra gli arrestati, nel rispetto della presunzione di innocenza, alla stampa non verranno fornite ulteriori informazioni», ha dichiarato il procuratore. Nelle ultime ore modificato il capo d’accusa  

 

Radja Nainggolan, ex giocatore di Cagliari, Roma e Inter, nonché della Nazionale belga, è stato arrestato: l’accusa, pesante, è di traffico internazionale di droga. Secondo quanto riferito dalla procura di Bruxelles, l’indagine riguarderebbe il traffico di cocaina in arrivo dal Sud America, che farebbe scalo al porto di Anversa per essere “spacchettata” in tutto Belgio.

Questa la notizia, nuda e cruda, come si dice. Spiazzati in molti. Quanti amano il calcio e quanti erano affascinati dalla filosofia fuori dal coro di un calciatore che più volte aveva manifestato di non gradire certe regole rigide applicate al calcio e, naturalmente, la vita da atleta. Per farla breve, il messaggio che faceva passare Radja, giocatore dalla tecnica sopraffina, era che “la vita è una sola e, allora, vale la pena viversela fino in fondo”. Non si può dire con buona pace dei tecnici che hanno spesso sbattuto contro il carattere del giocatore belga che, non ne faceva mistero, amava gli eccessi e un po’ meno gli allenamenti che qualche volta aveva disertato perché, per dirla tutta, “impresentabile”.

 

 

ACCUSA, NON CONDANNA

Ma stavolta l’accusa è di quelle toste. Insomma, non si tratta di aver fatto le ore piccole spendendo in una notte il guadagno di un anno di attività, oppure aver alzato il gomito, essere stato fermato da una pattuglia della polizia a tarda ora o per essersi presentato ad un allenamento troppo su di giri. Radja non ha mai fatto mistero. Anzi, a carriera più o meno finita, provava quasi piacere a raccontare le sue avventure fuori dal campo, qualche braccio di ferro con un tecnico, il biasimo nei confronti di colleghi che, invece, sputavano sudore durante le sedute di allenamento. E poi, poi succede. Succede che Radja, sul quale pendono accuse pesanti, non una condanna – è bene essere garantisti fino alla fine – finisce nell’occhio del ciclone. Qualcuno si toglie un sassolino da una scarpa e fa un titolo feroce (e questo non sta bene…), qualche altro scrive di un finale annunciato (quando ancora devono essere completati i capi d’accusa, non la condanna…). Insomma, tutti contro Radja, come è consuetudine in un Paese nel quale, soleva ripetere il grande Ennio Flaiano, «Gli italiani vanno sempre in soccorso al vincitore». Dunque, se c’è – a prima vista – un perdente, «Dagli al perdente!», dagli a Nainggolan, perdente pronosticato.

 

 

PRESUNZIONE D’INNOCENZA

Detto che le accuse sono una cosa e la condanna definitiva tutta un’altra cosa, proviamo ad attenerci ai fatti e raccontare questo fulmine a ciel sereno abbattutosi sul calcio, ma anche sulla cronaca, considerando che Radja era più volte apparso nelle cronache rosa.

Lunedì mattina vengono effettuate una trentina di perquisizioni domiciliari a Bruxelles e nella periferia della capitale. Tra queste perquisizioni, anche una delle case del calciatore belga. «Radja Nainggolan ha risposto a tutte le domande e sta collaborando alle indagini della polizia, il calciatore nega ogni coinvolgimento in questo dossier», ha dichiarato ieri, a caldo, il suo legale.

Sempre ieri, fonti belghe riportavano che durante l’operazione erano state subito arrestate sedici persone, compreso Radja, sequestrati centinaia di migliaia di euro in contanti, oltre a orologi di lusso, gioielli, un centinaio di monete d’oro, diverse armi, giubbotti antiproiettile, tre chili circa di cocaina e quattordici veicoli. «L’inchiesta si basa su presunti fatti di importazione di cocaina dall’America del Sud all’Europa via il porto d’Anversa, e la distribuzione in Belgio», ha dichiarato il procuratore Julien Moinil, «il calciatore figura tra gli arrestati e, nel rispetto della presunzione di innocenza, alla stampa non verranno fornite ulteriori informazioni». Naturalmente è bene augurarsi il meglio per un atleta che per lunghi tratti della sua attività ha rappresentato un modello da seguire. Di storie e vicende su questo sito ne abbiamo raccontate. Di solito abbiamo tessuto le lodi di un percorso al contrario davanti al quale l’ex Cagliari, Roma e Inter, oggi – secondo le accuse – si troverebbe, cioè passare dall’altare alla polvere e non viceversa.

 

ULTIM’ORA

Ma ecco una ultim’ora, che in qualche modo riformula il capo d’accusa. L’ex giocatore di Cagliari, Roma e Inter, Radja Nainggolan in queste ore è stato rilasciato dalle autorità belghe. Attualmente, in libertà vigilata, non può lasciare il Belgio. Questa la decisione del gip dopo il doppio interrogatorio al centrocampista, arrestato nell’ambito di un’indagine sul traffico internazionale di droga.

«Radja spera di potersi lasciare rapidamente tutto alle spalle e tornare a giocare a calcio», ha spiegato agli organi di informaziine belgi l’avvocato del giocatore, Omar Souidi. «Non è stato accusato di traffico di droga o riciclaggio di denaro, ma come membro di un’organizzazione criminale. Tuttavia confidiamo che ulteriori indagini dimostreranno che non ha colpe. Radja Nainggolan non è un criminale della droga», ha aggiunto il suo legale.

Ve la do io l’America”

Donald Trump, quarantasettesimo presidente degli USA

Ribadisce le sue posizioni intransigenti del suo programma elettorale. Pone alla firma un centinaio di ordini esecutivi. Comincia dalla “deportazione di milioni e milioni di clandestini”. Proclama l’emergenza al confine col Messico, promette di piantare la bandiera a stelle e strisce su Marte, intende riprendersi il Canale di Panama. E, ancora, cambiare il nome al Golfo del Messico (“Golfo d’America”), riconoscere due soli generi (maschile e femminile)

 

Se devi dire una bugia, dilla grossa. Così, più o meno, recitava il titolo di una commedia, nemmeno a dirlo, americana. Dove i film sanno farli, considerando le risorse economiche e hanno un bacino d’utenza esagerato, considerando la lingua inglese che ormai parlano in mezzo mondo. Dunque, deve essersi sentito su un set cinematografico, ripreso da cineprese poste in mille angoli, Donald Trump, quarantasettesimo presidente della Repubblica degli Stati Uniti, per dire tutto quello che ha detto nel suo discorso d’insediamento alla Casa Bianca. Lo aveva promesso in campagna elettorale, tanto che i punti salienti della sua seconda ascesa al Campidoglio avevano del clamoroso, più che sembrare programmi politici. Invece, il presidente americano, non solo non fa un passo indietro, ma ne compie uno deciso in avanti, tanto da scatenare commenti non sempre condivisi o magnanimi nei suoi confronti.

Trump giura a mezzogiorno in punto, promette all’America che lo ha eletto una “nuova età dell’oro”. Fra gli altri passaggi, grazia i rivoltosi di Capitol Hill, pone uno stop agli accordi di Parigi e allo Ius soli, dunque contro gli emigranti. Spettacolarizza, strappa applausi dalla claque, qualche sorrisino stiracchiato dalla platea nella quale siedono ex presidenti, quando ricorda il fallito attentato ribadendo di essere “stato salvato da Dio per rendere l’America di nuovo grande”. Insomma, cose così.

 

 

DECRETI PRONTI…

Dunque, pone alla firma un centinaio di ordini esecutivi: la “deportazione di milioni e milioni di clandestini” – parole del neopresidente – con la proclamazione dell’emergenza al confine col Messico alla bandiera Usa da piantare su Marte, la ripresa del Canale di Panama, il cambio di nome del Golfo del Messico “in Golfo d’America”, dal riconoscimento di due soli generi (maschile e femminile) all’abolizione – come si diceva – dello Ius soli e, alla fine, della strumentalizzazione politica della giustizia.  

Secondo Donald Trump, “il declino del Paese è finito, da oggi comincia una nuova età dell’oro per invertire completamente tutti questi numerosi tradimenti e restituire al popolo la sua fede, la sua democrazia e la sua libertà; basta con l’élite estremista corrotta!”, proclama. Fra i suoi primi provvedimenti, subito una correzione in corso d’opera degli accordi siglati a Parigi da Biden: la revisione circa gli impegni assunti a Parigi sul clima; la dichiarazione di un’emergenza energetica per produrre più combustibile, l’abolizione del mandato per produrre più auto elettriche.

 

 

…DONALD FA SUL SERIO

Non è finita. Nelle dichiarazioni del tycoon, come riporta, puntuale, l’Agenzia Ansa, insiste la minaccia dei dazi, anche se forse non scatterebbero subito. “Deporterò milioni e milioni di migranti illegali”, insiste, annunciando la dichiarazione di emergenza al confine col Messico e l’invio dell’esercito. Fra i suoi programmi, non del tutto semplici, sia chiaro, l’avvio delle procedure per cambiare il nome al Golfo del Messico, trasformandolo in Golfo d’America. Sferra una bordata ai traffici illeciti, considera i cartelli della droga “vere organizzazioni terroristiche straniere” fino ad abolire lo Ius soli, uno dei massimi princìpi della democrazia americana. E, ancora, la ripresa della costruzione del muro con il Messico.

Questo è solo un assaggio del new deal americano, il nuovo risvolto di una politica che, secondo, il neopresidente porrà al centro del mondo gli Stati Uniti. Sarà un braccio di ferro non indifferente. Fra il dire e il fare, si dice, c’è di mezzo il mare. Pardon, il Golfo. Che poi sarebbero Paesi come la Danimarca e il Canada, che i loro dubbi non li hanno certamente mandati a dire.

Fosse la svolta buona

Striscia di Gaza, c’è la bozza sulla tregua

Israele e Hamas più vicini. Usa, Quatar ed Egitto a fare da garanti. Al centro della trattativa il rilascio degli ostaggi da ambo le parti. Poi si procederà con la firma. Nessuno sconto, da quel momento in poi per chi trasgredisce
 
Tregua a una svolta. Ma, attenzione, prima fuori gli ostaggi, poi il via al negoziato per porre solide basi e scrivere una volta per tutte la parola fine all’eterno conflitto sulla Striscia di Gaza. In campo, Usa, Qatar ed Egitto a mediare un negoziato sempre complicato, comunque articolato, per dirla in politichese.
Secondo quanto stabilito nella bozza degli accordi, la liberazione di tre donne civili e due bambini, di cui non si hanno più notizie da oltre un anno. Secondo Hamas, donneve bambini sarebbero morti in uno dei raid israeliani.
Settimana prossima toccherà alle cinque soldatesse e alle liste umanitarie delle quali fanno parte donne, anziani, feriti, trentatré ostaggi in tutto. Secondo fonti fonti israeliane gran parte degli ostaggi cui Hanas fa riferimrnto, sarebbe viva.
Insomma, in linea trorica ci sarebbe una buona base di partenza. 
 

 

SCIOLTI ULTIMI NODI

Sciolti i principali nodi della trattativa, si passerà a stilare l’intero accordo nei minimi particolari.
Come, per esempio, il fatto che durante la prima parte della tregua a Gaza resteranno prigionieri altri ventidue ostaggi.
Secondo quanto riportato dall’Agenzia giornalistica Ansa, “nessun terrorista coinvolto nel massacro dello scorso 7 ottobre sarà rilasciato, come da veto imposto da Israele, così come il corpo di Yahya Sinwar non farà ritorno a Gaza”. 
Fra le tante notizie che si sono rincorse nella giornara di ieri, quella che Hamas avrebbe dato il suo benestare al Piano previsto dalla tregua.
Benyamin Netanyahu, intanto, nella serata di ieri ha convocato una riunione d’urgenza con i vertici della sicurezza, senza rilasciare dichiarazioni riguardo la trattativa. Le parole del premier israeliano, sempre secondo l’Ansa, sarebbero state riferite indirettamente dai familiari degli ostaggi incontrati in due diversi momenti:
“Sono pronto per un cessate il fuoco prolungato – quanto raccolto da fonti vicine a Netanyahu – a condizione che tutti i rapiti vengano rilasciati; è questione di giorni o ore: attendiamo la risposta di Hamas e poi lo stop al fuoco può pure iniziare”.
 

 

NON CI SARANNO VIOLAZIONI

“Inoltre – è stato aggiunto – quando Donald Trump entrerà alla Casa Bianca, le regole del gioco cambieranno sostanzialmente: :ogni violazione del cessate il fuoco riceverà una risposta dura e potente, e una forma di combattimento che non abbiamo ancora visto”.
Nella serata di ieri, i Paesi mediatori, Usa, Qatar ed Egitto, hanno riferito ad Israele un ritardo nella risposta ufficiale di Hamas, su cui stanno esercitando pressioni. In risposta a questa considerazione, da parte palestinese immediata la risposta mediante l’agenzia tedesca Reuters: “A Gaza – hanno fatto sapere – siamo in attesa della mappa del ritiro dell’Idf dalla Striscia”. Controrisposta: i funzionari di Gerusalemme hanno alleggerito la tensione dichiarando alla tv pubblica Kan che “la risposta potrebbe arrivare in qualsiasi momento: siamo agli sgoccioli”.