Ahmad, circondato da gente esasperata, crolla per infarto

Lucia Goracci racconta l’esperienza drammatica vissuta insieme con i suoi due compagni di viaggio. «Hezbollah non c’entra nulla, si è trattato solo di uno sfogo senza alcun risvolto politico», spiega. «Abbiamo perso uno splendido compagno di lavoro, profondo e dotato di grande dolcezza», prosegue la giornalista Rai. La scia di sangue non si ferma…

 

Troupe del Tg3 Rai aggredita in un villaggio del Libano appena bombardato. La notizia la fornisce per primo il notiziario di rete. Notizia di prima mano fornita dalla stessa Lucia Goracci, una delle giornaliste italiane più impegnate nel raccontarci i danni che provocano i conflitti in Medio oriente, in particolare quelli che sta provocando quest’ultimo conflitto con Israele impegnata in una guerra senza un attimo di pausa a Palestina e Libano.

Durante il Tg3 di martedì scorso, la Goracci racconta l’aggressione. Non è l’unica ad averla subita, c’è purtroppo anche un morto nella troupe, Ahmad Akil Hamzeh, l’autista colpito da infarto che scortava la giornalista e Marco Nicois, il cameraman.

«Siamo a nord di Sidone – racconta in una concitata diretta al Tg3 Lucia Goracci – sul luogo del bombardamento; la nostra presenza era stata segnalata dal fixer, Kinda Mahaluf, a Hezbollah. Marco, il cameraman, stava riprendendo quanto accaduto senza problemi, la gente, disperata, ci parlava; quando ad un certo punto è spuntato un uomo che ha tentato di strappare la telecamera all’operatore: avvertendo questa minaccia siamo tornati in auto pronti per allontanarci in fretta».

 

 

UN RACCONTO DOLOROSO

Prosegue il racconto. «In quel momento sono arrivati altri, anche loro a spintonarci, mentre il primo uomo insisteva provando a scagliarci contro una grossa pietra; scena controversa: c’era chi lo tratteneva – spiegandogli il nostro lavoro – e chi lo aizzava; siamo andati via veloci in auto, mentre sempre lo stesso uomo – quando il nostro autista si è fermato ad un distributore – ci è venuto addosso, ha strappato le chiavi dalle mani all’autista tentando di rompere la telecamera a Marco, tutto questo infilandosi all’interno del mezzo attraverso i finestrini aperti: nessuno, nel frattempo, ci veniva in aiuto».

Gli aggressori non avevano insegne – racconta l’agenzia Ansa – non erano armati, ma la paura fa presto a salire in zona di guerra e, prima che venisse alla luce che si trattava solo di uno sfogo disperato, Ahmad, l’autista libanese, si è accasciato a terra, stroncato da un infarto. Per l’inviata Lucia Goracci, Marco, l’operatore, e Kinda, la fixer, rimasti incolumi, sono stati minuti da incubo, con il fiato sospeso anche ai piani alti della Rai.

L’episodio ha inizio in una concitata mattina alle nove, a Jiyeh, città tra Beirut e Sidone. Nell’inaudita gragnuola di fuoco sul Libano, un bombardamento aveva già centrato e disintegrato alcune case. Al Tg3 hanno intenzione di documentare, mantenendosi a distanza di sicurezza e con tutti i permessi necessari, l’avanzata della minaccia israeliana. In tutte le zone costiere l’Idf ha diramato uno stato di allerta ai residenti. La giornalista prova a rivolgere una domanda a una donna.

 

 

AHMAD, IL CUORE NON HA RETTO

Ed è proprio in quel momento che un certo numero di persone esagitato si scatena contro la troupe. L’impressione che i tre, giornalista, operatore e autista, abbiano a che fare con bande armate politicizzate. La troupe si rifugia nel mezzo: uno degli aggressori, il più esagitato, è trattenuto da alcuni e istigato da altri. Vuole rendere inutile la telecamera, così scaglia un sasso all’interno del mezzo.

Ahmad, autista esperto, fede sciita, sa come controllare i nervi. Senza agitarsi più di tanto, mette in moto l’auto e si dirige verso Beirut, inseguito dall’aggressore più scatenato che segue la troupe a bordo di uno scooter. Forse per ricondurre l’uomo che più degli altri appare esasperato alla ragione, o forse perché accusa i primi sintomi di quello che sarà un malore fatale, si ferma ad una stazione di servizio. Prova a parlare con l’uomo, vorrebbe forse ridurlo alla ragione, ma non ci riesce. Qualche momento dopo, a causa di una cardiopatia e alla paura, Ahmad si accascia a terra: è il suo ultimo segno di vita.

«A chiamare l’ambulanza – ha raccontato alla stessa agenzia Ansa Lucia Goracci – è stato lo stesso aggressore, poi dileguatosi mentre sul posto si raccoglievano un po’ di persone che hanno tentato invano di soccorrere Ahmad».

«Hezbollah non c’entra nulla – conclude Goracci – si è trattato solo di uno sfogo senza alcun risvolto politico, frutto della tensione diffusa tra la popolazione delle aree sotto attacco; tutto si è svolto nel giro di pochi minuti: Ahmad era uno splendido compagno di lavoro, profondo e dotato di grande dolcezza». E, purtroppo, aggiungiamo noi, la scia di sangue non si ferma davanti al povero, incolpevole Ahmad.