«Torniamocene a casa!»

Telefonate dal fronte, parlano i soldati russi

Il governo ucraino ha intercettato conversazioni fra militari russi al fronte e parenti in patria. «Siamo allo stremo, c’è chi scompare, chi torna nel proprio Paese…», dicono. E una mamma suggerisce una soluzione, seppure dolorosa: «Figlio mio, ferisciti a una gamba o lanciati da un carro armato, così ti rispediscono da noi!»

war-7065079_960_720«Se non c’è altro sistema, figliolo mio, lasciati ferire così puoi tornartene a casa e non proseguire questa guerra!». Che, con ogni probabilità, come ogni guerra, non porterà niente di buono se non morti, feriti, distruzioni, pianto, dolore incalcolabile.

E’ il succo di una nuova intercettazione resa nota dalle autorità ucraine: un soldato russo, ridotto allo stremo da freddo, fame e sete, parla con la mamma che lo aspetterebbe a casa. Nella chiacchierata intercettata registrata dal Governo di Kiev, la donna consiglierebbe al giovane figliolo mandato al fronte da Putin di farsi ferire per poter lasciare il fronte e tornare finalmente a casa.

La telefonata, scrive il quotidiano “Il Giornale”, sarebbe stata intercettata dalla direzione principale dell’Intelligence del Ministero della Difesa ucraino. Stessero così le cose, l’idea porta alla grave demotivazione dalla quale sarebbero state investite parte delle truppe russe inviate sul fronte ucraino.

A tre mesi dall’inasprimento del conflitto fra Russia e Ucraina, si registrano ulteriori fatti che portano a momenti di grave stanchezza e conforto. Nella telefonata fra soldato e mamma, ripresa e diffusa dalle autorità ucraine, il giovane spiega alla mamma i motivi dello scoramento che lo stanno conducendo ad abbandonare il campo.

«PERCHÉ DOVREBBERO ARRENDERSI?»

«Perché mai gli ucraini dovrebbero arrendersi? Siamo o non siamo nella loro terra? Questo conflitto non finirà presto: a cosa ci serve questa guerra, a ragazzi come me di soli venti anni: a me, francamente, dell’Ucraina non interessa niente, non vedo altra soluzione che tornare e dimettermi!», è la dichiarazione del giovane soldato resa alla madre e riportata da “Il Messaggero”. Sempre il soldato racconta di aver avuto un comandante che, pur di lasciare l’Ucraina e fare ritorno in patria – scrive il quotidiano romano – ha preferito spararsi a una gamba. E la madre del giovane soldato, assalita dalla paura che attanaglia il figlio, ascolta le parole del figlio. La donna è stupita dal fatto che molti dei soldati andati al fronte non condividano la politica del presidente che ha dichiarato guerra all’Ucraina.

La telefonata fra madre e figlio prosegue. Il ragazzo spiega alla mamma gli aspetti tragici che osserva un giorno dopo l’altro. «I nostri soldati scompaiono da soli, senza che nessuno li intercetti; qualcuno è stato fatto prigioniero, altri si nascondono, infine altri stanno tornando in patria». E la mamma, più o meno prudente, suggerisce una via di mezzo per evitare guai seri: «Non spararti alla gamba, correresti seri rischi una volta tornato in Russia: l’unico rimedio è che sia qualcuno a ferirti».

ukraine-7083772_960_720«NON SPARIAMO SUI BAMBINI!»

La registrazione resa nota dall’Intelligence di Kiev prosegue. Il militare russo che sarebbe stato intercettato – secondo qualcuno potrebbe essere propaganda ucraina, anche se trattasi di tesi debole – racconta di un’operazione effettuata in un villaggio alcuni giorni prima. «Un ufficiale – aveva detto un soldato – ci aveva ordinato di usare delle granate, ma per fortuna non lo abbiamo fatto: dentro quelle case c’erano quattro bambini!».

Stando a quando reso noto dalle autorità di Kiev, non si tratterebbe del primo documento audio dal quale un militare russo starebbe pensando di abbandonare il fronte, tornare a casa o darsi alla macchia. Una cosa è certa, sono sempre meno quanti approvano la guerra fra i due Paesi. L’Europa dovrebbe rompere gli ultimi indugi e prendere posizioni ponendosi al centro di un negoziato che riporti la pace fra Russia e Ucraina. Più semplice dirlo che farlo, ma episodi simili, sempre più frequenti sottolineano – se ce ne fosse stato ancora bisogno – di quanto fare ricorso alle armi sia la cosa più sciagurata a cui l’uomo potesse fare ricorso.

«Sotto una pioggia di bombe»

Storie di ucraini e moldavi, in Italia

Racconti fra paure e pianti. «C’è chi arriva e chi parte: gli anziani, che in passato hanno già dato, si riparano nel resto d’Europa», dicono due badanti. «Non dimenticherò l’abbraccio e il pianto di Maria, che ha lasciato l’Italia per raggiungere il figliolo di venti anni: il ragazzo non ha mai visto una pistola e ora dovrà sparare contro suoi coetanei che, come lui, non sanno cosa sia una guerra»

«Non dimenticherò mai l’abbraccio di Maria, la badante di papà, non appena la situazione in Ucraina stava prendendo una brutta piega: piangeva e spiegava, nel suo italiano, ma soprattutto con i suoi occhi, come fosse possibile che suo figlio, appena ventenne, la testa ancora sui libri, mai vista una pistola in vita sua, fosse stato chiamato a combattere per la patria e sparare contro ragazzi della sua età».

Grazia, modenese, è una delle tante italiane ad aver dato assistenza e lavoro a una ucraina. Maria, una donna diventata, come spesso accade in storie simili, una della famiglia. «Ci siamo strette un istante o un eternità, ricordo però le sue braccia intorno alle mie spalle, mi trasmettevano da un lato tanta forza e dall’altra preoccupazione, tanta preoccupazione: come se Maria in quel momento si stesse aggrappando a una delle poche certezze che le erano rimaste: l’affetto sincero di chi, come me, ma anche altri miei concittadini, e non solo, abbiamo saputo dare a lei e suoi connazionali».

Anche quando prova a spiegare, a dare un senso a qualcosa di disastroso come una guerra, specie di questi tempi, dove basta schiacciare un bottone per fare una strage, Grazia non riesce a trattenere il dolore. «E’ andata via – spiega – quasi corresse a prendersi la sua razione di bombe, comunque a fare la mamma, da scudo al suo ragazzo, poco più di un bambino: è una pazzia, provate a pensare un solo istante ai nostri ragazzi di un qualsiasi liceo, rastrellati da eserciti civili che distribuiscono armi e munizioni?».

Foto La Stampa

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AGI SUL PEZZO

Le agenzie giornalistiche, fra queste l’Agi, che da prima che scoppiasse il conflitto in Ucraina, sta svolgendo un puntuale lavoro di informazione, documentano queste e altre storie. Cose che non avremmo mai voluto scrivere, specie, come spiegava Grazia, all’alba di un Ventunesimo secolo, nel quale è sufficiente uno schiocco delle dita per radere al suolo un intero Paese.

C’è chi è arrivato da pochi giorni e ha negli occhi ancora le lacrime e sul volto la paura della guerra, spiega l’Agi in un suo reportage. Chi è qui, in Italia, da qualche anno, ma è preoccupato per i propri familiari, bloccati in Ucraina. E, infine, chi cerca di dare loro una mano: italiani generosi che portano medicine e beni di prima necessità nelle parrocchie dove si raccolgono scatoloni pronti per essere inviati a chi ha più bisogno di noi.

«Non parlo bene la vostra lingua, sono arrivata da poco in Italia, ma provo lo stesso a spiegarmi perché la gente sappia: in tutti questi anni la Russia, ovunque abbia messo mani, ha seminato guerra e rovine», racconta una ucraina di sessant’anni. «Conosciamo perfettamente cosa sia il sacrificio, tanto che alla mia età per aiutare i miei ragazzi, la mia famiglia, non appena una mia amica, già in Italia, mi ha prospettato la possibilità di lavorare qui, non ci ho pensato su due volte: un grande dolore lasciare il mio Paese, un grande dolore tornarci; evidentemente la sofferenza fa parte del nostro vivere, o non vivere, quotidiano».

Nella stessa situazione della donna sessantenne, non unica in questa situazione, altre sue connazionali. «La mia famiglia è lì, il mio cuore lì, con loro: mio figlio, mio marito e i miei nipoti», dice un’altra donna, origini moldave, ma da anni in Ucraina, «da quando, cioè, la Russia ha deciso di invaderci daccapo: voi, In Italia, avete avuto notizie in queste settimane, diciamo dallo scorso 24 febbraio, in realtà sono otto anni che si vive nella paura, le bombe erano già all’ordine del giorno: a nulla erano serviti gli appelli del popolo ucraino, non erano in molti a crederci». «Io, moldava – riprende la donna – ho già superato una guerra, con tutto il dolore, la sofferenza che questa ti trasmette: ci siamo trasferiti in Ucraina e ora è accaduta la stessa cosa; i russi sono così, non cambiano: Georgia, Cecenia e, ora, Ucraina…».

Altro giro, altra storia. Una donna, in Italia da poco meno di vent’anni: «Non dormo la notte – dice, anche lei badante – penso alle telefonate con mio marito e i miei figli, quando ci sono i collegamenti ed è possibile parlarci: purtroppo sono sotto le bombe e io vorrei essere lì con loro; se gli accadesse qualcosa e io fossi ancora qui, non saprei perdonarmelo».

Foto RomaIT

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C’E’ CHI RESTA A COMBATTERE

Non tutti riescono a venire in Italia o comunque a fuggire da un Paese sotto assedio. Qualcuna di queste donne ha avuto la fortuna di riabbracciare i familiari. Non c’è stato bisogno di parlare, si sono abbracciati e scoppiati in un pianto liberatorio. «Ma vogliamo tornare presto in Ucraina – dicono – non adesso, consideriamo l’arrivo in Italia come ad un passaggio obbligato in attesa che qualcuno cominci ragionare: non è proprio possibile che oggi si sentano cose così orribili, che niente hanno di umano»

«I miei parenti sono arrivati dalla Polonia in bus – spiega la donna, abbracciando il marito, poco meno di ottant’anni – con lui, mia nuora, un nipotino, un’amica e il suo figlioletto: mio figlio è rimasto lì, deve aiutare; ha ragione, quando dice che alla sua età non si può scappare: se tutti andassero via, chi resterebbe a combattere per riconquistare la libertà?».

Queste le storie raccolte dalle agenzie. L’Agi ce ne racconta tutti i giorni. Storie che toccano il cuore, spiegano un popolo forte, straordinario, che non ha difficoltà nel difendere la propria posizione fino all’ultimo respiro. «Siamo nati per soffrire – dice un profugo, quasi settantenne – e la sofferenza, purtroppo, è l’unica eredità certa che lasceremo ai nostri figli: io stesso avrei potuto fuggire da ragazzo, ma dove sarei andato? In un Paese che non è il mio? E che opinione avrei avuto di me, in fuga costante? Sono nato in un Paese dell’Est sotto l’egemonia di chi vuole impedire a me ed a milioni come me, di sognare un Paese libero; tornerò, potete starne certi: oggi ho accompagnato i miei cari, ma il mio posto è là, sotto quel cielo di bombe!».

Un battito d’ali…

Figlie e compagne benestanti contro la guerra

Il vento potrebbe cambiare, le “colombe” spazzano i “falchi” e i propositi del “governo di pochi”. La parte più moderna dell’oligarchia, in particolare quella al femminile, si ribella alla politica sanguinosa. Potrebbe essere l’inizio di una svolta. L’atteggiamento spiazza il Cremlino, che però prosegue nell’invasione dell’Ucraina. Corsera percorre un sentiero sfuggito a molti

Foto HuffPost Italia

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Non tutti, viva il Cielo, la pensano come Putin. La Russia si sarebbe sentita minacciata dall’Occidente che aveva aperto una via a poche centinaia di chilometri da Mosca, con il Patto Nato. Questo potrebbe essere stato un tema di discussione, l’apertura di un dibattito internazionale, quando Biden – non ancora presidente degli Stati Uniti – vent’anni prima aveva ammonito l’espansione indiscriminata di Paesi sempre più vicini all’Europa occidentale, e sempre più lontani dal centro dell’Unione sovietica di un tempo. Invece, il presidente russo ha scagliato le sue armate contro l’Ucraina e un popolo inerme, in fuga minacciato da bombardamenti quotidiani che mietono vittime, fra uomini, donne e, soprattutto bambini, come nel caso dell’ospedale pediatrico nel quale hanno perso la vita decine di persone, fra queste, diversi piccoli. Questo difficilmente il mondo lo dimenticherà.

In questi giorni sono stati pubblicati diversi articoli a dare voce a questo o quel rappresentante della politica belligerante russa. In un articolo, puntuale, preciso sotto i diversi aspetti analizzati, scritto da Marco Imarisio e pubblicato sul Corriere della sera, si sottolinea che questi, ormai, non sarebbero più “affari di famiglia, ma di un intero Paese”. Sembravano la conseguenza di un’onda emotiva, scrive infatti il Corsera, i primi “No alla guerra” riportati dai social dalle figlie degli oligarchi russi. Oligarchia, “governo di pochi”. Infatti, due delle eredi più celebri, come Sofia Abramovich, nota per postare su Instagram ogni dettaglio della sua vita sontuosa, e poi Elizaveta Peskova, primogenita del potente Dmitry, portavoce di Vladimir Putin, avevano subito fatto marcia indietro, cancellando le tracce della loro presa di posizione sul web. Dunque, non più sfacciatamente per un tenore di vita permesso dal benessere prodotto dai propri congiunti, tutt’uno con i potenti. Ma una posizione più prudente.

Foto AbruzzoWeb

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DOPO IL DISAGIO, I PRIMI “NO ALLA GUERRA”

Dopo il disagio, come scrive Imarisio, adesso altre defezioni illustri stanno trasformando queste piccole e altolocate ribellioni nell’unità di misura del disagio. Non certo della società russa, basta guardare il tenore di vita delle figlie in questione per capire la distanza che le separa dalla vita quotidiana della Russia profonda, ma di quelle élite che devono molto, quasi tutto, al Cremlino.

Quella stessa élite, scrive il quotidiano, che in questi vent’anni di relativa briglia sciolta si sono trasformate in una immagine lussuosa della Russia cosmopolita, che considera ancora Mosca e San Pietroburgo come un affaccio sul resto del mondo al quale sentono di appartenere. Infatti, volendo mettere in fila l’elenco delle defezioni dall’ortodossia putiniana, emerge il legittimo sospetto che si sia davvero aperta una linea di frattura, forse non solo generazionale.

Dunque, l’analisi del Corsera. Non solo padri allineati e muti contro figlie (e qualche figlio) loquaci e dissenzienti. Ma anche giovani che forse – forse, beninteso – parlerebbero a nome e delle loro famiglie, e, sempre forse, utilizzati per mandare un messaggio. Non si spiega altrimenti la lista sempre più lunga dei distinguo via social operati dai giovani rampolli dell’oligarchia russa. E l’ultima definizione va presa in senso esteso. Non solo quella economica, ma anche quella politica.

Foto TeverePost

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COLOMBE CONTRO FALCHI

Legami all’apparenza indissolubili – conclude Imarisio nella sua lunga analisi sul Corsera – sui quali è stata costruita la storia recente della Russia, che oggi alla prova del salto di generazione appaiono meno scolpiti nel marmo di quanto si pensava. In casa di ogni falco sembra annidarsi una colomba. Anche del più rapace di tutti, come può esserlo il ministro della Difesa Sergej Sojgu, l’uomo che ha assecondato e forse incoraggiato la scelta ucraina.

Alexej Stolyarov, marito di Ksenja, la sua seconda figlia, ha risposto agli auguri di compleanno con un messaggio nel quale sostiene che il miglior regalo possibile sarà la pace. Senza ricorrenze da festeggiare, Karina Boguslasvkj ha scritto su Instagram che occorre chiamare «i nostri cari, “compagni”, “amici”», chiunque possa porre fine «a questa tragedia». Sembra quasi un messaggio all’indirizzo di a papà Irek, deputato di Russia Unita e amico personale di Putin. “Se son colombe, un giorno fioriranno”, auspica Imarisio. Anche dalle parti del Cremlino.

Insomma, secondo il Corsera, se son colombe – riprendendo il concetto appena espresso – sorvoleranno il Palazzo della “politik”, scacciando dalla testa dei guerrafondai “a prescindere”, qualsiasi proposito sanguinoso, con un solo battito d’ali.

Guerre stellari

La Russia provoca dall’alto

«Spiegate al presidente Biden che un deorbit incontrollato potrebbe provocare la caduta di rifiuti cosmici sugli Stati Uniti o sull’Europa», tweetta un ufficiale russo. Il conflitto potrebbe spostarsi sui nostri cieli

Foto adnkronos

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Non sappiamo quanto durerà il braccio di ferro fra la Russia, che nei giorni scorsi ha invaso sanguinosamente l’Ucraina, e gli Stati Uniti, le forze della Nato e l’Unione europea. Tutti si augurano naturalmente che quanto stiamo assistendo in questi giorni non si trasformi in un incalcolabile conflitto da Terza guerra mondiale.

In queste ore il TGCOM sta disegnando scenari impensabili, ma in che in una guerra moderna potrebbero non essere troppo lontani dalla realtà. Roba da Guerre stellari, insomma, oppure da Giochi di guerra, senza andare troppo lontano da sceneggiature cinematografiche che di conflitti fuori dal normale ne aveva fatto film campioni d’incasso.

Dunque, non solo immagini da satelliti spia dal cielo, descrive il notiziario delle reti Mediaset. Gli squilli di guerra ai quali stiamo assistendo in questi giorni, a proposito del conflitto russo-ucraino pare stia scrivendo una nuova pagina nell’ambito della propaganda “spaziale”, che vedrebbe loro malgrado i pacifici astronauti in orbita, russi, europei e americani insieme da oltre vent’anni, a bordo della Stazione spaziale internazionale.

Foto Repubblica.it

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CHE SUCCEDE?

Cosa sta accadendo. Pare che il capo dell’Agenzia spaziale russa (Roskosmos), Dmitry Rogozin, documenta TGCOM, abbia risposto alle sanzioni tecnologiche imposte dagli Stati Uniti dopo l’invasione dell’Ucraina, con una serie di messaggi minacciosi. «La Stazione spaziale internazionale – scrive Rogozin – potrebbe precipitare sugli USA, l’Europa o qualche altro Paese, ma non sulla Russia: siete pronti?». In guerra vale tutto, ma ha qualcosa di inquietante il tweet in questione, come riporta Repubblica. Sarebbe a dir poco sibillino, e anche un po’ provocatorio. Un tweet al veleno. «Biden – scrive Rogozin – ha affermato che le nuove sanzioni influenzeranno il programma spaziale russo. Ok. Restano da capire i dettagli: “Vuoi distruggere la nostra cooperazione sulla Iss? Oppure vuoi gestire tu stesso la Iss? Spiegate al presidente Biden che la correzione dell’orbita della stazione, per evitare pericolosi scontri con i rifiuti spaziali, con cui i vostri talentuosi uomini d’affari hanno inquinato l’orbita vicino alla Terra, è prodotta esclusivamente dai motori delle Navi cargo Progress MS. Se bloccate la cooperazione con noi conclude – chi salverà la Iss da un deorbit incontrollato e dal cadere sugli Stati Uniti o sull’Europa?».

Foto adnkronos

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CONCLUDENDO…

Insomma, riportano TGCOM e Repubblica, quando c’è da evitare detriti spaziali la Stazione spaziale sfrutta i motori delle navette cargo russe, le Progress, che sono attraccate al laboratorio orbitante. Senza quelle, un possibile impatto con un detrito spaziale potrebbe mettere a rischio la Stazione, che ospita americani, russi ed europei. Attualmente occupano la Iss quattro astronauti Nasa, due russi e un europeo dell’Esa di nazionalità tedesca.

Ma per la Nasa non si ventilerebbe alcun pericolo per la Stazione Spaziale: la guerra in Ucraina e le sanzioni non metterebbero in pericolo la Stazione Spaziale Internazionale, che prosegue normalmente le sue attività. Chiarisce il concetto il messaggio del portavoce della Nasa Joshua Finch.”La Nasa – dichiara – continua a lavorare con tutti i suoi partner internazionali, compresa l’agenzia spaziale russa Roscosmos, per garantire la sicurezza delle operazioni sulla Stazione Spaziale”. Sicuramente più diplomatico l’intervento che arriva dagli States, rispetto a quello un po’ spaccone del militare russo. Ma, si sa, a ognuno il suo. Meglio che a una guasconata qualcuno risponda in punta di penna. E’ solo il primo atto di un dramma che nessuno si augura possa assumere i contorni di una tragedia di statura mondiale.