Red Canzian ricorda D’Orazio
«In qualsiasi momento avessi bisogno, lo trovavi a un passo da te. Operato al cuore, al mio risveglio, con mia moglie e i miei figli, lui era lì. Quando aveva dubbi su un nuovo concerto, mi interpellava: ero il suo “geometra” di riferimento. Lo ricorderò con una canzone, non una reunion: sarebbe stato il primo ad opporsi. La sua ironia, impagabile».Venerdì sera la sua scomparsa, lunedì l’addio a Stefano D’Orazio, batterista dei Pooh. Lunedì scorso Roma, i suoi “amici per sempre”, Roby Facchinetti, Dodi Battaglia e Red Canzian e Riccardo Fogli, insieme con la moglie Tiziana Giardoni, hanno tributato al grande batterista l’ultimo saluto.
Nonostante il grande dolore, Red Canzian, bassista della formazione musicale italiana più amata accetta di ricordare il suo compagno di viaggio per circa cinquant’anni. Cosa significa perdere un fratello, tale era considerato Stefano D’Orazio, assalito e sopraffatto dal covid?
«Provare un male terribile, per me è stato come perdere più di un familiare, perché è un amico che ho scelto io; poteva restare un buon collega, non è un mistero che ci siano persone che lavorano insieme trent’anni, ma che non diventano mai amici; io, invece, l’ho scelto come amico, una persona alla quale avrei potuto fare riferimento in qualsiasi momento, perché Stefano ci sarebbe stato, come sempre. Quando sono stato operato al cuore nel 2015, al mio risveglio in Rianimazione c’erano mia moglie Bea, i miei figli, Chiara e Phil, e Stefano. Questo ti fa pensare a un rapporto che va ben oltre all’aspetto lavorativo, tanto che il dolore che ho oggi diventa anche rabbia: avrei voluto restituire in qualche modo, anche solo per un attimo, le attenzioni che lui aveva rivolto a me in quell’occasione, tenergli la mano, stargli vicino, provare nel silenzio a confortarlo; ma come non è stato possibile per me, non è stato possibile per la moglie, Tiziana. Questo è stato l’aspetto ancora più doloroso nell’addio a Stefano».
All’interno dei Pooh ognuno di voi aveva un compito. Quanto è stato importante il contributo di Stefano?
«Ricopriva un ruolo importantissimo, era uno che vedeva lontano, tanto da essere stato uno dei promotori dell’automanagement; io mi occupavo delle pubbliche relazioni, della parte grafica, delle copertine, ma la cosa bella che amavo fare con Stefano erano studio e realizzazione dei concerti, dei nostri palchi: lui era un visionario, studiava cose enormi, poi al primo dubbio mi chiamava – essendo il suo “geometra” di riferimento – e mi chiedeva se il progetto potesse stare in piedi: quanti giorni trascorsi, insieme, a disegnare e dipingere…».
Un episodio, fra i tanti, che ricorda.
«“Amici per sempre”. Stavamo ancora brigando, quando a mezz’ora dall’apertura delle porte del palazzetto, mi cadde il pennello nel barattolo di vernice con la quale stavo dipingendo una porta, “zebrata” come il resto del fondale; mi schizzai di brutto: l’alternativa era provare a smacchiarmi ma puzzare di solvente per tutto il concerto, oppure uscire sul palco “a macchie”, optammo per la seconda ipotesi. Ho ricordi bellissimi, a Stefano potevi dire qualsiasi cosa, non se la prendeva mai, anzi ironizzava…».
La storia dei Pooh era finita, ma avevi ancora progetti con lui.
«Uno di questi è già lì, pronto. Oggi assume valore doppio, doloroso e prezioso allo stesso tempo; Stefano, infatti, è venuto in studio e ha cantato su una base parte di “Se c’è un posto nel tuo cuore”, canzone scritta insieme a me e che lui cantava da solo con i Pooh: la condividerò con lui ad ogni concerto, quando la eseguirò con il mio gruppo; e allora, se mai questo covid finirà di farci soffrire, non solo portandoci via la gente che amiamo, e farà tornare finalmente a fare il nostro mestiere, uscirò con questo “live”: oltre a Mario Biondi, Enrico Ruggeri, Marco Masini, persone meravigliose, ci sarà anche la voce di Stefano, il momento più prezioso dello spettacolo nel quale canteremo insieme a grande distanza, purtroppo…».
Nessuna seconda “reunion”, ma c’è anche una sola possibilità di celebrare insieme i Pooh e la memoria di Stefano?
«Assolutamente no, del resto Stefano è stato il primo, con grande onestà, a scendere dal palco: aveva capito che tutto quello che avevamo da dire e da dare lo avevamo già detto e fatto; è venuto con grande fatica alla “reunion” del 2016 e non perché non volesse partecipare, ma perché non era al massimo della sua forma e aveva ormai fatto le sue scelte: è stato sempre un uomo per bene e molto onesto, uno di quelli che non si raccontava bugie davanti allo specchio, esercizio al quale purtroppo molti fanno ricorso; lui aveva detto basta e non credo che a qualcuno possa venire in mente di lanciare questa idea: onorare un amico non è onorarlo con una cosa che lui non avrebbe mai fatto».
Un’idea per ricordarlo.
«Vorrei onoralo aprendo una scuola, come lo stesso Stefano ha cercato di fare: lui amava aiutare, trasferire la sua esperienza ad altri; vorrei onorarlo cantando qualcosa di suo che non ho mai musicato, ma certamente non con una cosa, un tributo per dirla tutta, che lui non avrebbe mai fatto, lo troverei assurdo…».Un light-designer tarantino, Roberto D’Aniello, ha proiettato su un intero palazzo a Taranto, luci colorate con la scritta “Ciao Stefano!”. Vi emoziona sapere che il vostro pubblico non smette un solo istante di amarvi?
«L’Italia è meravigliosa proprio perché nella sua lunghezza, in ogni suo angolo, ha amato la musica dei Pooh e, dunque, noi quattro; era impossibile non voler bene a Stefano: vederlo scappare alla fine dei concerti era una sua abitudine, riteneva di avere concluso sul palco il suo avere e il suo dare; era tutt’altro che snob, non era una persona bisognosa di ulteriori affetti oltre a quelli che aveva ricevuto fino a qualche istante prima: era, piuttosto, un modo delicato di interpretare la vita».
Aveva uno spiccato senso dell’ironia, D’Orazio.
«Mai sentito parlare male di qualcuno; scherzarci sopra sì, ironizzarci anche, ma mai parlare male; non era sua abitudine, del resto una persona intelligente non avrebbe mai preso come offesa una battuta di Stefano per quanto pungente potesse essere: del resto era il primo ad ironizzare su se stesso: un giorno è arrivato alle prove, un po’ ingrassato, esclamò “Aspetto un figlio!”. Questo era Stefano, l’“amico per sempre” che tutti vorremmo avere e che io, per mia fortuna, ho avuto accanto per cinquant’anni».