Alex e Rino, storia di insofferenza e razzismo
Una gara di calcio si trasforma in un ring. Un addetto ai lavori non trova di meglio che offendere pesantemente il tecnico avversario. Scoppia la bagarre, il primo si scusa e si dimette, l’offeso tira dritto. Luigi Garlando, grande giornalista, inviato della Gazzetta dello sport, interviene sul tema. E noi gli siamo grati.
Si fa presto a dire terrone. Non sappiamo cosa, ancora oggi, scatti nella mente di un essere umano, di così cattivo, quando consapevole di offendere pesantemente una persona gli indirizzi espressioni tipo «Terrone!», «Muso nero!». Siamo tutti sulla stessa barca verrebbe da dire, invece, la comunicazione attraverso lo sport più amato del pianeta si trasforma in un doloroso boomerang. Il calcio insegna sempre meno, una volta educava al rispetto dell’avversario, alla stretta di mano a fine gara fra vincitori e vinti, come il “terzo tempo” nella palla ovale inglese.
La storia è quella di due uomini, Rino, meridionale orgoglioso, e Alex, settentrionale nato in provincia di Brescia, altrettanto orgoglioso, supponiamo, se uno scatto d’ira lo porta a tracciare un solco così deciso fra il “suo” Nord e il “nostro” Sud, che poi insieme sono una cosa sola, il nostro Paese, l’Italia.
Fuori dalla retorica, l’episodio di intolleranza si scatena durante una gara di calcio. Da una parte è in gioco il prestigio, dall’altra un piazzamento onorevole, che potrebbe cambiare impercettibilmente, mica tanto, il corso della storia. Eppure c’è qualcosa che esaspera gli animi, a condurre un ospite, un fisioterapista, Alex, ad alzarsi e inveire contro il tecnico avversario, Rino. Quest’ultimo, calabrese purosangue, quand’era in campo non le mandava a dire, seduta stante chiariva con l’avversario. «Cosa vogliamo fare? I cretini e farci male oppure le persone perbene e giocare al calcio? Sappi che, in un modo o nell’altro, io ti seguo». Questo, Rino calciatore, campione del mondo, una bacheca infinita nella quale il trofeo che lo rende più orgoglioso è l’umiltà, la rara arte di imparare qualcosa e da chiunque ogni giorno.GRAZIE, LUIGI…
Dunque, non allontaniamoci troppo dalla sfera e dall’offesa. Luigi Garlando, firma autorevole della “Gazzetta dello sport” e del settimanale “SportWeek”, per il quale cura la rubrica “Con questa mia…”, amico sincero e autore di decine di libri per ragazzi, fra gli altri “Per questo mi chiamo Giovanni” (dedicato alla memoria di Falcone), è intervenuto sull’argomento. Mi ha autorizzato ad utilizzare il suo scritto, carico di metafora e di rara sensibilità, come le stesse cronache che scrive dagli stadi di tutto il mondo. Una lettera aperta che, sono certo, segnerà in modo significativo il dimissionario Alex Maggi (ecco, mettiamoci anche il cognome), reo della grave offesa («Terrone!») all’indirizzo di Rino Gattuso (ma si era già capito…).
Dunque. «Egregio Signor Alex Maggi – scrive Garlando – con questa mia voglio tornare sulla parola “terrone” che lei ha rivolto a Rino Gattuso, sotto forma di insulto colorito, durante una fase particolarmente nervosa di Napoli-Lazio. A freddo lei ha chiesto immediatamente scusa al tecnico del Napoli e gliene do atto. Ma non le scrivo per condannarla o rimproverarla, non ne ho il ruolo né l’intenzione, le scrivo semplicemente per condividere alcune considerazioni dal termine da lei evocato».
Fatta questa premessa, Garlando prosegue. La prima considerazione. «Innanzitutto questa: il pallone è gioiosamente “terrone” per costituzione, perché lo giochiamo con i piedi che sono all’estremo sud del nostro corpo. Come diciamo per disprezzare qualcuno? “Quello ragiona con i piedi…”. Appunto. I piedi, da sempre, godono di pessima letteratura, eternamente contrapposti al cervello che sta a nord, depositario della conoscenza e dell’invenzione artistica. Il calcio ha operato una rivoluzione garibaldina, ha liberato il meridione del nostro corpo riconoscendo ai piedi la facoltà di poetare».
CALCIO, POESIA E VITA
La metafora fra calcio, poesia, vita. «Lei, signor Maggi, è bresciano, se non sbaglio, quindi sa bene che cosa intendo dire. Quanta poesia hanno scritto, a Brescia, Roberto Baggio e Andrea Pirlo? Se lo ricorda quel gol che poetarono insieme al Delle Alpi, contro la Juventus? Lancio transoceanico di Pirlo, aggancio e rete di Baggio. In quale parte colpì il pallone Andrea? In quella inferiore, a sud della sfera, sotto, per farla decollare. E Robi? Pure, a sud, per addomesticarlo con lo stop a seguire più dolce della storia del calcio, portarlo oltre Van der Saar e accarezzarlo in rete. Un meraviglioso gol “terrone”, costruito a sud del pallone. I cross di Garrincha, il cucchiaio di Totti… Tutte le cose più belle vengono create calciando la sfera nella regione meridionale».
Prima di concludere, Garlando pone una domanda al suo lettore-interlocutore, con allegata riflessione. «Sa qual è la cosa veramente importante, signor Maggi? Che il sud del pallone, dopo solo mezzo giro, diventa nord e, dopo mezzo giro, torna sud e poi ancora nord… Una smentita continua. Un pallone che rotola è una lezione di saggezza e di integrazione: sud e nord non esistono. Tutto è relativo. Siamo tutti a sud di qualcosa, siamo tutti terroni agli occhi di qualcuno. Il valore di una persona (e di un pallone) non la dà la provenienza, ma la direzione e le intenzioni. La prossima volta che le capiterà di sbroccare in panchina, se lo ricordi e lasci perdere i punti cardinali. Intanto, da laziale, si goda i gol di Ciro, ragazzo del Sud. Con cordialità, Luigi Garlando». Infine, sgombriamo il campo dall’ultimo dubbio. Garlando, giornalista, cinquantotto anni, all’attivo Champion’s League, Campionati del Mondo di calcio e Olimpiadi in qualità di inviato, è nato a Milano. Era giusto sistemare i proverbiali puntini sulle “i”.