Francesco Grant, artista, tarantino, produttore, disegnatore, giramondo

«Prima di farcela con “A mi me gusta”, due milioni di copie vendute, ho fatto le valigie per gli Stati Uniti. Poi il Giappone, dove hanno grande considerazione della musica italiana. Curo gli storyboard per Benigni e Tornatore. Ho suonato e prodotto per star nazionali e internazionali»

Canzoni e album, milioni di copie vendute in tutto il mondo, collaborazione con artisti italiani e internazionali. Poi il cinema, in veste di disegnatore per realizzare storyboard per Tornatore, Benigni e altri registi. Francesco Grant, artista a tutto tondo, chitarrista, autore, disegnatore, giramondo, si racconta a “Costruiamo Insieme”.

In questo momento qual è il ruolo che ti impegna più degli altri?

«Mi sento chitarrista e disegnatore. Tarantino, innamorato di questa città, alla fine volendo provare a fare ascoltare le mie cose, mi sono trasferito a Roma: la passione, a quel punto, la capitale insegna, in breve si è trasformata in lavoro; in veste di chitarrista mi sono impegnato come session-man, con artisti come Anna Oxa, Paola e Chiara, Alessandro Safina, Gigi D’Alessio, per fare i primi nomi che mi vengono in mente, fino a realizzare una mia produzione discografica, nota in tutto il mondo come Energipsy».

Un progetto, quest’ultimo, che custodisce più di una curiosità.

«Dieci album realizzati e distribuiti in tutto il mondo, a partire dal ’96 con “A mi me gusta”, due milioni di copie vendute, diventato talmente popolare che il pubblico pensava fosse l’ultimo successo dei Gipsy Kings, con cui ho un rapporto molto stretto; loro stessi, quando ci incontrammo, mi dissero “…Ma lo sai che hai fatto un pezzo che sembra nostro?”».

Giramondo, si diceva.

«Considerando la realtà italiana, più complicata di quanto possa sembrare, ne dico una, quella degli Stati Uniti, fui costretto a fare ascoltare all’estero una mia prima produzione, una commistione fra flamenco, word music e jazz. Ho fatto un’altra volta le valigie, sono partito per l’America, ho firmato un contratto e da lì sono partito per il mondo per continuare a realizzare produzioni sempre più vicine alla world music, fino a portarmi a collaborazioni con José Feliciano, un grande, poi Cheyenne, gli stessi Gipsy Kings più volte. Tornando in Italia avevo con me passaporto di “artista internazionale”, insomma avevo dovuto compiere un giro più largo prima che mi conoscessero in Italia».

Su internet, se clicchiamo su uno dei profili dedicati al cinema, troviamo locandine e titoli famosi, dunque collaborazioni.

«L’altra mia passione, il disegno, che coltivavo fin da piccolo a Taranto, a Roma è diventato un lavoro parallelo: prima ho realizzato pubblicità e spot, in seguito storyboard – sequenze disegnate in senso cronologico – a stretto contatto con numerosi registi, gli Oscar Giuseppe Tornatore e Roberto Benigni, poi Lamberto Bava, Francesco Nuti, Giovanni Veronesi con i due “Manuali d’amore”: mi sono specializzato in questo lavoro e, come ciliegie, mi sono arrivate richieste di collaborazione, una dietro l’altra…».

L’estero, una, due volte, una consuetudine.

«Mi ha intrigato l’Oriente, in particolare il Giappone: la prima volta avevo quindici date, sono rimasto lì per oltre due mesi, invitato ad un Festival internazionale, “Italia, amore mio”, questo per dire quale considerazione abbiano della nostra musica nel Paese del Sol Levante».

Aneddoti legati a produttori, registi, musicisti.

«Dunque, come funziona lo storyboard: i registi mi fanno pervenire la sceneggiatura che leggo con molta attenzione, poi li incontro e mi spiegano che tipo di sequenze vogliono realizzare. Un aneddoto, diciamo un paio, divertenti. Primo appuntamento con Benigni in un ristorante di Roma: mi aveva tenuto un posto accanto a lui. Arrivo con qualche minuto di ritardo, per rimediare in qualche modo do la massima disponibilità per il giorno dopo; Roberto, senza farselo ripetere due volte, fissa l’appuntamento alle sette del mattino. “Anche prima, se vuoi…”, rispondo, tanto mi sentivo in colpa. Ci alzammo da tavola, mentre stavamo andando via, Benigni mi raggiunse: “Scherzavo, Francesco, siamo a Roma: qui, prima delle undici, non si carbura…”».

Altra emozione, firmata ancora Benigni.

«Vedermi al cospetto di uno degli artisti più amati, è stata una grande emozione, figurarsi nel vederlo in una stanza mimare il suo “Pinocchio”: “In questa scena, Francesco, voglio che gli si allunghi il naso, poi alcuni strappi, movimenti come fosse una marionetta…”. E lui mimava solo per me, incredibile…».

Poi è diventata una consuetudine.

«Con Tornatore ho fatto un po’ di film, anche con Veronesi ci capiamo al volo, in Italia ha preso piede questa consuetudine – prima i registi facevano a meno degli storyboard – da decenni consolidata negli Stati Uniti: le idee messe in prima battuta nero su bianco, alla produzione fanno risparmiare tempo e denaro. In Italia, uno che aveva le idee chiare su questo modo di operare è stato l’immenso Federico Fellini: lui stesso disegnava i suoi personaggi, le scenografie; gli veniva un’idea e la trasformava in appunto, grafico più che scritto».

Ultimo impegno della serie.

«Per la musica, la produzione di un album con una cantante francese: al momento non posso svelare di più, diciamo per scaramanzia, in realtà nel mondo della musica circola più di un avvoltoio. Per il cinema, l’ultimo film di Gabriele Lavia, “L’uomo dal fiore in bocca”, che ho appena finito di documentare; in questi giorni partono le prime riprese, proprio in Puglia, a Bitonto, con il sostegno logistico di Apulia Film Commission. Una doppia soddisfazione, considerando il fatto su quanto mi senta sempre pugliese doc».