Luigi Garlando ospite dell’Istituto comprensivo “Alessandro Volta” di Taranto

 

«Domande mai banali, talvolta provocatorie, ma sempre divertenti: quanto guadagni, si “cucca”?». Il blocco dello scrittore, una sola volta nel 2006 e spiega perché. Prossimamente due sceneggiati Rai da due suoi titoli: “‘O maé” e “L’album dei sogni”

 

Nei giorni scorsi il giornalista-scrittore Luigi Garlando, è stato a Taranto, ospite di un progetto promosso dalla scuola “Alessandro Volta”, istituto comprensivo diretto dal dirigente scolastico Teresa Gargiulo. Garlando, una laurea in Lettere moderne, firma di punta della Gazzetta dello sport, tiene una rubrica settimanale anche su Sportweek. Più di trenta libri, best-seller, premi a non finire, centinaia di cronache fra campionati e gare di Champion’s, Mondiali di calcio, Olimpiadi e Tour de France.

Ai ragazzi della “Volta”, all’interno dello spazio “Aperitivo d’autore”, Garlando ha parlato del suo libro “Siamo come scintille”. Decine le domande poste dagli studenti, infine omaggi musicali. Gli stessi ragazzi a suonare pianoforte ed eseguire spartiti con formazioni di violini e chitarre.

E’ stato un bel corpo a corpo con studenti che hanno formulato decine di domande.

«E’ sempre importante per chi scrive confrontarsi con i suoi lettori, perché quanto scritto può essere percepito in modo diverso dai ragazzi. Questo tipo di confronto credo sia necessario, oltre a darti ulteriore carica per i libri futuri».

Una domanda che ti ha messo in difficoltà?

«Non una in particolare, se non quando mi chiedono quanto io guadagni, perché spiritosamente i ragazzi ti rivolgono anche domande provocatorie di questo tipo. C’è chi, per esempio, sempre per puro divertimento e alleggerire la conversazione, durante un incontro mi ha chiesto anche se uno scrittore “cucca”, cioè se è avvantaggiato nel rubare cuori…».

 

 

Gianni Brera prendeva appunti sul bianco della stagnola del pacchetto di sigarette; Umberto Eco sulla bustina di minerva, tanto da farne una rubrica. Tu che non fumi, dove riporti i tuoi appunti?

«Sull’agenda che mi porto sempre dietro. Sono ortodossamete legato all’agenda cartacea e, dunque, non scrivo o memorizzo note per esempio sul telefonino o sul cellulare. Approfitto delle pagine bianche dei giorni trascorsi, così che anche i giorni passati, che sembravano inutili tornano utili perché segno appuntamenti importanti».

Come è cambiata la cronaca di un cronista sportivo che scrive su un giornale, considerando che le tv il giorno prima hanno già commentato le gare e mostrato i gol da mille angolazioni? Cosa deve inventarsi un giornalista per catturare l’attenzione del lettore?

«E’ cambiato il modo di scrivere e raccontare la partita di calcio. Inutile fare la cronaca, quello lo diamo per perso, visto che televisioni e siti hanno già radiografato le azioni salienti della gara. Ci tocca, dunque, l’approfondimento: passare dallo snorkeling, cioè  dall’osservare in superficie, al diving, vale a dire andare in profondità. Una volta l’approfondimento lo facevi dal martedì in poi, adesso ti tocca farlo la domenica mentre racconti la partita: sai che la tv dirà cosa è successo, tu la domenica sera devi scrivere per il lunedì spiegando perché e come è successo».

Mai venuto il blocco dello scrittore, quando manca il concentrarsi e non avere alla portata quella fantasia indispensabile per chi racconta in modo romanzato il calcio?

«Il momento più drammatico della mia carriera è coinciso con uno dei risultati più belli conseguiti dalla Nazionale italiana. Semifinale 2006, Germania-Italia a Dortmund, 0-2. Non mi toccava scrivere la cronaca della partita, bensì il personaggio, cosicché a un minuto dai calci di rigore il personaggio non c’era, eravamo sullo zero a zero. Avevo praticamente la pagina bianca, poi Pirlo ha fatto quel passaggio magnifico a Grosso ed ecco che di colpo è spuntato il personaggio tanto desiderato. E in dieci minuti ho dovuto scrivere quelle settanta righe più veloci della mia carriera».

 

 

Nel libro presentato alla scuola “Volta” di Taranto, “Siamo come scintille”, edito da Rizzoli, c’è Scià (nick che viene da “shadow”, ombra), una instantpoet di appena sedici anni che ha due milioni di follower e viene affiancata da un ghostwriter, uno scrittore-fantasma, di cinquantacinque anni con all’attivo un solo romanzo di straordinario successo. Ricorda da lontano e di spalle, qualcosa come “Scoprendo Forrester”.

«Sì, l’ho fatto anche io, se vuoi, il ghostwriter per il libro di Ibrahimovic, “Adrenalina”, andato molto bene, centocinquantamila copie vendute: non appare il mio nome in copertina, una scelta editoriale che non mi ha del tutto convinto. Evidentemente “Ibra” è considerato un dio e non può comparire in copertina il nome di un umano accanto al suo. Il mio nome è riportato all’interno, mi sono divertito e poi lui, Zlatan, è simpatico, va bene anche così».

Dal libro alla tv, due tuoi libri diventano altrettanti sceneggiati.

«Sono contento. Il primo, un romanzo per ragazzi, “‘O maé”, la storia di Gianni Maddaloni, campione di judo che ha portato alla medaglia olimpica suo figlio Pino ed ha aperto una palestra bellissima a Scampia, dove educa i ragazzi ai valori dello sport strappandoli alla camorra: questo romanzo diventerà uno sceneggiato Rai in dieci puntate, ciascuna di venticinque minuti; a seguire, anche se ancora allo studio, la saga dei fratelli Panini, inventori delle figurine dei calciatori: tratto dal mio libro “L’album dei sogni”, anche questo dovrebbe diventare uno sceneggiato Rai».