«I poveri sorvegliati da uno stretto controllo». Ismail, venti anni, ivoriano, si racconta. «Negato lo studio a causa dei pochi soldi. Morto papà ho lasciato i libri. Ho fatto pulizie, il muratore, l’elettricista per staccare il biglietto dalla Libia all’Italia, naturalmente su un gommone, stretti in centododici»
«Undici mesi di lavoro, dalle pulizie in una università all’aiutante muratore in Libia, i soldi guadagnati e messi da parte rinunciando anche all’irrinunciabile, poi finalmente le risorse economiche per pagare il mio viaggio della speranza e, infine, eccomi qua». Ismail, venti anni, nato a San Pedro, Costa d’Avorio, si racconta in un francese misto a un buon italiano. Sorseggia, seduto, un caffè in un bar del centro. Guarda alle sue spalle. Uno spicchio di mare, bello sì, ma evoca l’ultimo sforzo compiuto mesi e mesi fa per arrivare al traguardo della libertà, un viaggio su un gommone, stretti in centododici. Non è un bel ricordo, ma il peggio è passato. «Da un anno sono qua, mi dicono che faccio grandi progressi nel parlare italiano, comprendo la vostra lingua, sono meno pratico nel rispondere, ma dove non arrivo a farmi capire mi esprimo a gesti». Sorride Diakite Allhassen, un operatore di “Costruiamo Insieme”, che a tratti fa da interprete nella conversazione.
«In Costa d’Avorio parlano francese – dice Allhassen – loro lingua ufficiale, con questa si fanno capire anche da chi abita nei Paesi confinanti: di solito gli ivoriani fra loro preferiscono conversare in dialetto, uno dei tanti di ciascuna zona…». Dunque, Ismail, in teoria conosce già tre lingue, il suo dialetto, il francese, quasi l’italiano.
DUE LINGUE E MEZZA: DIALETTO, FRANCESE E ITALIANO, QUASI
«Due lingue e mezza – scherza – fosse stato per me avrei proseguito gli studi nel mio Paese, purtroppo quando è venuto a mancare papà, non ho più frequentato la scuola: in famiglia non avevamo i soldi per pagare la scuola, in Italia esiste il diritto allo studio, tutti devono imparare, progredire nell’arte e nella cultura; da noi, purtroppo, non è così: hai i soldi studi, non hai soldi…fatti tuoi!». Non conosce bene l’italiano, ma in quanto a farsi comprendere, Ismail ci riesce. E bene anche.
«Quando ero a San Pedro non giocavo solo al calcio, che poi è lo sport più praticato, infatti basta una palla da prendere a calci, quattro canne di bambù per fare le due porte, e via, a sognare di diventare Cristiano Ronaldo… Amavo il teatro, lo frequentavo, non mi sarebbe dispiaciuto prendere lezioni e, un giorno, salire sulle tavole di un palcoscenico a recitare; amo il cinema e la tv, qui a Taranto vado spesso a Lama, vedo i cartoni animati, amo il mondo della fantasia, in tv invece seguo la serie “24 Ore”, tanto che il mio attore preferito è Jack Bauer…». Sfiora il cellulare, digita, appare un’immagine. «Questo è Bauer! Mi piacciono gli intrighi politici, i polizieschi, gli action-movie…».
Torniamo ai campetti, alla scuola negata, alla fuga. «Quello che a noi non manca è lo spazio, lunghe distese, tanto che non comprendiamo come, qui, la gente abiti in palazzi così alti, uno accanto o di fronte all’altro; noi, invece. se vogliamo socializzare basta partita di pallone; in Costa, purtroppo, non esistono classi medie: tanti poveri, pochi ricchi; per questo amo la Festa del sacrificio, che per importanza, da noi, è forse paragonabile al vostro Natale: ci fa sentire tutti uguali; è un’illusione, lo so, ma per uno, due, tre giorni, volutamente vestiamo tutti allo stesso modo, non si distingue il ricco dal povero, mangiamo senza limiti e tutti le stesse cose: insomma, non c’è chi mangia e chi guarda».
«AIUTIAMOLI NEL LORO PAESE», SOLO UNO SLOGAN
«Durante la Festa avvertiamo il principio di democrazia, nonostante da tempo sia in corso una guerra etnica; check-point di polizia ovunque, i poveri reclusi nei loro quartieri, per contenere eventuali focolai di protesta: fa sorridere il concetto “Aiutiamoli nel loro Paese”: con il popolo non parla nessuno, gli accordi sono fra i governi, di benefici per la gente povera e disperata non se ne parla». Non era più vita, così Ismail è scappato. «Ho lasciato mamma, con la quale mi sento quando posso, una sorella più piccola e un fratello più grande». Ismail vive l’Italia poco per volta. «Mi piacerebbe trovare lavoro – sogna – una ditta di pulizie, lavoro che ho fatto per mettere insieme i soldi necessari per pagarmi il viaggio, oppure l’elettricista, il muratore, non mi tiro indietro: in Libia da anni costruiscono case, dunque c’è bisogno di mano d’opera, ma per noi “neri” non è facile stare lì sereni, tanto vale cercare la libertà altrove; ogni tanto gioco al calcio, lo guardo in tv, tifo Juventus, Chelsea e Real: nella finale Champion’s fra “Juve” e Real non ho sofferto come gli amici bianconeri, per me era indifferente che vincesse una o l’altra, “Vinca il migliore!” mi dicevo: anche questa è democrazia…».