Friday, nigeriano, in Libia per giorni in mano a ragazzini terribili. «Recluso in uno stanzone e consegnato quotidianamente a una persona per lavorare e pagarmi la libertà. Poi l’incontro con un galantuomo, il gommone, il viaggio fino alle coste pugliesi, Taranto, la libertà…»

Friday, venerdì. Come il personaggio scaturito dalla fantasia di Daniel Defoe che scrisse il romanzo per ragazzi “Robinson Crusoe”, il naufrago che salvò un povero indigeno scaricato dalla sua tribù. Friday, nigeriano, sorride continuamente. Prende il block notes e scrive in stampatello, lettera dopo lettera, il suo nome. Per evitare malintesi. «Venerdì, come quel personaggio lì…», dice, sorride. Poi tace, consegna il suo buon inglese alla traduzione di Sillah, uno degli operatori della cooperativa “Costruiamo Insieme”. E’ brillante, Friday, da due anni in Italia. In tasca un titolo di saldatore conseguito in Nigeria, ama musica e danza. Hai visto mai, un giorno dietro una consolle o su un palco a cantare, muoversi come il Michael Jackson di Moonwalker. «Non parlo italiano!», fa tradurre. «Non posso farci niente!», osserva. Si colpisce un paio di volte la fronte, come a punirsi, quasi volesse far comprendere che ha provato a infilarsi nella testa un minimo dizionario italiano, ma niente.

L’argomento-italiano lo riprenderemo minuti dopo. Basteranno due passi, dal Centro di accoglienza di via Cavallotti al Lungomare di Taranto, per proseguire una chiacchierata e fare un paio di foto, perché Friday rifletta su quello che ci siamo detti pochi minuti prima.

Ma andiamo per ordine. La fuga da Edu Stests, la cittadina nella quale è nato, cresciuto, studiato, afferrato il primo saldatore. «Risale ad ottobre di tre anni fa – racconta Friday – fu allora che pensai di lasciare, a malincuore, il mio Paese; In Italia, dopo un viaggio, non senza qualche problema, sono arrivato nel gennaio successivo, appena sbocciato il 2016».

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UN VIAGGIO A BISCOTTI E “GARI’”…

Un viaggio non molto semplice, nonostante all’inizio stesse andando tutto liscio. «Avevo trovato un passaggio in auto, viaggiavo da un confine all’altro, senza contrattempi fino all’arrivo in Libia: scene da film, di quelle che si vedono spesso in tv».

Ricorda tutto per filo e per segno, Friday. «Fino a quel momento ci eravamo sfamati con biscotti e “garì”, una polvere simile al cous-cous; un po’ d’acqua, mescolavamo, scioglievamo e mangiavamo: colazione, pranzo e cena; l’unica cosa che la notte non ci faceva dormire era il brontolio del nostro stomaco vuoto: facemmo l’abitudine anche a quello…».

Scene da film in Libia. «A Tripoli, insieme con altri miei conterranei – ricorda – veniamo circondati da quattro auto, a bordo “asma boys”, li chiamano così, ragazzini dai modi spicci, che si fiondano subito su di noi; sventolano pistole e fucili davanti alle nostre facce – tante volte ci sfuggissero le loro intenzioni – ci chiedono di rovesciare le tasche per alleggerirci dai soldi: non avevamo nulla, quei pochi spiccioli che avevamo fino a poche ore prima erano diventati carburante per un altro tratto di strada fino al porto per imbarcarci su un gommone e, finalmente, arrivare in Italia».

E, invece, gli “asma”, piccoli pregiudicati senza scrupoli, cambiano il programma di Friday e dei suoi compagni di viaggio. «Ci portarono in una stanza non molto grande e ci rinchiusero. Eravamo affamati, senza prospettive, fino a quando a qualcuno non venne in mente di farci lavorare e pagare con grossi sacrifici la nostra libertà». Il giovane nigeriano è saldatore. «Mi consegnarono – ricorda – a una persona, che aveva bisogno di perfezionare lavori già fatti in casa: mi proposi come saldatore, roba da spezzarsi la schiena, dalle sei del mattino alle nove di sera, ininterrottamente; lavoravo senza sapere come sarebbe andata a finire, quanto avrei dovuto lavorare per poi andare via…».

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FINALMENTE UN MIRACOLO…

Piccolo miracolo. «Incontrai un mio connazionale – un segno del destino –che viveva e lavorava in Libia da anni, si era fatto benvolere dal suo capo, un libico, che prese a cuore anche la mia storia: in realtà ero riuscito a fuggire dalla “prigione”, non ero più ostaggio dei ragazzini, tantomeno della persona che passava i soldi del mio lavoro ai miei carcerieri». Si apre ad un sorriso e ad una espressione tenera, Friday. «Non dimenticherò mai la generosità di quell’uomo, buonissimo; non volle nulla in cambio, ci accompagnò ad uno di quei gommoni che si riempivano di gente e di speranza, e salutò me e i miei amici augurandoci ogni bene». Due giorni di viaggio, lo sbarco sulla costa pugliese e in un’ora di bus finalmente a Taranto.

Friday e l’italiano. Due passi e il nigeriano riflette sullo scambio di battute. Sillah traduce e consiglia. «E’ importante l’italiano, devi imparare, studiare e conseguire titoli di studio, altrimenti se vai a fare anche un solo documento fai scena muta». E’ l’unico momento in cui Friday si fa serio, aggrotta la fronte, nel suo inglese chiede quando potrà iscriversi a scuola. «Prima il corso di alfabetizzazione – gli spiega l’operatore di “Costruiamo Insieme” – poi una volta imparato i primi rudimenti fai un esame e frequenti la scuola media». Ha compreso il nigeriano dall’inglese e dalla dance facile. «Devo aspettare ottobre prossimo? Prima non è possibile fare altro, adesso ho fretta». Nel giro di una chiacchierata la prospettiva è cambiata. «Voglio restare in Italia – conclude Friday – lavorare qui, da saldatore o svolgendo qualsiasi altro lavoro non importa, è giusto che recuperi il tempo perso e impari di corsa: se penso ai due anni in cui ho fatto poco per imparare l’italiano; lo trovavo e lo trovo ancora difficile, ma adesso devo fare l’impossibile, anzi, non vedo l’ora di cominciare!».