Demba, senegalese, collabora con “Costruiamo Insieme”
«Grazie alla cooperativa, dopo fuga e viaggio da paura, oggi guardo ai giorni con serenità. La mia avventura era cominciata in mezzo al mare: quattro giorni, motore fuori uso, in balia di onde gigantesche. Fino a quando non è arrivata una nave mercantile e una proposta di lavoro…»
«Da quattro mesi ho iniziato a collaborare con “Costruiamo Insieme”, comincio a dare senso concreto alla fuga dal mio Paese, dove esistevano ed esistono tuttora tanti problemi: cercavo il mio futuro, ora comincio a costruirlo». Una fuga non condivisa dal papà con il quale i rapporti sono più o meno freddi, mentre mamma cerca di ricucire uno strappo. Demba, ventidue anni, senegalese, fede musulmana, due sorelle e due fratelli, uno solo più grande di lui. «Con il mio nuovo lavoro cerco di aiutare le mie sorelline – dice Demba – devono studiare ed è un bene che io possa in qualche modo venire incontro alle loro prime necessità».
Il suo proposito di andare via dal Senegal, Demba lo matura non appena comincia a diventare grande. Nonostante stia cominciando a trarre benessere dal prodotto interno lordo, il rischio di povertà è sempre elevato, dunque una vita di stenti e sacrifici non sempre ripagati mette paura. Così Demba decide di andare via, nonostante a casa non la pensino allo stesso modo.
«Ho attraversato molti Paesi prima di arrivare in Italia: Mali, Burkina Faso, Niger, Algeria, Libia». La Libia c’entra sempre, è il varco sicuro per arrivare in Europa passando per l’Italia. «Anche io ho fatto la mia breve esperienza libica, sei mesi: tre mesi da recluso, spesso minacciato perché non avevo soldi, né intenzione di telefonare a casa per far pagare il mio riscatto; non potevo farlo, immagino già la risposta: “E’ una sua scelta, il problema se lo risolva da solo!”. Non ho ceduto al ricatto, del resto non potevo fare diversamente, così ho fatto i miei tre mesi di galera per mancanza di documenti: latte al mattino, qualche volta riso, altre pasta, un sorso d’acqua; rispetto a quanto passato da altri neri come me, non posso lamentarmi, “dentro” non fa piacere a nessuno starci, ma non ho subito violenze, non sono stato picchiato».
Libia, una permanenza di sei mesi. «Avevo lavorato in un supermercato, uomo di fatica, poi mi hanno fermato: per due mesi sono stato al servizio di un poliziotto che mi ha preso a benvolere, probabilmente aveva visto che i suoi colleghi da me non sarebbero riusciti a cavare soldi, così per quel periodo ho fatto il giardiniere, mi sono preso cura della sua villa; per ripagarmi del lavoro mi ha aiutato ad imbarcarmi su un gommone sul quale eravamo circa settanta, tutti stretti, come fossimo in una cassetta spinti di forza: non era il caso di fare i difficili, quel viaggio in mare sarebbe stato l’ultimo ostacolo verso una vita più serena».
Nel suo italiano con accento francese, Demba spiega un grave problema occorso al mezzo sul quale si era imbarcato, lui che soffriva il mal di mare e in mare aperto veniva sbattuto insieme con i compagni di viaggio da onde gigantesche. Più che momenti da brivido, ore. Macché, giorni. «Il motore del gommone non ha dato più segni di vita, ci siamo fermati in mare aperto, peggio non poteva andarci: quattro giorni di digiuno, appena mangiavo una delle piccole brioche che avevo portato con me, dopo qualche minuto la rimettevo; bevevo acqua e nemmeno quella riuscivo a trattenere».
Quando nessuno pensava che quella storia non avesse un lieto fine, ecco una nave mercantile. «Non ricordo di quale nazionalità fosse, so per certo che li aveva mandati il Cielo, la nostra speranza era ormai agli sgoccioli: sapevamo che molti, prima di noi, in quel viaggio verso un altro mondo, ce l’avevano fatta; ma eravamo coscienti, anche, che tanti altri erano stati vittime del mare; fummo issati a bordo, lì stavamo già molto meglio, come se stessimo su terraferma: avevo lo stomaco chiuso, non riuscivo ancora a digerire, ma psicologicamente mi ero ripreso».
Un viaggio che finisce con l’arrivo di una nave italiana. «Il comandante della nave sulla quale eravamo saliti a bordo si mise in contatto con una nave militare italiana: nel giro di poche ore eravamo sani e salvi, finalmente, con una prospettiva diversa da quella che stavamo maturando in qui giorni: siamo sbarcati in Sicilia, a Palermo, da lì siamo stati messi su un aereo, arrivati a Bari su un bus siamo arrivati a Taranto, ospite di uno de Centri di accoglienza straordinari».
Quando meno te l’aspetti, da assistito, il passaggio fra quanti invece assistono. «Non volevo crederci – confessa Demba – quando mi è stato chiesto se avessi voluto impegnarmi come operatore: ho accettato senza pensarci su un attimo, mi sono state date indicazioni utili per cominciare a lavorare e, ora, eccomi qui, la vita da qualche mese ha assunto un sapore diverso, l’unico modo con cui posso ripagare “Costruiamo Insieme” è il lavoro: lo svolgo con impegno e coscienza, facendo attenzione nel porre lo stesso rispetto che mi hanno riservato dal primo giorno in cui sono stato ospite nel mio Centro di accoglienza».