Balvir, indiano, da Laterza a Bari, oggi a Reggio Calabria

Tutto in un giorno. Licenziato, mentre fuori nevica, trova il sostegno di una comunità. Una consigliera comunale prenota un b&b, poi il modo di rifocillarlo. Il ragazzo, che parlava un discreto italiano, impara a scrivere e sul social comunica il suo sentito ringraziamento ricordando quella fredda sera del gennaio 2017.

Italia e per un breve periodo impegnato a Laterza, pochi chilometri da Taranto. Si spende in un’attività lavorativa con una piccola società che non appena può fare a meno del suo contributo non ci pensa su due volte a dargli il benservito.

Non entriamo tanto nel merito del suo rapporto di lavoro, puntuale o con qualche falla qua e là, quanto nelle modalità che hanno visto il protagonista di questa storia d’amore (e per certi versi di ingratitudine), in mezzo ad una strada, in un Paese straniero e per giunta nel giro di poche ore.

Una decisione unilaterale. Assunta dal suo datore di lavoro, a dispetto di norme che evidentemente non erano scritte, forse sostenute da una sola stretta di mano. «Mi spiace, non c’è più lavoro, caro Balvir tornatene a Bari, è da lì che sei venuto…». Sembra uno di quei concorsi televisivi nei quali l’animatore spiattella in faccia al concorrente malcapitato frasi del tipo «Balvir, la tua esperienza finisce qui!».

Entriamo, invece, nell’episodio specifico: le modalità sul licenziamento in tronco del ragazzo di origine indiana. «Licenziato!». Si fa presto a dire «…era nel mio pieno diritto». Forse le cose non stanno proprio così. Un datore responsabile avrebbe potuto tenere un solo giorno in più la mano sulla coscienza, aspettare almeno che quella sera smettesse di nevicare (è il gennaio 2017) e poi prendere la sua decisione. E, invece, Balvir, «…la tua avventura finisce qui!».

«VOLEVO DIRE “GRAZIE!”»

Il ragazzo con zainetto a tracolla, di colpo si sente smarrito. Laterza è una bella cittadina, famosa in tutta Italia per il suo pane di denominazione di origine controllata, gente di sani princìpi e disponibile verso il prossimo. Ha dei politici che manifestano subito sensibilità e solidarietà. Un piccolo, ma significativo gesto lo compie Sabrina Sannelli, all’epoca dei fatti – come si usa scrivere in casi come questi… – consigliere comunale, oggi assessore.

Secondo il racconto puntuale di un collega, il politico locale non ricorda neppure l’episodio. A Laterza come in tutto il Sud regna un antico adagio, qualcosa di simile al «Fai bene e scordatene». Quando hanno ricordato l’episodio all’assessore, questa ha prima fatto mente locale, poi manifestato soddisfazione per come era finita quella storia.

Il lieto fine è lo stesso Balvir a scriverlo. «Volevo dirle grazie!». E ti pare poco, di questi tempi, dove spesso la riconoscenza, in primis quella dei datori di lavoro – non tutti, sia chiaro… – va a farsi benedire nello spazio di un amen? La gratitudine è una moneta che scarseggia, specie in un periodo parente stretto del «Si salvi chi può!».

«Balvir, chiese aiuto al Comune – ricorda oggi l’assessore – e l’Amministrazione gli trovò un b&b perché dormisse al caldo per poi partire all’indomani con più calma e sicuramente rigenerato: trovata la sistemazione, gli feci portare una pizza, perché Balvir mettesse qualcosa nello stomaco: l’avrei fatto con chiunque, non faccio differenza fra un amico e un estraneo…». Un gesto del quale, ripetiamo, il politico con delega amministrativa aveva perso traccia. Perché è così che dovrebbe agire chiunque nei confronti del prossimo, sia questo inquilino della porta accanto o un ragazzo venuto da un Paese lontano (seimila chilometri!) in cerca di futuro.

«ADESSO SCRIVO ITALIANO»

Balvir, dunque, ringrazia. «Non è che abbia trovato il tempo solo adesso – in sostanza il suo sentimento di riconoscenza – esprimo la mia gratitudine ora che ho imparato a scrivere quell’italiano che stavo imparando in fretta». Il ragazzo non voleva fare brutta figura. Avrebbe potuto farsi aiutare, comporre una frase di circostanza, prenderne una in prestito – come fanno spesso i leoni da tastiera – con manovra da copia e incolla. Balvir, invece, tira fuori quel «grazie» dal profondo del cuore. E trova un attento cronista a raccogliere la notizia data attraverso uno dei tanti social, riprenderla e pubblicarla attraverso quaranta righe sulla carta stampata.

Attraverso quello stesso social il ragazzo indiano ha informato chi lo stesse leggendo in quel momento che non vive più a Bari. Oggi risiede a Reggio Calabria. Non spiega in quale lavoro sia impegnato, se sta bene o così così. Balvir è un ragazzo alla ricerca di un impegno a misura d’uomo. Lui, come molti ragazzi stranieri che vengono in Italia alla ricerca di speranza e lavoro, sanno anche accontentarsi, quando invece a lui e ad altri nelle sue stesse condizioni, fosse riconosciuto il giusto.

In questi anni, da queste pagine abbiamo raccontato spesso storie di ragazzi sfruttati, ricattati, ridotti in schiavitù. Non solo drammi, anche qualche finale decoroso, sempre pochi; pure storie di datori di lavoro che hanno fatto la fortuna dei loro dipendenti venuti dall’Africa, dall’Asia, dal Sudamerica.

Un sospiro di sollievo, insomma, per Balvir. E per quanti si spendono per la comunità in un momento legato a pandemia e crisi economica. Storie come questa di sicuro aiutano. Aiutano a conoscere le persone e il tessuto sociale nel quale viviamo. E sono queste le storie che rendono orgoglioso un territorio, fanno la felicità di chi appartiene a una comunità dal cuore grande.