Ayo e compagni sostengono Teresa Bellanova
«Regolarizzare noi extracomunitari, sarebbe un primo passo avanti. Qui, in provincia, è oro rispetto a Puglia e Nord Italia. Prima del virus, nei campi c’era tensione, miei connazionali litigavano fra loro per una fila di pomodori». Quindici euro lordi al giorno per dieci ore di lavoro.
«Qui, in provincia, è oro rispetto ad altre situazioni a cui non voglio pensare!». Ayo, senegalese, lavora nei campi. «Non sempre vengo retribuito come da contratto, ma può andare bene anche così, specie ora: ho avuto “negativo” e rifatto domanda nei tempi previsti dalla legge per avere un nuovo documento che mi permetta di tornare a lavorare nei campi». Asad, suo connazionale, non è nelle stesse condizioni, ma poco ci manca. «Su internet – dice – nostra principale fonte d’informazione, ho letto che la ministra italiana vorrebbe regolarizzare noi extracomunitari, anche se con permessi della durata di pochi mesi: questa, forse, e parlo soprattutto per i nostri fratelli che lavorano nei campi al Nord della Puglia dove accadono cose da non credere, sarebbe una prima soluzione…».
Ecco il ministro alle Politiche agricole e alimentari, Teresa Bellanova. «Braccianti irregolari lavorano nei nostri campi, donne prestano attività da badanti e vengono pagate in nero: chiedo che questi vengano regolarizzati subito con permessi di soggiorno temporanei di sei mesi, rinnovabili per altri sei mesi». Non c’è altro tempo da perdere. Un numero esagerato di braccianti è letteralmente recluso e non esce allo scoperto. Se non fosse compiuto questo passo in avanti, extracomunitari sprovvisti dei documenti necessari verrebbero subito individuati. E non finisce qui, perché di colpo i problemi diventano due: lavorativo e sanitario.
«Lavoratori stranieri, in Veneto – spiegava due giorni fa il ministro – venivano pagati tre euro l’ora per raccogliere l’uva: sono sotto ricatto di caporali, italiani o stranieri, che comunque rispondono alla criminalità organizzata». «In provincia di Foggia – prosegue il ministro – pare ci siano tremila persone ammassate in campi di fortuna; non c’è distanziamento sociale, né mascherine, disinfettanti o altre modalità previste dai decreti sulla Sicurezza sanitaria. E nel momento in cui riprenderanno l’attività, salterà tutto per aria in termini di emergenza sanitaria».
E POI C’E’ “SAMI”
E poi c’è “Sami”, Samuel per i connazionali nigeriani e i fratelli africani. “Sami” per i ragazzi tarantini che lo hanno eletto “grande amico”. «Così mi chiamano – sorride – e io sono contento di questo loro affetto; anche per me il momento è critico, ma non mi demoralizzo, devo andare avanti: ovunque ci sia da lavorare io sono lì… C’è crisi, fra lavoro nei campi e quello estivo: a causa del virus – consulta il suo telefonino, sbuca il nome di questa invisibile sciagura… – ecco, “Covid-19”, tutto è fermo».
E’ aggiornato, Samuel. «Le cose, poco per volta – riprende – torneranno alla normalità: tutti dobbiamo fare più attenzione, tenere la mascherina e aspettare che si torni a raccogliere pomodori e mandarini, oppure a sistemare lettini e ombrelloni a due passi dal mare, io che l’estate mi sono sempre diviso fra campi e stabilimenti balneari».
«Ho lavorato con “bianchi” nelle campagne di Castellaneta – riprende – con regolare contratto: stavo bene, mi svegliavo presto al mattino, un bus passava da Massafra, per accompagnarci sul posto di lavoro: cominciavamo alle sei e finivamo più o meno all’ora di pranzo, tutti insieme: nessuna differenza fra italiani e stranieri; poi tutti a casa, sempre con il bus, mentre in caso di pioggia restavamo a casa; ho nostalgia di quei giorni: la gente non può avere tutta frutta e ortaggi a prezzi normali, e – per dirla tutta – io e i colleghi, non possiamo avere il salario tanto sospirato».
Prima del lavoro nei campi, quello in spiaggia. «L’ho fatto per due mesi un anno fa: non disponevo di molti soldi così mi sono messo in giro a cercare un lavoro, qualsiasi cosa capitasse; fui fortunato, trovai qualcuno che mi indicò il titolare di una spiaggia splendida, a Marina di Lizzano; spianavo e pulivo la sabbia con una ruspa, mentre la notte sorvegliavo l’intero stabilimento perché qualcuno non penetrasse nel lido e rubasse ombrelloni, sdraio e lettini: trenta euro al giorno, più la colazione; sono stati giorni in cui mi sono sentito importante, ma la stagione è durata solo due mesi invece dei tre previsti, l’estate si è chiusa in anticipo a causa del maltempo: piove sul bagnato, dite da queste parti, è proprio così…».
NON E’ TUTTO ORO…
«Qui è oro rispetto ad altre zone della stessa Puglia», spiegava pochi istanti prima Ayo. Come non dargli ragione. «Altrove – conferma – le condizioni di chi lavora nei campi sono talmente insostenibili che i braccianti litigano per una fila di pomodori per guadagnare una miseria in più: una lotta fra poveri». «Un lavoro da schiavi – interviene Mansur, suo connazionale – lavori per qualcuno che non ha rispetto per te: ti offende e solo la fame ti fa sopportare le umiliazioni…». La retribuzione, i conti a fine giornata. «Il caporale consegna al capo, che non è solo un bianco, a volte è del nostro stesso colore di pelle: paga in base ai cassoni riempiti». Qual è il compenso? Da non crederci. Jibril è in costante contatto con connazionali che lavorano in provincia di Foggia. «Fino a prima del virus – mi vergogno a dirlo – il compenso si aggirava intorno ai quattro euro a cassone riempito: proprio così, quattro euro per due tonnellate di pomodori raccolti; la retribuzione, nemmeno a dirlo, subiva altri tagli, al ribasso ovviamente: a causa di una serie di “trattenute” ecco che a fine giornata, raccolte tonnellate di pomodori, in tasca mettevano quindici euro per dieci ore di lavoro».
Secondo stime approssimative, è stato calcolato che la somma di venticinque euro moltiplicata per diecimila braccianti – dieci “puliti” vanno nelle tasche dell’organizzazione – dà un totale di duecentocinquantamila euro al giorno che finisce nelle tasche dei caporali. Moltiplicato il periodo di raccolta, tre mesi, dunque novanta giorni, ecco una cifra superiore ai ventidue milioni di euro a stagione. Riconosciuti compensi per la mediazione a capo nero o capo bianco, il resto, il tanto insomma, va dritto nelle tasche della criminalità organizzata. Ai braccianti non resta che raccogliere anche quel poco che resta: meno di quindici euro al giorno. E, concludono i due ragazzi, «Se non è schiavitù questa…». Il ministro ci prova, non senza contrasti (e non solo dalle opposizioni). Sarebbe un primo passo avanti, per i ragazzi. Ma, se ci pensiamo, anche per l’economia del nostro Paese.