Fabio, da divo del calcio a panettiere e taglialegna

«Quando sei giovane e diventi un idolo, guadagni tanti soldi. Li spendi tutti insieme, ti fai trascinare negli eccessi. Quando vuoi uscirne è troppo tardi, ma l’affetto della famiglia è importante. Vorrei insegnare ai ragazzi a fare attenzione e non commettere i miei stessi errori»

Fabio, quarantasei anni e un sogno che si infrange contro gli eccessi di una dolce vita. Una di quelle che capitano ad attori e calciatori “per un giorno” ci verrebbe da dire, se la vita di Fabio Macellari, idolo di Lecce, Cagliari, per un po’ di Bologna e, perfino, Inter, non fosse durata anche più di quel fatidico “giorno”. Pressioni e distrazioni, purtroppo per Fabio, sono state tante, così la vita gli è cambiata. E di brutto, pure.

Una vita più che da mediano, da cronista del calcio, e non solo. Diventa mestieraccio quando annoti storie macchiate da doping interpretate spesso da ragazzi belli, prestanti, come fossero semidei, ma che falliscono dagli “undici metri” la realizzazione della vita.

Semidei. Per certi versi, lo sono anche. Se non sei un campione, dentro e fuori, tutto dura dieci anni, non di più. C’è il dimenticatoio ad attenderli al varco, per fagocitare i più deboli. Se hai giocato al calcio e hai allacciato buone relazioni diventi opinionista in una “pay” o in una tv nazionale; se non sei un “pr” nato, allora, per bene che vada, ripieghi sulla tv locale. Altrimenti, altrimenti scrivi un libro. E se pensi che il tuo insegnamento non interessi nessuno, consegni le tue memorie a grappoli da un qualsiasi social. E i vecchi compagni di squadra, quelli più scaltri, quelli che fanno tv, vengono pure a cercarti, a stanarti, farsi raccontare la tua storia, per poi sparire. Buoni quelli…

LA FORTUNA NON E’ ETERNA

I campioni svoltano. E gli altri, le centinaia di ragazzi che fanno la trafila Allievi, Primavera e Prima squadra, che fine fanno? Sono un esercito. Qualcuno completa il ciclo di studi, altri, avveduti e consapevoli che la storia non sarà a lieto fine, si fermano al primo posto di lavoro decoroso, qualsiasi esso sia.

Dunque, una vita da cronista. Quella che se fai non solo con la testa ma anche con il cuore, come il mediano del prato verde, ti porta ad osservare con attenzione quello che accade oltre la fascia che traccia il centro del campo. Quella che ti invita quasi a domandarti se dopo quello spartiacque c’è vita, e se c’è e non è patinata, che vita è. Così, provi ad essere un buon interditore, studi, ti applichi, entri con discrezione nella vita di un artista della “pelota”. Tante volte basta un gol a cambiare la storia di uno di questi attori della domenica, a far firmare un contratto importante, il che significa soldi a palate. Contratti che fanno pensare che il «tutto e subito» di morrisoniana memoria sia arrivato e che, peggio, possa essere «per sempre».

C’era un ragazzo che come noi amava il calcio e le platee. Quella gente disposta ad applaudire fino a spellarsi le mani, ma anche a dimenticarti il giorno dopo, quando applaudirà un nuovo idolo. Quello stesso pubblico che dagli spalti applaudiva alle giocate in campo e perdonava gli eccessi all’esterno del perimetro di gioco. Poi arriva il bivio. Non sempre un “testa o croce” indolore.

Insomma, Fabio. Ottimo calciatore, grande uomo. Non è da tutti fare outing e provare ad essere di esempio a quanti, come lui, hanno creduto in un sogno, poi diventato incubo. «I soldi – confessa – buoni quelli, vengono a trovarti in tanti, tutti insieme e quando meno te lo aspetti, vanno via, senza preavviso: brutta cosa quelli, i soldi: io ne ho speso gran parte in alcol, donne e macchine sportive, il resto l’ho sperperato», raccontava una volta un grande come George Best. Più o meno quello che ha spiegato Macellari, ex terzino di Cagliari, Inter e Bologna in tv e sulla stampa. Come, dopo aver speso tutti i soldi guadagnati con il calcio, adesso si divide fra l’attività di panettiere e taglialegna.

VIA TUTTO, SOLDI E CARRIERA

Non si nasconde, Fabio. E’ intervenuto nella sua vita in tackle, in modo severo, anche troppo. Del resto, Macellari ha fatto solo male a se stesso. «Ammetto, mi sono divertito al punto che servirebbero quattro vite a una persona normale per spassarsela come ho fatto in quegli anni, ma quel modo di fare mi è costato carissimo». Una volta tanto potrebbe essere autoindulgente, invece è sincero fino in fondo. Vuole aiutare il prossimo, quei ragazzi che giocano al calcio e che in un amen diventano divi della tv. «In un attimo ho buttato via tutto, soldi e carriera: certi atteggiamenti, potessi tornare indietro, li cambierei e di corsa».

Macellari, cinquantasei anni, nasce a pochi chilometri da Milano. Decolla a Cagliari, passa all’Inter, gioca con Ronaldo, diventa amico di Laurent Blanc, ammette pubblicamente di aver fatto uso di sostanze stupefacenti.

Fra le cose raccontate in questi anni. «Uscivo con gli amici, facevo notte, rientravo al mattino, arrivavo tardi agli allenamenti; passare alla droga è stato un attimo». Ad aiutarlo a rialzarsi è stata la sua famiglia. «Quando sei giovane – spiega Fabio – non ti rendi conto della fortuna che hai perché guadagni tanto: la bella vita  che vedo fare oggi agli influencer è un po’ quella che ho fatto io; in discoteca offrivo a tutti, sperperavo senza rendermene conto: ho sempre speso per gli altri».

Poi, non sei al banco di un bar, al tavolo di un ristorante, la vita ti presenta il conto. «Quando smetti di giocare i soldi finiscono – confessa Macellari – cerchi di mantenere quello stile di vita e la droga e le sostanze stupefacenti di portano a questo: ci ho sbattuto la testa, ma mi ritengo fortunato per avere avuto il sostegno della famiglia e ricominciare a lavorare. Comincia una seconda vita, del resto o fai così o muori».

FRA PANETTERIA E LEGNA

Oggi, divorziato dalla moglie, ha un figlio e vive nel suo casale a Bobbio, nel Piancentino. Aveva tentato la carriera di allenatore subito dopo aver smesso di giocare, ma ha lasciato definitivamente il calcio. Cosa fa oggi, Fabio, campione di umiltà. «Il panettiere e il taglialegna – racconta – ma, attenzione, il panificio non è mio, io ci lavoro quando ci sono i miei amici; non riesco a stare fermo: se non sono al panificio, sono su un trattore, in montagna, a tagliar legna». A fare legna, come si dice nel calcio di quei giocatori che, forse, non avranno grande tecnica ma hanno un gran temperamento.

Fabio ha un desiderio. Non è da tutti, per questo il cronista non può che apprezzare le spiccate doti di altruismo. «Mi piacerebbe lavorare con ragazzi – conclude – ma così, per trasmettergli tutto quello che ho vissuto; certo, vorrei lavorare in serie A, ma considerando il mio passato e gli errori commessi mi sembra difficile pensarlo; ho la coscienza a posto, però, faccio un’altra vita oggi». Macellari aspetta che qualcuno torni a fidarsi di lui. E un uomo che compie un simile atto di coraggio, merita una seconda chance. Merita di battere per la seconda volta un calcio di rigore. Prendere quella rincorsa dagli undici metri e trasformare quel penalty. Forza, Fabio.