Piano aziendale per salvare lavoro e comparti del “Maria Cristina di Savoia” di Bitonto. Cifre e impegni, già formulati. Idee coniugate ai servizi per il territorio, non solo all’accoglienza di extracomunitari.

180px-Bitonto_-_Istituto_Maria_Cristina_di_Savoia_-_vista_dal_ponteBuoni e cattivi. Non facciamo confusione, soprattutto evitiamo sovrapposizioni. I primi mettiamoli da una parte, gli altri sull’altra sponda. Per intenderci: c’è chi le cose – è il caso di “Costruiamo insieme” – le fa, mettendoci la faccia e, concretamente, le proprie risorse; chi, con il pretesto di una non meglio identificata “onestà intellettuale”, fa passare messaggi completamente sgangherati. E il bello, anzi il brutto di cose come queste, è che le dichiarazioni reclamano stessa cittadinanza.

Non è giusta la “par condicio”, forse? Certo che è giusta. Ad un’azione dovrebbe corrispondere sempre una reazione, uguale e contraria. «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire», pare abbia detto Voltaire. Fosse vissuto oggi, lo stesso filosofo francese, però, avrebbe aggiunto una postilla: «se devi affermare qualcosa, prima documentati, altrimenti dici solo fesserie». E sono tante a circolarne.

Argomento preso alla larga, ma ci arriviamo. Eccoci. Quando si scrive di migranti e accoglienza, si leggono, si ascoltano i soliti luoghi comuni. Il più delle volte si prendono a prestito nomi di extracomunitari e nazionalitࠖ più sono comuni e meglio 蠖 e gli si attribuiscono le prime dichiarazioni che passano per la mente, più o meno quelle copia e incolla. Più luoghi comuni si usano, frasi che devono intenerire un cuore da tagliare con un grissino, più si colpisce. «Condizioni igieniche assenti, assistenza sanitaria inesistente, in cinque – mettiamoci dieci, già che ci siamo – in uno stanzone, condizioni di vita ai minimi termini». E in qualche Centro di accoglienza così è stato (sarà ancora così, chi può dirlo), certo è che noi ci fidiamo delle istituzioni e del loro ruolo, pertanto fino a prova contraria le strutture – sottoposte a controlli periodici – svolgono la loro attività secondo i criteri stabiliti (con tanto di report quotidiani inviati in Prefettura, istituzione cui rispondiamo del nostro operato).

Nel frattempo, i social ci hanno abituati a supercazzolefake news, notizie vuote come la testa di chi in alcuni casi riprende e scrive, chi in altri esegue maldestramente: mandante e mandatario. Scatta foto posate, magari ne chiede qualcuna a complici che si prestano volentieri a fotografare cessi appena usati; ci mettono del proprio per dare “colore” al pavimento e profondità agli scatti concordati. «E’ questo che la gente vuole!». La cronaca e l’etica professionale, dunque, scompaiono alla velocità di un clic. Un giornalista fa il nome di un Tizio piuttosto che di un Caio, senza alzare il sedere dalla poltrona della redazione. «Tanto chi può smentirci, male che vada ospitiamo la replica, ribattiamo e vinciamo comunque noi: 2-1!».

1174996_635506507492197675_mc1_768x410

Torniamo a noi. Ci sarebbe piaciuto che un giornalista a caccia del sensazionale, ci avesse chiesto di fare visita a un nostro Centro di accoglienza straordinaria. Non avremmo avuto problemi. Meglio ancora – pensate come non si ha nulla da temere, noi – avesse inoltrato domanda alla Prefettura per fare insieme una ricognizione, raccogliendo dichiarazioni senza mai aver messo piede in una struttura. Staremmo tutti più sereni. E finalmente quel qualcuno avrebbe reso giustizia a chi fa questo lavoro in modo professionale, dà lavoro a decine e decine di persone, studia e presenta piani aziendali (sostenuti da costi e impegni assunti), non ultimo quello per salvare il “Maria Cristina di Savoia” di Bitonto. Questo per allargare il numero di dipendenti e creare nuovi servizi, non necessariamente legati all’accoglienza di extracomunitari.

Ci sarebbe piaciuto che qualcuno fosse venuto a trovarci. Avesse parlato con gli operatori, i mediatori. Questi avrebbero spiegato di come sia bello il loro lavoro e, perché no, quali sono gli ostacoli davanti ai quali ci si trova quando l’interlocutore – grossomodo lo stesso che si presta allo scatto concordato – non vuole proprio saperne di rispettare certe piccole regole del vivere civile all’interno di una comunità. Perché questo è un Centro di accoglienza, “straordinaria” in quanto struttura di passaggio, non una casa, ma qualcosa che gli somigli il più possibile, perché l’auspicio di chi fa questo lavoro (che qualcuno etichetta in senso dispregiativo “business”, e forse lo sarà per qualcuno, certo non per noi) è che i ragazzi di passaggio alla fine realizzino il loro sogno di integrazione. Dove meglio credono.

Questo è il nostro lavoro, fatto di gente dalla faccia pulita che lavora con e per noi. Basta dare un’occhiata al nostro sito, i loro volti e i loro nomi sono garanzia di professionalità in qualsiasi comparto. Questi siamo noi, nient’altro. Un gruppo che sta crescendo in personalità e professionalità. Credenziali che non si inventano, solo il lavoro può riconoscertele.