Enrico Vanzina a Taranto, racconta sessant’anni di storia del grande schermo
«Mio padre Steno, Risi e Monicelli, i grandi della commedia. Io e mio fratello Carlo abbiamo sceneggiato e girato qualcosa come centoventi film. Come un tempo avevamo provato a raccontare gli italiani. Sordi, da imitatore a imitato. E poi Villaggio, Proietti e un film che vorrei fare con Verdone. Checco Zalone, Pio e Amedeo mi ricordano il “mio” Abatantuono»
«Hai un gran…sedere, hai diciassette anni e sei di fronte al più grande scrittore italiano!», gli disse un giorno Ennio Flaiano. Enrico Vanzina, regista, sceneggiatore, scrittore, giornalista, centoventi film all’attivo, sere fa allo Yachting Club di Taranto, ospite della rassegna “L’angolo della conversazione” a cura di Gianluca Piotti, per presentare il suo ultimo libro, un giallo: “Il cadavere del Canal Grande”. Parlare con lui davanti ad un aperitivo, ascoltarlo dal palco, cenare, fra un vinello e una santa spaghettata alle vongole, è come fare zapping con la commedia all’italiana.
«Grazie a papà, Steno (Stefano Vanzina, ndc), che ha diretto, tanto per intenderci, tutti i film dell’immenso Totò e, per fare due titoli, “Un giorno in pretura” e “Un americano” con il grande Alberto Sordi, ho conosciuto tutto il cinema, gli attori, i registi, gli sceneggiatori, così com’erano nella vita reale».
Racconta di tutto e di più, Vanzina. Con grande semplicità. Come sceneggiasse uno dei suoi tanti film, realizzati insieme con suo fratello Carlo, scomparso circa cinque anni fa. “Parla come magni”, avrebbe detto Nando Mericoni, detto l’americano.
«Hemingway ha spettinato i giochi, con i suoi romanzi ci ha insegnato che a parlare devono essere i protagonisti, i personaggi: dunque, quale miglior strumento se non il discorso diretto».

Dicevamo di Ennio Flaiano.
«A casa, a pranzo, a cena, mio padre invitava Risi, Monicelli, De Sica, Comencini, Lattuada, al quale devo il mio debutto cinematografico con “Oh Serafina”, e ancora Scola, Maccari, Zapponi, Age e Scarpelli, Sonego, Vincenzoni, intellettuali come Flaiano, Patti, Brancati, Longanesi; casa si riempiva di cinema, il vero cinema: fu uno di quei giorni che mi venne l’ispirazione: voglio scrivere; così qualcuno mi indirizzò a Flaiano, personaggio strepitoso, battuta fulminante, libri e sceneggiature veri e propri saggi di ironia: “Ennio, mi piacerebbe diventare uno scrittore”, e lui: “Pensa che…fortuna: hai davanti a te, il sottoscritto, senza nulla togliere al resto dei presenti, il migliore scrittore italiano! Leggi le mie cose: quando non ti sarà chiara qualcosa, domanda, senza problemi”».
Qual è l’insegnamento?
«Chi osserva il mondo, la battuta l’acchiappa: devi scrivere come parla la gente; per fare lo scrittore bisogna amare il cinema, leggere tanti libri, frequentare musei, ascoltare musica, andare a teatro, al bar, sull’autobus, fare sesso; le commedie: un umorista francese diceva: speriamo che il mondo resti ridicolo».
E Albertone?
«Lattuada mi volle accanto a sé per “Oh Serafina”, avevo appena ventitré anni, Pozzetto venne a cenare a casa per conoscere Sordi; non appena arrivò, Renato si alzò per stringere la mano ad Alberto: “Maestro, che piacere…”, fece Pozzetto. E Sordi, “Stai, stai, ma tu chi sei Cochi o Renato?”. Alberto era così. Sordi, nel suo lavoro ha osservato gli italiani, li ha imitati, finché il suo modello non è diventato talmente forte che gli italiani ad un certo punto hanno cominciato ad imitare lui».

Vanzina, la fortuna di conoscere Totò.
«Il Principe abitava non molto lontano da casa nostra e io e Carlo andavamo spesso a trovarlo; elegante, altra cosa rispetto ai suoi personaggi: lo guardavamo con ammirazione e stupore, specie da quando papà ci aveva portati sul set di “Totò Diabolicus”: ci era rimasto impresso il Principe vestito da donna, quella era vera arte, fare cinema, interpretare uno, due, tre personaggi diversi fra loro».
Poi c’è anche Proietti.
«Ci invitarono negli Stati Uniti, Sordi e De Sica in un’auto, io e Gigi in un’altra; loro a cena, noi al Madison Square Garden per ascoltare Ray Charles: entriamo e ci troviamo davanti ad una muraglia umana, nera, non c’era un solo bianco; Gigi a quel punto sfodera un sorriso alla Mandrake, tipo “Febbre da cavallo”, e testuale: “Enri’, me sto a caca’ sotto…”».
Paolo Villaggio, altra icona del nostro cinema.
«Inghilterra, riprese di “Io no spik inglish”. Villaggio suggerisce una serata al “Bucaniere”, vecchio pub londinese. Prenotiamo una settimana prima. Chiusura alle nove di sera. Arriviamo alle 9.01. “Too late”, ci respingono. Insistiamo, invochiamo uno strappetto alla regola, niente: andiamo via bastonati. Pochi metri dopo, in un vicolo, alle mie spalle sento la voce narrante di Villaggio-Fantozzi: “Capri, Ferragosto, cinque del pomeriggio: Antonio sta abbassando la saracinesca del suo ristorante, “I Faraglioni””; gli piombo alle spalle: “Antonio, siamo in quindici…”. E lui, alzando la saracinesca: “Non c’è problema, dotto’…”. Questo era Villaggio, uomo di grande spirito e immensa cultura».

Romanità, romanismo, cose che la legano a Verdone.
«Carlo, siamo grandi amici. Ci sentiamo quasi tutti i giorni. Uscire con lui è come uscire con Totti, a Roma non fai due metri senza essere fermato. Mi piacerebbe dirigerlo in un film, è complicato: lui lavora con se stesso, lo ha fatto appena con Sorrentino e Veronesi, ma ho la sensazione che ce la farò. Io e lui ci riteniamo maratoneti del cinema, altri sono centometristi, li superi che hanno già il fiato corto».
Come in uno dei suoi film, scorrono i titoli di coda. Enrico Vanzina e considerazioni sparse.
«La più grande commedia all’italiana: “Il sorpasso” di Risi con Gassman e Trintignant; fra i titoli miei e di mio fratello Carlo: “Il cielo in una stanza” con Elio Germano; la più grande attrice comica del nostro cinema: Monica Vitti; battute amate e odiate: “E anche questo Natale s’o semo levati dalle palle!”, Garrone da Vacanze di Natale, una persecuzione; “Invecchiare fa schifo!”, Virna Lisi da “Sapore di mare”: in realtà invecchiare non fa affatto schifo; la Puglia, la amo, è bellissima, devo tornarci con più calma: con Abatantuono, origini pugliesi, ho lavorato per diversi film sul suo “terrunciello”, divertimento allo stato puro; poi, sfondo una porta aperta: trovo divertenti Checco Zalone, Pio e Amedeo, che ho incontrato di recente».