Liberata la giornalista italiana fermata a Teheran

Trattative serrate, alla fine fra Iran e Italia viene raggiunto l’accordo. Tre settimane prigioniera nella capitale estera. Le telefonate fra la blogger e i genitori. Governo e Ministero degli Esteri in campo

 

È finito dopo tre settimane l’incubo vissuto da Cecilia Sala, la ventinovenne giornalista italiana chiusa in una cella in Iran, nel carcere di Teheran.
Ventuno giorni di tensione per i familiari della Sala e i diplomatici del governo italiano per portare a casa nel più breve tempo possibile la giornalista del Foglio.
L’arresto di Cecilia Sala lo scorso 19 dicembre in Iran, un fermo quasi ad orologeria: il giorno prima del suo ritorno in Italia. La giornalista viene bloccata dai pasdaran, a Teheran, dove si trovava con regolare visto per raccogliere sul posto materiale da pubblicare sul suo podcast (“Stories”).
Il suo fermo e l’avvenuta detenzione nel carcere di Evin, a Teheran, vengono resi noti solo dopo Natale, il 27 dicembre. Notizie ufficiali da parte del governo iraniano parlano solo di generici “comportamenti illegali”.

 

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I PRIMI CONTATTI

Durante i primi giorni di detenzione, Cecilia Sala parla due volte con i genitori invitando chi si sta occupando della trattativa ad essere sollecito nel condurre il dialogo per il suo rilascio. Primo incontro con Paola Amidei, ambasciatrice italiana in Iran. La conversaziine dura mezz’ora. “È in buona salute – le prime dichiarazioni ufficiali rilasciate dal ministro degli Esteri Antonio Tajani riportate dall’Ansa –  Cecilia è in una cella da sola, a differenza della giovane Alessia Piperno che, invece, nella sua detenzione era in cella con altre persone che non parlavano nessuna lingua se non la loro; adesso riceverà attraverso il Ministero degli esteri dell’Iran, su consegna della nostra ambasciata, beni di prima necessità”.
I pacchi con i beni, però, non sono ammessi e in una successiva telefonata con la famiglia, Cecilia dice che sta dormendo a terra senza materasso, con una coperta contro le fredde notti iraniane e senza gli occhiali per leggere o per ripararsi dalla luce sempre accesa.
Sono le condizioni cui è sottoposta la giornalista a fare accelerare anche interventi politici, attività social e manifestazioni di solidarietà in tutto il Paese.

 

 

ARRIVA L’ACCELERATA

Ancora un’accelerata: Tajani convoca alla Farnesina l’ambasciatore iraniano, mentre la premier, Giorgia Meloni, un vertice a Palazzo Chigi. Fino al 3 gennaio, quando l’ambasciatrice italiana, Paola Amadei, viene ricevuta al ministero degli Esteri di Teheran.
Renato Sala e Elisabetta Vernoni vengono ricevuti a Palazzo Chigi dalla premier che assicura il massimo impegno per riportare a casa la giornalista. A sorpresa, lo stesso 2 gennaio, la premier vola a Mar-a-Lago per incontrare il presidente americano Donald Trump.
Lunedì 6 gennaio, giorno dell’Epifania, la portavoce del governo di Teheran afferma che l’arresto di Sala non vuole essere una ritorsione del suo Paese per il fermo di Mohammad Abedini Najafabad.
Infine una nota di Palazzo Chigi. Annuncia la liberazione di Cecilia Sala, non appena l’aereo che riporta a casa la giornalista si alza a volo da Teheran.