Diciannove anni, maliano, orfano di papà e mamma, studente modello, gli zii gli negano appena cinque euro. «Non potevo comprare penna e quaderno, lasciai la scuola. Picchiato in Libia, scappai, fui riacciuffato. Devo molto all’Italia, voglio sdebitarmi, ma anche domani tornerei in Africa»

«Scappato dal mio Paese per cinque euro!». Il costo di una penna e un quaderno, che gli zii rifiutarono di comprargli. Boubacar, diciannove anni, maliano, fede musulmana. Una storia fatta anche di umiliazioni, prigionia, botte alla cieca e fughe. «Avevo perso mamma e papà, mi restava una sorella: non sapevo più dove andare e i miei zii, che allora ringraziai per avermi accolto sotto lo stesso tetto, mi accolsero». Un racconto a tratti, “Bouba”, tanta voglia di fare, a cominciare da un mestiere che sente suo, l’elettrauto, si spiega a gesti: non si sente padrone della lingua e, allora, va cauto, teme di sbagliare. Poi prende coraggio davanti a un espressino. Si slega, si apre poco per volta, dà fondo al suo italiano. «Sono qui, in Italia, dall’aprile di quest’anno, pochi mesi, ma l’italiano, mi dicono, lo sto imparando a passi lunghi e ben distesi».

Sarà anche per l’altezza, più di due metri, che i passi compiuti con l’italiano sono incoraggianti. «Sto imparando grazie alla pazienza – confessa Boubacar – di una signora che fa le pulizie nel Centro di accoglienza “Costruiamo Insieme” del quale sono ospite; quando non capisco il senso di una frase, una parola, lei mi spiega, io apprendo, assorbo come se fossi una spugna».

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UNO STUDIOSO, POI UN AIUTO NEGATO

La capacità di apprendimento. Era un ragazzo promettente, Boubacar, fra i banchi di scuola. Lo dicevano i suoi insegnanti. Poi gli zii, una decisione alla quale ancora oggi il giovane fuggito dal Mali non sa dare risposta. «Sarei andato avanti con gli studi, mi piaceva e mi piace ancora oggi studiare, apprendere; invece non so perché mi rifiutarono quei cinque euro con i quali avrei comprato penna e quaderno: mi sentii ferito, i miei zii che dicevano di considerarmi un figlio, davanti a una somma anche nel mio Paese non eccessiva, mi rifiutarono l’aiuto; passai notti insonni, era ed è una ferita che non ho ancora rimarginato: “perché”, mi domandavo, “non posso più andare a scuola?”; non era tutto vero, allora, non mi consideravano un figlio!».

Così, un giorno, Boubacar, va via dal Mali. L’accelerata, un secondo episodio. «Una ragazza non mi piaceva, non che fosse bella o brutta: non mi piaceva, punto; dalle mie parti, però, il rifiuto per una famiglia è una grave offesa per, così misi insieme le due cose, la scuola e l’odio dei parenti della ragazza, e decisi di andare via: avevo fatto il mio tempo, a malincuore dovevo cambiare aria».

A malincuore. Perché “Bouba”, in Africa, vorrebbe tornarci. «Non in Mali, ma in qualche altro Paese sì: amo la mia terra, ma vedo la mia vita altrove; e se non fosse Africa, anche l’Italia, la Francia: mi piacerebbe trovare lavoro da elettrauto, mettere a frutto i miei studi e l’esperienza maturata già da ragazzino con la testa infilata nel vano motore, come meccanico ed elettrauto».

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BLOCCATO IN LIBIA, LA FUGA, LE BOTTE…

La fuga, bloccato nella solita Libia. «Il colore della pelle non puoi nasconderlo – spiega – vedono che sei nero, ti fermano, ti chiedono i documenti e se non hai soldi, sei spacciato: ti riempiono di botte, ti picchiano con le armi; vanno giù duro, fino a quando non esce sangue: se non ti provocano una ferita sanguinante, non li fermi nemmeno se li preghi perché smettano una buona volta!».

Sei mesi, due fughe. «Sono stato anche male in salute – racconta ancora Boubacar – nella sventura mi ritengo fortunato, vivo per miracolo: non mi hanno gettato per strada, considerando che non avevo denaro per pagare la mia libertà». «Sono fuggito una prima volta – ricorda infine il giovane maliano – ho fatto mille lavori, messo da parte un po’ di soldi, ma sono stato riacciuffato e messo daccapo in prigione: ho dovuto tirare fuori quel poco di denaro che avevo messo da parte per riscattarmi; viaggio della speranza a bordo di un gommone nel quale eravamo in settanta e, finalmente, l’Italia: un Paese accogliente, lo dico con il cuore, non so come sdebitarmi…spero un giorno di poter ricambiare tutta la mia riconoscenza nei confronti degli italiani».