Pierfrancesco Galati, laureato in Beni musicali, ha sconfitto un linfoma

«Mollare mai, mi sono scoperto tutt’alto che fragile. In corsia ascoltavo e mi davo coraggio con l’aria “Nessun dorma” dalla Turandot di Puccini. Diamo voce all’Ail, ma anche al problema sanitario, a quanto vive la nostra Terra dei fuochi…»

Per la rubrica “Assistenti e assistiti”, a cura di “Costruiamo Insieme”, l’incontro con Pierfrancesco Galati, avetranese, a suo tempo paziente dell’Ospedale “San Giuseppe Moscati” di Taranto a causa di un linfoma e, oggi, fra i più attivi collaboratori dell’AIL, l’Associazione contro le leucemie molto impegnata sul territorio.

Un incontro avvenuto, quello con Pierfrancesco, alla celebrazione del Venticinquennale dell’associazione al teatro comunale “Fusco” di Taranto. Un intervento, il suo vissuto, che emozionò non poco l’intera platea.

«La mia è una delle storie maledette provocate da un territorio malato, il classico fulmine a ciel sereno: qualcosa che non si può prevedere, ma che nel momento in cui arriva – parlo della prima diagnosi – ti getta immediatamente nello sconforto; poi, però, ti tocca tirare fuori il carattere: rifletti e passi al contrattacco, mai abbattersi, è necessario reagire con forza. Fu così che mi scoprii tutt’altro che fragile».Galati 03 Raccontasti dei primi timori.

«Certo, nessuno vuole vestire i panni del supereroe, anche io non appena varcai la soglia del reparto di Ematologia dell’Ospedale Moscati di Taranto, fui assalito dalla paura: avevo da poco portato a compimento gli esami di maturità al liceo Archita di Taranto; meno di venti anni, dovevo programmare il mio secondo ciclo di studi, quello universitario, Beni musicali e Perugia: purtroppo una diagnosi pose un brusco freno ai miei sogni,  la vita avesse deciso di mettermi a dura prova».

Le prime cure.

«Fui sottoposto a una terapia chemioterapica. Non finirò mai di ringraziare il primario di Ematologia, Patrizio Mazza, che sulle prime mi nascose i motivi del mio ricovero nel suo reparto: evidentemente pensava fossi fragile dal punto di vista emotivo; insistetti per sapere cosa in realtà avessi: mi rivolsi a lui, all’equipe medica, le dottoresse Specchia e Albano, angeli della corsia, che sostengono Mazza nel suo nobile lavoro».

La prima umana reazione alla diagnosi, un maledetto linfoma.

«Scoppiai a piangere, un momento di umana debolezza: “Pierfrancesco – mi dissi, però – devi rimboccarti le maniche, per risalire il baratro devi cominciare a lottare: più di sei mesi di ricovero, dieci anni fa, dal giugno al dicembre del 2009, per uscirne vincente; in qualità di studioso, presi dalla Turandot di Puccini il motto di Calaf, il principe che celebra la sua vittoria con la leggendaria “All’alba vincerò!”: mi facevo spesso compagnia con l’aria “Nessun dorma”; i giorni passavano, reagivo positivamente, nonostante alcuni miei compagni di stanza, Antonio, Biagio, Mario, fossero venuti a mancare con mio sommo dolore».

Quella con l’AIL è una battaglia che conduce anche a nome loro.

«Faccio il possibile per dare voce al problema, dopo quel ciclo di cure sono diventato socio AIL: non volevo essere un’anima che impietosisce, bensì un caso risolto, utile a incoraggiare quanti hanno avuto un problema simile al mio e fortunatamente debellato».Galati 04Quanto conta esser forti nell’aggredire un male così malvagio?

«Il male va aggredito, occorre mostrargli i muscoli; infischiatevene se qualcuno dicesse che il pianto è segno di debolezza: è, invece, un sano sfogo dal quale ripartire per avere ragione di qualcosa che vuole impossessarsi del tuo corpo; ha presente quando dicono “il paziente sta reagendo bene alle cure”? Significa che quando il malato mostra capacità reattive esistono ottime possibilità che il male venga debellato».

Cosa dice Pierfrancesco ai pazienti che talvolta si lasciano prendere dall’umano sconforto.

«Ripeto: lottare sempre, mollare mai. Anche dopo il peggiore dei temporali può sbucare un arcobaleno: mi rendo conto quanto sia dura, ma non lo dico da teorico, bensì da chi è passato attraverso una esperienza che non auguro a nessuno; ma se ci sei dentro, devi lottare. Costantemente. Oggi, la mia ragazza, familiari e amici, mi incoraggiano a proseguire nella missione e, come dicevo, a lottare: non mollare mai».

Un appello a nome dell’associazione, l’AIL, fra le più impegnate sul nostro territorio.

«Non solo voce all’AIL, alle attività, ai banchetti di iniziative con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica. Diamo voce al problema sanitario, a quanto vive la nostra terra: si è parlato tanto della Terra dei fuochi in Campania, Taranto non è da meno: mi è capitato sentire bambini ricoverati piangere a causa di interventi delicati, tutto questo deve finire e solo con l’impegno di tutti possiamo avere ragione di un male con il quale ci siamo stancati di convivere».