Un team italiano avrebbe scoperto un “interruttore”

Uno studio starebbe per “pensionarle” con largo anticipo. Fondamentale sviluppare approcci terapeutici destinati a colpire malattie dal cancro alle patologie legate all’età. Protagonista il gruppo dell’Area Medica dell’Università di Udine. Le opinioni di addetti ai lavori e la pubblicazione della scoperta su riviste internazionali specializzate.

 

Non ci fosse di mezzo ancora la pandemia, la notizia riportata dalle agenzie di tutto il mondo, avrebbe del sensazionale. Ci inorgoglirebbe come nessun’altra cosa, specie in un momento così critico e all’interno del quale non c’è pietà per gli italiani. Ma andiamo per ordine: un nuovo “interruttore”, per farla breve e per non usare un linguaggio troppo scientifico, c’è tempo e spazio per fare ricorso a un dizionario tecnico, starebbe per “pensionare” le cellule con largo anticipo.

Questo sistema, un “interruttore” si diceva, eviterebbe la replica incontrollata – così come accade nel cancro – è stato scoperto dal Gruppo di Biologia cellulare del Dipartimento di Area Medica dell’Università di Udine. Un successo tutto italiano ripreso, come accade in casi come questi, da una rivista scientifica: “Genome Biology”, pubblicazione che fa parte del gruppo editoriale Springer-Nature.

Nel dettaglio, entra Claudio Brancolini, coordinatore del Gruppo di ricerca. Intanto ricordando il contributo dato allo studio dagli scienziati dell’Università La Sapienza di Roma e il sostegno di “Sarcoma Foundation of America” e del progetto “Epic Interreg Italia-Austria”. «Acquisire conoscenze sulla regolazione epigenetica della senescenza – dice Brancolini – è fondamentale per poter sviluppare promettenti approcci terapeutici destinati a colpire malattie come il cancro o patologie legate all’età». Attraverso questo lavoro svolto in equipe, è stato individuato, si diceva, un “interruttore”, insomma un nuovo regolatore epigenetico, oltre a quelli che già erano noti da tempo: l’HDAC4, responsabile per la ri-organizzazione del genoma nella cellula senescente. E’ quanto spiega il coordinatore del Gruppo di ricerca che fa cappo agli studiosi del Dipartimento di Area Medica dell’Università di Udine.

 

MAPPATURE EPIGEMOMICHE

Utilizzando tecniche di modificazione del genoma, conosciute come CRISPR-Cas9 (Premio Nobel 2020) ed eseguendo mappature epigenomiche, il team friulano ha dimostrato che proprio la proteina HDAC4 viene degradata durante la senescenza e questo permette l’attivazione di particolari regioni del genoma, definite enhancer e super-enhancer, che funzionano proprio come fossero direttori d’orchestra per attivare il programma di senescenza.

«E se è vero che si tratta di una condizione fisiologica legata in parte all’avanzare dell’età – ha spiegato Brancolini – la “senescenza cellulare” è anche un vero e proprio salvavita; di fronte a mutazioni del DNA, capaci cioé di provocare malattie come il cancro, il fatto di mandare una cellula in arresto proliferativo anzi tempo, interrompendone il ciclo vitale, consente di scongiurarne la proliferazione incontrollata permettendo così all’organismo di difendersi con efficacia da attacchi potenzialmente mortali». In estrema sintesi, “spegnere” questo regolatore epigenetico – permetterebbe alla cellula di invecchiare mettendo fine al ciclo vitale e alla sua capacità di replicarsi.

 

SCOPERTA SENSAZIONALE

Scoperta sensazionale che ha avuto numerosi apprezzamenti a qualsiasi livello e che è stata commentata anche da numerosi ricercatori. «Fino a questo momento – ha dichiarato Eros Di Giorgio, ricercatore Airc –  si pensava che questo processo fosse soltanto un meccanismo di allarme, per spronare il sistema immunitario a riconoscere le cellule invecchiate e ad eliminarle così da promuoverne il ricambio: oggi sappiamo che, oltre a questo, c’è soprattutto la necessità di mantenere la cellula il più possibile integra ed in buona salute bloccando così l’accumularsi di alterazioni che alla lunga sono responsabili del cancro».

Il team di ricerca, intanto, prosegue nello studio per trovare il sistema e bloccare definitivamente – con l’ausilio di questo “interruttore” – l’alimentazione delle cellule tumorali e spegnendone la proliferazione. Una scoperta che avrebbe avuto un che di clamoroso, se non ci fosse stata di mezzo una sciaguratissima pandemia, ma che apre la strada a terapie totalmente innovative nel campo dei chemioterapici in grado di modulare il metabolismo cellulare, fattore critico nell’aggressività del tumore. E questa sì che sarebbe la scoperta del secolo.