Guardare ai bisogni e costruire opportunità

Marc Augè ha spiegato che “Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale, né storico definirà un non luogo”.

Il carcere, come qualunque altra Istituzione Totale, priva il detenuto della propria identità, con l’imposizione di regole rigide ed autoritarie. Goffman ha scritto che “ le istituzioni totali spezzano o violentano proprio quei fatti che, nella società civile, hanno il compito di testimoniare a colui che agisce e a coloro di fronte ai quali si svolge l’azione, che egli ha un potere sul suo mondo, che si tratta cioè di persona che gode di autodeterminazione, autonomia e libertà “adulte”. Ci sono alcuni agi che vengono perduti al momento dell’ingresso in una istituzione totale . Una tale perdita può anche tramutarsi in una riduzione di autodeterminazione perché l’individuo tende ad assicurarsi questo tipo di agi quando ne ha i mezzi”.

Il grado di afflizione connaturato con la sanzione penale resta inevitabile ed appare ineliminabile anche ai giorni nostri. Superando il pensiero del Beccaria, che nel suo celebre “Dei delitti e delle pene” sancì l’«intangibilità» del corpo del recluso, permane, purtroppo, una forma di distruzione progressiva ed «invisibile», la cui apparenza non vendicativa e non cruenta non deve far dimenticare quanto l’internamento e la detenzione possano essere strumenti di produzione di sofferenza, malattia, tortura fisica e psichica, afflizione, handicap sociale, costringendo una volta di più a domandarsi con forza quali alternative esistano alla pena detentiva che, nella sostanza, eliminino il fattore della crudeltà e riportino il concetto di pena fuori dall’alveo della punizione.

Quante persone restano segregate perché non si sono sviluppati sui territori di provenienza protocolli utili a procedere alla loro presa in carico e, quindi, alla costruzione di percorsi di reintegrazione sociale alternativi alla detenzione in carcere?

Costruiamo Insieme vuole indagare alcuni aspetti legati alla prevenzione di fenomeni patogeni ed alla promozione della salute mentale in carcere per tentare la formulazione di una proposta di intervento che possa risultare un punto di partenza per far sì che si sviluppino le condizioni necessarie per contribuire al superamento dell’inclinazione punitiva della pena e sostenere processi riabilitativi attraverso la costruzione di percorsi fondati sul concetto di opportunità.

Riteniamo necessario riscrivere il paradigma della detenzione ponendo al centro della riflessione e, quindi, dell’azione, la realtà carceraria sovvertendo il sistema di pensiero e di intervento fondato sul concetto di segregazione finalizzata all’espiazione di una colpa.

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2001), la salute è intesa come un dinamico equilibrio tra abilità della persona nel proprio ambiente di vita (performance) e il grado di partecipazione alla vita della collettività in cui vive.

I problemi della società e quelli della salute sono strettamente correlati perché se non si affronta la questione della società è difficile che si riesca a cogliere a fondo il problema della salute.

Su questo fronte, non vi è dubbio che i processi di esclusione sociale prodotti da uno stato di reclusione producono malattia.

La governance di istituti totalizzanti quali le carceri comincia a porsi in termini di problema al legislatore che, seppure di fronte alla palese negazione del senso e del diritto, incontra difficoltà nel programmare una azione riformatrice capace di ribaltare radicalmente l’approccio culturale che ha determinato la costruzione di tali luoghi non luoghi.