Quando torno a casa e sono di cattivo umore, se chiamo a tarda ora figure istituzionali e mi sentono alzare la voce o usare termini poco convenzionali, le persone che mi sono vicine, la mia famiglia, capisce che qualcosa non va, non funziona. Mi conoscono troppo bene e sanno che non litigo con le persone, mi inquieta il “sistema” fino al punto di non riuscire a dormire. E’ una inquietudine che si trasforma in rabbia pensando al lavoro continuo, quotidiano, che i miei colleghi che lavorano nelle strutture di accoglienza dei migranti svolgono con grande fatica spinti dal sentirsi al servizio degli altri, pari come chiunque dovrebbe sentirsi di fronte ad un altro uomo, donna, anziano, bambino. Ad un’altra persona.
E quando succede (e succede spesso!) che il “sistema” si inceppa ti chiedi in quale Paese vivi fino al punto di sentirti decontestualizzato.
Ho trascorso la notte pensando alla correlazione che passa tra doveri e diritti, ovvero al percorso che porta all’accesso ai diritti che passa attraverso il rispetto delle regole, del rispetto delle Leggi come dovrebbe avvenire di solito in un Paese “democraticamente normale”.
Ma dentro il Paese che credi sia “democraticamente normale” incontri, quasi quotidianamente, forme aliene, ti confronti con il surreale. E’ come se ti trovassi a parlare con persone di un altro pianeta ma che vivono e stanno qua con ruoli di responsabilità civile e sociale ricoperti in una inconsapevolezza che spiazza l’interlocutore, che fa cadere le braccia, demotiva (non tutti!).
Io, mi arrabbio e non mi demotivo! Anzi, traggo linfa vitale per andare avanti sul percorso della costruzione del modello sociale della convivenza perché sono sempre più convinto che la fase dell’accoglienza è una fase transitoria, temporanea: un ponte gettato per raggiungere il fine ultimo dell’integrazione.
Non mi scrivete e non mi chiamate per sapere perché sono di cattivo umore.
Non ve lo dico!
Chi ha detto che la mia penna può fare più male di un colpo di pistola forse ha ragione. E sa che è inchiostro che scorre nel sangue.
Ma ho bisogno di qualcuno che insieme a me condivida l’odio profondo di fronte ad atteggiamenti che puzzano di discriminazione, di rifiuto dell’altro, di esclusione.
In un Paese che ha finalmente adottato il primo Piano per l’Integrazione, è brutto svegliare di notte Sindaci e Assessori per chiedere che chi vuole adempiere a un dovere possa accedere a un diritto che, per Legge, è diventato un dovere!
Sicuramente non sono simpatico a molti, ma perdonatemi il difetto di esternare il mio pensiero.
E come dico sempre alla mia compagna, prendetemi come sono!