Barack Obama, memorie che fanno rumore

L’ex presidente USA, lancia stoccate a Sarkozy e Putin. «Il primo un nano, il secondo un boss di Chicago». Bene la Merkel, no Erdoğan, un opportunista. Politici italiani, non pervenuti.

Uno un duro di Chicago, l’altro un galletto di piccola statura. Giusto per citare un paio di politici messi un po’ alla berlina. Così, un Barack Obama che non t’aspetti, con una punta di malizia e una di ironia, pubblica “Una terra promessa”, libro nel quale scrive dei suoi anni trascorsi alla Casa Bianca e fa pelo e contropelo alla politica internazionale. Fa di più, traccia il profilo istantaneo dei suoi omologhi, ai tempi della sua presidenza negli Stati Uniti, come se fosse un cronista sportivo che a fine gara assegna le pagelle ai giocatori in campo, siano essi calciatori, cestisti o rugbisti. Merito degli editori (in Italia pubblica Garzanti), che evidentemente gli hanno spiegato che di questi tempi per vendere un libro occorra metterci del pepe, altrimenti esiste il serio pericolo che la pubblicazione resti fra gli scaffali. Al massimo, Obama avrà ceduto su quello che poteva essere un ulteriore tassello diplomatico, accettando di rendere la sua pubblicazione per, come dire, scoppiettante.

Ne fanno le spese, più degli altri Putin e Sarkozy, presidenti di Russia e Francia, il primo indicato come un boss della vecchia Chicago, l’altro come un galletto sì, ma di modeste proporzioni. La Merkel ne esce bene, rispettata per la sua risolutezza. Italia, non pervenuta. Secondo qualcuno meglio così, secondo il nostro modesto avviso ignorata del tutto, forse per un appeal politico che, attualmente, il nostro Paese non può vantare. Ma, non potendo entrare nella testa di Obama, prendiamo a prestito i primi stralci di  “Una terra promessa”, e valutiamoli per quello che sono: anticipazioni di memoria di un presidente degli Stati Uniti, primo nero della storia ad accomodarsi nella stanza dei bottoni della Casa Bianca e che, in questo suo libro, non manca di sferrare stilettate, piuttosto che sfottò. E bravo, Obama. In un colpo solo si sfila giacca e diplomazia, e scrive, scrive, scrive.

SARKOZY, «UN “TAPPO”»

Così, l’ex presidente USA nella sua autobiografia si lascia andare a commenti sui leader politici mondiali. Prende di mira, il francese Nicolas Sarkozy per il suo aspetto. Nel 2011, durante il G20 nel fare i complimenti al presidente francese per la nascita della figlia, Giulia, aveva sottolineato la bellezza della madre, Carla Bruni, a discapito dell’aspetto del papà. «In quell’occasione – racconta Barack Obama – ho detto a Nicolas che la figlia era stata fortunata ad aver preso la bellezza dalla madre, piuttosto che l’avvenenza del padre…». Ma nel libro appena pubblicato, Obama sembra andare giù più duro, piccone e badile insieme, tanto da sembrare volutamente più spietato.

Secondo il Corriere della Sera, Obama ha commentato così uno dei passaggi del suo libro sull’ex leader francese: «Tratti scuri, vagamente mediterranei – mezzo ungherese e per un quarto ebreo greco, cesella – e la sua bassa statura (1.66 centimetri, con rialzi nascosti nelle scarpe per sembrare più alto), Sarkozy sembrava uscito da un quadro di Toulouse-Lautrec». Non finisce qui, l’ex presidente americano sottolinea le mani del povero Nicolas messo alla berlina, sempre in movimento e con il petto gonfio come un gallo.

Per farla breve, un nano. Dal suo 1.85, Obama guarda dall’alto in basso l’ex Capo di Stato francese. E non si limita a scherzare sull’aspetto fisico di “Sarkò”. Tocca anche quello mentale, perché aveva sempre accanto a sé il suo interprete perché «parlava un inglese limitato». Stoccatina: «A differenza della cancelliera tedesca Angela Merkel…».

Non lo convinceva nemmeno il suo modo di fare politica. «A differenza di Merkel – seconda stilettata, anche questa mica da ridere – quando si trattava di governare, Sarkozy faceva una gran confusione, guidato spesso dai titoli dei giornali o dalla convenienza politica». Obama non trascura la missione in Libia, alla quale, alla fine, aveva partecipato in modo poco convinto, quasi costretto ad accettare dall’inglese David Cameron e dall’ex presidente francese, che dovevano risolvere i loro problemi politici all’interno delle Nazioni da loro governate.

«PUTIN, UN BOSS…»

Poca roba, rispetto al passaggio in cui Obama parla dell’entusiasmo infantile manifestato dall’allora presidente della Francia alla fine del G20 londinese del 2009, quando prese sotto braccio lui e il segretario del Tesoro Tim Geithner. «Questo accordo è storico, Barack! Merito tuo! No, no, davvero!», dice Sarkozy, che in seguito urla il nome del segretario al Tesoro come se fosse un tifoso allo stadio. «Non ho potuto che mettermi a ridere – ricorda Obama nelle sue memorie – non solo per l’imbarazzo evidente dello stesso Tim, ma anche per l’espressione affranta sul volto di Angela Merkel, che fissava Sarkozy come una madre guarda un bambino troppo vivace».

E così il presidente francese si è preso anche del «bambino troppo vivace», mentre la Merkel in quell’occasione, considerata con ammirazione. Obama non risparmia Vladimir Putin e il turco Recep Tayyip Erdoğan. Il primo accostato a uno di quei politici di Chicago, un duro tipo da strada, «un boss locale, solo con le testate nucleari e il diritto di veto all’Onu». Il secondo, attaccato alla democrazia solo finché utile al suo potere. Nessuna allusione ai politici italiani. Secondo qualcuno meglio così, secondo noi, invece, del tutto ignorati. Evidentemente nella politica internazionali considerati pesi leggeri e per questo “non pervenuti”.