Suor Chiara Francesca Lacchini, clarissa cappuccina

Cercavo una vita cristiana che avesse un senso. Non mi ha parlato Dio, ho incontrato persone che hanno suscitato interrogativi. E nella vita c’è desiderio di felicità. Il convento, da sempre, è luogo di libertà per le donne.

L’occasione, questa volta, è di quelle interessanti, potendo ospitare nello spazio informativo di “Costruiamo Insieme”, nostro spazio informativo una clarissa cappucina, Suor Chiara Francesca Lacchini.

Clarissa cappuccina, il significato.

«Di ispirazione francescana, viviamo secondo la regola di Santa Chiara di Assisi mutuata da una riforma all’interno della Chiesa; nasce nel 1530 a Napoli, ad opera di madre Maria Lorenza Longo che istituisce,  anzitutto, l’Ospedale degli incurabili e una serie di attività caritative a favore dei poveri. Alla fine della sua vita si ritira in un luogo a pregare e costituisce il nucleo di quello che poi diventerà l’Ordine delle Clarisse cappuccine».

Cosa induce una scelta così forte?

«La risposta sarebbe complessa. Volendo semplificare, una scelta di questo tipo è indotta soltanto dallo scoprire che nella vita c’è un desiderio di felicità più grande che non può essere appagato, non può trovare risposte sufficientemente interessanti anche in tutte le cose belle che pur la vita offre».SUORA Articolo 01Lei ha fatto una scelta precisa. Il Signore si può pregare in tanti modi.

«Non esistono scelte più o meno severe, più o meno importanti. Ci sono scelte corrispondenti per quello per cui noi siamo fatti. Sono scelte religiose, di fede, ma anche antropologiche; ognuno di noi è strutturato in modo diverso, e secondo la propria struttura cerca di individuare delle strade di vita; non lo porrei su un discorso strettamente qualitativo: faccio semplicemente quello che faceva per me».

Quanto, oggi, è valorizzata la voce delle donne all’interno della Chiesa cattolica romana?

«Dipende in che ambiti. A livello istituzionale c’è un grosso dibattito, non senza qualche polemica, anche se ci auguriamo ci siano strade di riflessione comune. In questi giorni si è aperto un dibattito per ciò che riguarda il diaconato alle donne; in ambito monastico, il Monastero è stato sempre un luogo di libertà e affrancamento per le donne; anche in tempi in cui sembrava che le regole fossero molto restrittive, di fatto una donna all’interno di un monastero poteva essere libera da tutte quelle costrizioni delle famiglie, dei mariti, dei padri che in qualche modo – oggi ci stupiamo – una volta erano molto forti, molto potenti, esistevano certi condizionamenti da cui risultava difficile sganciarsi; all’interno del monastero c’era la possibilità, pur restando sotto delle regole che potevano essere molto rigide, la possibilità di muoversi con una certa libertà e autodeterminarsi nel cammino della vita».

Domanda delle Cento pistole per dirla con Dumas. Qual è il rapporto con la clausura?

«E’ un rapporto molto complesso, forse caotico, forse problematico, ma lo diventa ancora di più se immaginiamo la clausura per luoghi comuni o ideologie; oggi, come ieri, la clausura è sotto il manto di grandi miti da sfatare: le “sepolte vive”, per esempio, considerare chi fa una scelta di questo tipo come “morta”: è una scelta di separazione, ti chiede da un lato delle limitazioni, di vivere in uno spazio circoscritto, di regolare le tue relazioni secondo delle priorità che ti sei dato e che poi hai scelto; allo stesso tempo, però, è uno spazio privilegiato, che puoi difendere a denti stretti per la tua solitudine, per la tua relazione con il Signore e quella con gli altri; e comunque, oggi la clausura è sotto un grande cammino, un grande passaggio – non tanto perché il valore della clausura non è più lo stesso – tanto perché viene pensato e ripensato dentro un contesto sociale e culturale differente rispetto a quando è nato».
SUORA Articolo 02Da Dumas a Manzoni, ci verrebbe da dire. La visione che abbiamo della clausura è in qualche modo quella manzoniana.

«La Monaca di Monza. E’ un figura che meriterebbe maggiore approfondimento, di recente sono stati editati i diari originali della famosa Suor Gertrude, la “Monaca di Monza” che dicono tutt’altro: la monacazione forzata era uno degli aspetti esistenti all’interno della Chiesa e sollecitati dalle famiglie; la famosa Suor Gertrude desidera opporsi con tutta se stessa e si reca dall’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, a chiedere di essere liberata da questa costrizione; le vicende vanno in altro modo ed è costretta a subire qualcosa che di per sé non rispondeva a quella che era la realizzazione della sua vita».

Suor Chiara, clarissa cappuccina. Quando e come le è giunta la vocazione, questa vocazione.

«La vocazione non è un fulmine a ciel sereno. E’ frutto di un processo, di una ricerca; come tutti i ragazzi, studi, fai attività – non è dunque un intervento diretto da parte di Dio, di solito usiamo metafore del tipo “Dio mi ha parlato”: Dio non parla se non attraverso circostanze, volti, parole – io ho incontrato persone che mi hanno fatto interrogare sulla significatività di una vita cristiana che avesse un senso, portasse in una direzione, potesse dare alla vita qualcosa di più forte, più significativo».