Fatimah, musulmana, volontaria, sogna un futuro da legale
«Siamo tutti uguali, nel cassetto ho la voglia di fare rispettare i diritti. Chiunque esso sia, italiano o straniero. Ho prestato soccorso ai profughi, lavorato nei campi e studio da avvocato. Viaggio fra Puglia, Calabria e Sicilia, ovunque ci sia da aiutare il prossimo. Amo questo Paese, sono felice che anche al Nord ora pensino che ospitare gli extracomunitari sia una buona cosa…»
Fatima, in Italia e nel mondo cattolico è un nome evocato per indicare e pregare “Nostra Signora” e la località in Portogallo dove sarebbe apparsa più di un secolo fa. Fatimah, acca finale è, invece, un nome arabo, tipicamente islamico, che significa, fra le altre cose, “colei che svezza i bambini”.
E’, però, anche il nome della protagonista della nostra storia. Fatimah, fede musulmana, da tempo residente in Puglia, è impegnata con un’associazione di volontariato. Questa sua attività la conduce spesso a ricordare esperienze fatte in soccorso al prossimo, a cominciare dai profughi, quella gente che fugge dal proprio Paese in guerra.
«Viaggi lunghi e brevi, i miei – racconta Fatimah, collo e capo avvolti da una kefiah – quando il mio impegno nei campi e nello studio, mi permettono di allontanarmi per un po’ di giorni da casa». Vive a Massafra, pochi chilometri da Taranto. Quando può, lavora nei campi. Ce l’ha presentata Samuel, nigeriano, suo collega, anche lui residente nel comune della Terra delle gravine. Lei, proveniente dal Benin, oggi di Samuel è in qualche modo concittadina. «Mi muovo all’interno della Puglia, spesso mi reco in Calabria e in Sicilia, dove ho tanti amici: ovunque chiedano la mia presenza – parlo ovviamente di attività lavorativa e volontariato – lì ci sono io: se mi spaventa muovermi così spesso? Basta farci il callo, cominciare a pensare che il nostro tetto non è casa nostra ma l’intero cielo, e i nostri fratelli non sono i nostri vicini di stanza, ma quanti hanno bisogno di noi, da chi sta bene e chiede solo un sorriso, a chi sta male e invoca cure».
AMICI OVUNQUE…
Non le dispiace doversi spostare da una città all’altra, salutare gli amici e andare a trovarne degli altri. «E se non conosco ancora quanti incontrerò – puntualizza – vuol dire che sono in procinto di allargare la cerchia di amicizie; tutti, me compresa, abbiamo bisogno di un sorriso, una mano tesa, qualcuno che si prenda cura di noi nel caso ne avessimo bisogno; c’è stato un tempo in cui mi sono divisa fra una città e l’altra, in seguito agli sbarchi di extracomunitari: era richiesta la presenza di mediatori, ma anche di chi conoscesse francese, inglese e, naturalmente arabo, e io ero fra gli interpreti».
Dicono di nuovi arrivi. «Arrivano in Italia e altri ancora arriveranno – racconta Fatimah – i motivi che spingono i nostri fratelli a scegliersi un altro angolo di cielo, sono sempre i soliti: fame, politica, guerra; in una sola parola: disperazione; molti extracomunitari, però, proseguono il loro viaggio, non si fermano al Sud; dopo aver fatto un documento d’identità valido per viaggiare in Europa, scelgono altre destinazioni».
Parla di un aspetto, Fatimah, in qualche modo politico. Lo fa con la discrezione di chi non vuole essere fraintesa. Misura le parole. «Ricordo che alcune città del Nord – spiega il suo punto di vista – agli inizi degli sbarchi non volevano sentir parlare di extracomunitari; sindaci e cittadini si trovavano di punto in bianco d’accordo sul respingere gli “invasori”, che altro non cercavano se non un po’ di serenità, dopo aver visto morire parenti e rischiato di fare la stessa fine: meglio così, però, mi dico; spero solo che quanti sbarcano da queste parti, Sicilia, Calabria o Puglia che sia, abbiano anche altrove la stessa accoglienza che gli italiani hanno saputo dare qui, in Meridione».
FRA GIORNI INCREDIBILI…
La sua esperienza. «Giorni incredibili, ho incontrato uomini, donne e bambini, spesso questi ultimi senza genitori – mandati avanti per poi essere raggiunti dai propri cari, da non crederci… – e, dicevo, profughi. Ogni volta che incontro questa gente, “la mia gente”, la speranza è sempre la stessa: scacciare quella tristezza, quella disperazione che hanno sul loro volto per provare a sostituire queste espressioni con un bel sorriso aprendo il cuore a un futuro migliore. Nei miei viaggi verso destinazioni diverse, la missione è una sola: portare abbracci, sorrisi, una parola di incoraggiamento, dicendo loro che il peggio è passato e, volesse il Cielo, prima o poi riabbracceranno il resto della famiglia o quel che resta, purtroppo, del loro passato».
Una o mille esperienze, hanno in comune la disperazione, spiega Fatimah. «Fadi, ragazzo siriano, meno di trent’anni, una moglie e un figlio, mi ha spiegato il freddo e il disagio, un viaggio infinito e straziante; le notti trascorse al freddo, in una tenda, abbracciato con moglie e figlio per darsi calore e coraggio nello stesso tempo».
…E VOGLIA DI ALTRUISMO
Ha un sogno Fatimah. «I miei amici italiani lo sanno – sorride la ragazza beninese – ne ho uno in un cassetto grande grande, tanto che non so se ci entra tutto, provo ad aprirlo: voglio diventare avvocato, con l’obiettivo di difendere i più deboli, quanti hanno bisogno di conforto e di un minimo di assistenza legale, per fare rispettare i diritti umani: non parlo solo dei miei fratelli africani, ma anche di quanti in questo stesso Paese, italiani, sono spesso ignorati nonostante i loro problemi».
Tira fuori la sua esperienza e il suo spirito di osservazione, Fatimah. «Ne dico una, ma non voglio essere fraintesa – dice – provo a misurare le parole: spesso mi trovo ad assistere a gente che fa la voce grossa per farsi rispettare e chi, magari, avrebbe più bisogno, perché vive con la famiglia in uno stato di grave sofferenza, ma viene puntualmente trascurato; ecco, voglio che tutti, civilmente, avanzino le loro richieste e abbiano tutti un trattamento onorevole».
Onorevole, aggettivo buttato lì. Anche se poi il riferimento potrebbe essere a un sostantivo, considerando il ruolo di parlamentare. «Non parlo di politica – conclude Fatimah – non mi scaglio contro nessuno, non mi schiero da questa o quella parte: mi sono imposta il ruolo di spettatrice nelle vicende politiche che interessano un Paese, l’Italia, che io amo, tanto da sentirmi italiana a tutti gli effetti; mi piacerebbe, però, che il sentimento di uguaglianza fosse non solo teoria, ma sostanza; io, il mio modesto contributo in termini di soccorso lo metto spesso in pratica, lavoro e, quando posso, mi rendo utile al prossimo, chiunque esso sia».