Lucky e la storia di sua moglie Blessing, incinta, che non c’è più (prima parte)
Nigeriano, poco più che ventenne, ha perso la moglie in mare. «L’avevo preceduta, poi una telefonata: “Problemi”, mi dicono, capisco che è una tragedia, lei scomparsa fra le onde con in grembo la nostra seconda creatura. “Questione di giorni, poi ci riabbracceremo per non separarci più!”, mi disse. Ora vivo per Johnny, il nostro primogenito, altrimenti per me sarebbe finita…».
«Mia moglie incinta, Blessing, morta inghiottita dal mare; l’imbarcazione sulla quale viaggiava, colata a picco!». In un rigo la storia di Lucky. “Fortunato”, questo significa “lucky” in italiano. Mai fidarsi dei nomi. A volte raccontano altre storie, talvolta fatte di lacrime e sangue. E’ il caso del nostro Lucky Ibeh, poco più di venti anni, nigeriano, scappato a gambe levate dal suo villaggio, Deta State, dove vive ancora quel che è rimasto della sua famiglia: il primogenito John, lasciato in custodia allo zio che se ne prende come se fosse suo figlio, e una sorella.
«Brutta storia», ci aveva già raccontato Lucky, le mani sul volto, un pianto a dirotto. Inarrestabile, come il dolore. «Mi perseguita giorno e notte, è talmente grande che non avrei voluto sopravvivere alla notizia che Blessing, mia moglie, fosse morta, in mare: di lei più niente, letteralmente dissolta con in grembo la nostra seconda creatura, il nostro secondo sorriso; perché era questo che io, lei e il piccolo John, rimasto in Nigeria, sognavamo: i figli danno gioia, ci ripetevamo; così, mentre fantasticavamo sul nostro futuro lontano dal nostro villaggio e dalle cattiverie, stava per sbocciare sulle nostre labbra e nel suo grembo un altro sorriso, una seconda felicità, che purtroppo non potremo mai raccontare».
Lucky non ce la fa. Gli occhi pieni di lacrime sbucano da quel volto nero, giovane, ma già provato da un dolore immenso. Non è l’unico. Ne ha da raccontare il ventenne nigeriano arrivato in Italia con un primo viaggio dalla Libia. «Con mia moglie avevamo deciso di scappare dal villaggio, perseguitato com’ero: gente che pensa ancora a sortilegi e stregonerie, manovra persone come fossero burattini: io mi ero ribellato alle loro stupide raccomandazioni; era già successo di tutto».VIA DAL VILLAGGIO, NELLE MANI DI UNA BANDA
Lucky e la sua Blessing, via dal villaggio, dalla Nigeria, destinazione un Paese libero. «Non è la Libia, dove ci fermiamo per guadagnare quei soldi necessari a pagarci il viaggio lontano dall’Africa: siamo ostaggio di uno di quei gruppi armati fino ai denti; con la guerra civile, ognuno si “disorganizza” come può: noi disperati diventiamo una risorsa nelle mani di questi malviventi con zero scrupoli, armati come sono di coltelli, pistole e fucili: guai a non fare come ti dicono, hanno sempre il dito sul grilletto; nel loro dizionario non esiste la parola “rifiuto”, la faccenda la risolvono in un istante: “Bang!” e per te è finita».
Con questa banda di malviventi, Lucky fa un patto. «Io e Blessing, già incinta, lavoriamo in un campo: lo scopo è spezzarsi la schiena, ma alla fine mettere insieme quei soldi che ci permettano di pagarci la “fuga”; mia moglie ha il pancione, io i soldi per il viaggio. “Parti prima tu!”, mi dicono i banditi che continuano a tenere in ostaggio mia moglie; ci tengono sott’occhio quando siamo nei campi, siamo il loro conticino custodito nella sacca».
Non ha soldi a sufficienza per tutti e due, l’idea è di Blessing. «Vai prima tu, questione di giorni, poi ti raggiungo: tu vedi che succede, il lavoro non ci impressiona, ci rifacciamo una vita, in Italia o altrove, l’importante è scappare da qui», dice la donna. «Viaggio in mare, io e gli altri sul primo barcone, incrociamo una nave che ci issa a bordo, sani e salvi, arriviamo sulla terraferma; a giorni tocca a Blessing…», ricorda Lucky.
COSI’ E’, COSI’ NON E’…
Così è. «La sento prima che parta, perché anche lei si imbarca: tempo due giorni, massimo tre, arriverà qui, potrò riabbracciarla, mi dico». Così non è. «Una telefonata strana: brutto segno quando rispondi e non parlano o pronunciano frasi lente, disarticolate, incomprensibili. La prima parola che, purtroppo, comprendo è “Problemi!”. Comincio a sudare freddo, l’amico che mi ha telefonato non ha il coraggio di dirmi quanto accaduto, mi passa il ragazzo alla guida dell’imbarcazione. “Problemi…”. E sono due. Urlo, voglio sapere cosa è successo. “Il gommone sul quale viaggiavamo in tanti è affondato, con questo anche molti di quanti erano a bordo, non sapevano nuotare: una carneficina, i morti non si contavano, anche Blessing, tua moglie, ci è scomparsa davanti agli occhi…».
Lucky tira fuori l’ultimo briciolo di coraggio. «E’ un giorno che non dimenticherò finché campo. Ho nella mente il sorriso di Blessing, il suo senso materno di dire le cose. Anche se giovanissima, il fatto che fosse già mamma di John, il piccolo che continua a dare senso alla mia vita, era donna, saggia; quando ci siamo salutati è stata lei a incoraggiarmi, a dirmi che era meglio fossi stato io il primo a partire. “Questione di giorni, poi ci riabbracceremo per non separarci più!”, mi disse».