Israele propone, Hamas risponde, la guerra sulla Striscia prosegue
«Restituiteci gli ostaggi e per due mesi ci fermeremo», dice Netanyahu. «Nemmeno per sogno, dovete porre fine all’assedio della Palestina», ribatte l’organizzazione politica palestinese islamista. E intanto il conflitto prosegue, con qualcuno che manda armi dicendo che l’unico modo per difendere la pace sia quello di sparare
«Tregua? No, grazie…». Hamas, l’organizzazione politica palestinese islamista, su questo fronte è irremovibile. E poco importa se le truppe di Israele lo hanno di fatto accerchiato. La colpa non è tutta da una parte, sia chiaro, anche Netanyahu ha le sue colpe. A rimetterci sono i civili, che questo conflitto non lo hanno invocato. E nemmeno i soldati, quelli equipaggiati (Israele) e quelli sprovvisti di armi (Palestina).
In questi giorni è un andirivieni di informazioni. E’ da un anno che va avanti questo bracci di ferro. Nemmeno noi italiani, assaliti spesso attacchi di presunzione abbiamo le idee chiare sul conflitto sulla striscia di Gaza. Cerchiobottisti per indole, siamo per la pace, ma poi sul fronte mandiamo le armi. Sempre a difesa della pace, perché è da tempo che ci “supercazzolano” spiegandoci che la pace va difesa con le armi. Non capiamo, ma ci adeguiamo. Proprio come avrebbe detto uno dei personaggi cari a Renzo Arbore (Quelli della notte).
LE AGENZIE REGISTRANO…
Prosegue, insomma, quella che da più parti viene indicata – lo riportano l’Ansa, la più autorevole delle nostre agenzie giornalistiche – la “guerra delle parole”. Un modus operandi che nell’epoca in cui viviamo assume la stessa importanza di quella guerra che si combatte sul terreno.
Gli italiani, come gli altri Paesi che “vivono” questa guerra nel salotto, seduti sul divano con in mano il telecomando, non vivono la guerra, ma in compenso ne sentono parlare. Netanyahu ha dichiarato questo, Hamas risponde per le rime. Così, alla fine del ragionamento, chi segue un notiziario ha in mente il quadro del “si è detto”, piuttosto che il “si è fatto”.
In Europa si dà ampio spazio alle notizie diffuse dall’organizzazione Hamas, dal suo Ministero della Sanità e da altre organizzazioni, piuttosto che notizie provenienti da Gerusalemme. Sono mesi che Gaza viene presa di mira e nessuno si permette di spiegare ad Israele, quanto sarebbe giusto fare. E, in mezzo ci mettiamo, tanto per dirne una, anzi, due, Onu e Stati Uniti.
Notizia dell’ultima ora. Hamas, cioè l’organizzazione politica palestinese, respinge la proposta israeliana sul «cessate il fuoco». Due mesi di tregua, in cambio degli ostaggi. Risposta: «No, grazie». Lo avrebbe riferito un alto funzionario egiziano all’Associated press.
…I LEADER RESPINGONO
Secondo questo portavoce, Hamas avrebbe rifiutato: gli ostaggi, stando a voci insistenti, non saranno liberati fino a quando Israele non si ritirerà dalla striscia di Gaza. L’esercito israeliano, intanto, avrebbe accerchiato la principale città nel settore meridionale della striscia di Gaza, Khan Yunis, e rafforzato la propria presenza al suo interno.
«Abbiamo vissuto uno dei giorni più pesanti dall’inizio del conflitto, ma non per questo Israele smetterà di combattere fino alla vittoria totale», ha dichiarato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. «Sono cosciente che la vita delle famiglie degli eroici soldati caduti – ha proseguito – cambierà per sempre: provo dolore per queste perdite e abbraccio i parenti dei nostri militari».
Hamas, dunque, ha ribadito il suo no. Forse, Israele ha tirato un sospiro di sollievo. La sensazione è che proprio Israele abbia voluto compiere un gesto di buona volontà, nella sostanza senza fare però fare un passo indietro, ponendo Hamas dalla parte del torto totale. Questa la situazione a oggi, domani è un altro giorno? Vedremo come andrà. Proviamo un pronostico. Nessuno retrocederà di un solo metro, finché guerra non ci separi. E ci faccia deporre, una volta per tutta, le armi.