Antonio Conte, attore teatrale, dice la sua

«Per bene che vada se ne riparlerà in autunno». Tarantino, da quarant’anni risiede a Roma. Ha lavorato con Verdone e Abatantuono, con Brass e la Wertmuller. «Con Pistoia e Triestino stavamo registrando “sold out”, poi ero pronto per misurarmi con un inedito di Marco Cavallaro: purtroppo ci siamo fermati, nonostante avessimo avanzato la proposta di dimezzarci i compensi…». Da Mario Carotenuto, un maestro, in poi.

 

Antonio Conte, tarantino, da quarant’anni residente nella capitale. Adesso non solo ci abita, ma ci vive anche, costretto dalla pandemia, lui che di mestiere fa l’attore, abituato com’era ad andare per teatri, a viaggiare da una città all’altra. Proviamo a comprendere che vita è, oggi, quella di un attore professionista, che al cinema e in teatro ha lavorato con Verdone, Abatantuono, Panariello e Brignano, Neri Parenti, Tinto Brass e Lina Wertmuller, senza dimenticare Mario Carotenuto, per quarant’anni protagonista della commedia all’italiana, ma che sulle tavole del palcoscenico, dava il meglio.

«Costretto ai domiciliari, devo dire che ci sto bene, anche se come il resto dei miei colleghi e le maestranze che vivono di questo lavoro, non vedo l’ora di riprendere l’attività. Carotenuto? Fantastico, la sua severità sul palcoscenico andrebbe raccontata, una scuola incredibile…».TEATRO 03 - 1Dunque, Antonio Conte, ho provato a contare i titoli: sessanta rappresentazioni a teatro, e fra una pausa e l’altra, una cinquantina di titoli fra cinema e tv: che significa per un attore come te restare un anno a casa?

«Manca e tanto il palcoscenico. Un po’ come quando, anche quando finisce una tournée teatrale, alle sette, sette e mezzo di sera, l’adrenalina comincia a salire: poi fai mente locale e quella carica emotiva ti tocca smaltirla diversamente, sei ai “domiciliari” e non puoi farci niente. Non ci voleva, per me sarebbe stata una stagione importante: io e i colleghi abbiamo lasciato per strada circa sei mesi di lavoro. Dovevo riprendere “Il Rompiballe”, spettacolo pazzesco con Nicola Pistoia e Paolo Triestino, due attori irresistibili: ci attendevano le piazze più importanti, due mesi fra Milano e Roma, per intenderci, poi in giro per l’Italia; lo scorso agosto ci attendeva  il debutto con un testo di Marco Cavallaro, un inedito, “Amore, sono un po’ incinta”; poi quattro mesi dall’autunno in poi: è saltato tutto».

 

Teatro leggero, operetta, commedie e teatro serio. Come si fa a passare dal teatro brillante, penso a “Pallottole su Broadway”, a quello drammatico, per esempio il “Riccardo III”. Non mica sarai anche tu “uno, nessuno e centomila”?

«Potrei in qualche modo autocelebrami. Ciò detto, soffro la sindrome del comico. Avendo la fortuna di farne tanto di teatro comico o brillante che sia, agisco d’istinto: non temo nemmeno un po’ nel passare dal comico al drammatico, lo dice la storia – non mia, intendiamoci – ma quella dei grandi, da Totò a Sordi, da Gassman a Manfredi: quando il comico si misura con il teatro drammatico diventa imbattibile».TEATRO 02 - 1Mario Carotenuto, il tuo maestro. Quanto era severo e quanto divertente?

«Un mostro di bravura, tanto bravo quanto difficile da raccontare. Bisogna avere avuto la fortuna di lavorarci insieme, per conoscere quanto lavoro c’era dietro ad un’opera teatrale. Pratico, ruspante, non stava ad “intellettualizzare” le situazioni: sapeva che il tempo perso, lo pagavi in scena. Proietti diceva che Carotenuto aveva i tempi comici, ma anche il racconto: Gigi era uno di quelli che scoppiava a ridere anche se la barzelletta non era irresistibile, perché Mario aveva la mimica, arte rara, del raccontatore: non c’erano santi. A Carotenuto, attore e regista, dava fastidio una cosa sola: se sbagliavi in scena; non ammetteva repliche, si arrabbiava, perché significava essersi distratti e, al tempo stesso, non avere avuto rispetto del lavoro».

 

Cinema e tv danno popolarità, ma il teatro è sempre il teatro: una volta avevi questa convinzione. Oggi?

«Sono dello stesso avviso. Quello che ti regala il teatro non può dartelo il cinema, né la tv: certo, questi possono darti popolarità, danaro, immortalità, ma nel teatro ogni sera è diversa dall’altra, un salto senza rete ed è un fascino unico, un’emozione che non si può spiegare…». 

 

Il rapporto con i colleghi. Vi sentite, vi vedete, interagite attraverso il web. Cosa vi dite e cosa cercate di non dirvi? 

«C’è poco da raccontarsi: non è tanto quando ripartiremo, quanto l’aver perso dai due ai tre anni di programmazione; nonostante il ministro abbia detto che a metà giugno riapriranno i teatri: il nostro lavoro, con tutto il rispetto per i commercianti, non è fatto di saracinesche e vetrine, riapri e la gente osserva, entra; è fatto, invece, di programmazione. Dovessero dirci “Da domani potete tornare in teatro”, rispondiamo semplicemente “Con cosa?”. La politica deve comprendere che il teatro non è fatto solo di attori: ci sono registi, aiuto regia, le maestranze, dagli scenografi ai macchinisti, dai facchini ai trasportatori, e poi gestori dei teatri, amministratori, autori, musicisti: un botto di gente e dietro ognuno di questi c’è una famiglia…».TEATRO 04 - 1Sostituisciti per qualche istante a un politico, prova a suggerire una soluzione.

«Innanzitutto la distribuzione dei soldi a pioggia, a fondo perduto: non è giusto; esistono teatri, enti di produzione che hanno preso più soldi di quanti ne avrebbero guadagnati esercitando la loro attività. Il teatro è un luogo sicuro, la gente che va a teatro è censibile, in tempo di pandemia siede con la mascherina, a distanza di una sedia dall’altro spettatore; avevamo anche avanzato la proposta di dimezzarci la paga, arrivare a fare due rappresentazioni nella stessa giornata riempiendo per due volte teatri capienti, che secondo il decreto ministeriale potevano disporre solo metà dei posti a sedere».

 

A proposito della pandemia: ottimista, pessimista, possibilista?

«Pessimista. Dovesse andare bene, riprenderemo a lavorare in autunno. Purtroppo molte compagnie non ce l’hanno fatta, altre non ce la faranno, perché il colpo ricevuto dal teatro è stato di quelli mortali».