Via da una “non vita”

Muzi, senegalese, ventiquattrenne, in Italia da quattro anni

«Vorrei fare il meccanico a tempo pieno. Ora faccio un po’ da carrozziere e un po’ da elettrauto. Nel mio Paese niente lavoro, a malincuore ho lasciato mamma, fratello e sorella. Le torture in Libia, in cambio di soldi per la libertà. E se non arrivava il riscatto, affondavano una lama tagliente in una spalla…»

«Dovessi scegliere un lavoro, non avrei dubbi: voglio fare il meccanico: lo facevo nel mio Paese, con buoni risultati, non vedo perché non potrei farlo anche qui». Muzi, ventiquattro anni, senegalese, mamma, sorella e fratello lasciati a casa, prova a togliersi dalla pelle una delle tante storie che abbiamo raccontato in queste pagine di vita vissuta. «Ero alla disperazione completa, senza lavoro, rappresentavo una bocca in più da sfamare, con piccole attività saltuarie: io, mamma, sorella e fratello facevamo quello che potevamo fare, diciamo che era un “non vita” ed è da lì che sono scappato da qualcosa che mi faceva somigliare a una pianta che vegeta: sta lì, cresce se le danno l’acqua, appassisce un giorno dopo l’altro se hanno deciso che non è più utile, non abbellisce più, non ha più ragione d’esistere…».

Ricorda la fuga dal suo Paese. C’è povertà. «Ci fosse stato lavoro a sufficienza – riprende Muzi – non avrei avuto difficoltà a restare: i primi tempi che qui, a Taranto, vedevano un viso nuovo, un nero che non passa inosservato, se non altro per il colore della sua pelle, dovevo spiegare che la mia fuga era stata una scelta obbligata: gli italiani, me lo insegnano, quando cento anni fa sono partiti per l’America, hanno lasciato a malincuore l’Italia; lasciare il proprio Paese per tentare una nuova avventura, una vita che non sai come si evolverà, non piace a nessuno: gli italiani come i senegalesi, ma aggiungo anche i maliani, i nigeriani, gli ivoriani, se non fossero stati costretti dalla fame ad andare via, non avrebbero mai lasciato i propri affetti per cercare fortuna altrove…».

Immagine-per-servizio-meccanicaADDIO, MAMMA…

«Sono partito dal mio Senegal, dove ho lasciato mamma, vedova, un fratello e una sorella. Il mio viaggio, in teoria, non sarebbe così lungo se sulla strada non avessi incontrato imprevisti anche di una certa gravità. Pochi giorni per attraversare Mali, Burkina Faso e Niger, sei mesi per tornare un uomo libero. I guai cominciano in Libia, sei mesi da prigioniero: fermato, come miei connazionali, dal solito pretesto documenti non del tutto chiari: con questa motivazione mi hanno aperto le porte di una prigione, che tutto sembrava, fuorché una prigione: pane e acqua, come tanta altra, come me, fermata con i pretesti più curiosi; io e gli altri “fermati” dovevamo stare fermi e zitti, buoni in un angolo: ci era consentito telefonare a casa per chiedere quei soldi necessari che mi permettessero di essere rilasciati: insomma, documenti insufficienti, ma se avessi mostrato qualcosa come duemila dinari, quelle “carte” di punto e in bianco sarebbero state perfette…».

Mentre attende un posto da meccanico, Muzi. «Lavoro saltuariamente da un meccanico, un elettrauto e un carrozziere. Non che mi sia fatto un nome, ma comincio a muovermi con una certa disinvoltura: molte delle marche sulle quali mi sono allenato in Senegal qui non esistono da tempo, ma va bene anche così: non mica volevo diventare subito il meccanico di riferimento della Ferrari?

Foto Gazzetta.it

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FORZA FERRARI!

Dalle mie parti la Formula 1 è solo rosso-Ferrari, non esistono altre scuderie, ricordo alla vigilia di ogni Gran premio, mi organizzavo con gli amici: auto e calcio sono le mie due passioni, ma l’amore per le quattro ruote è insuperabile. Spero che quest’anno sia quello buono perché la squadra di Maranello torni ad essere la numero uno nel mondo».

Ci tiene, Muzi, a far sapere che nonostante il peggio sia passato, conserva ancora brutti ricordi nell’anima e sulla pelle. Scopre le spalle, non realizzi subito. Pensi che siano tatuaggi o segni impressi da una tribù. «Quando i miei aguzzini si stancano a riempirmi di botte, non erano ancora arrivati i soldi, passavano alla tortura: impugnavano un coltello e affondavano la lama, a volte anche passata sul fuoco per renderla rovente. Era il loro sistema per provocarti dolore fisico e mentale, metterti paura».

A casa ha lasciato mamma, un fratello e una sorella. «Papà l’ho perso da piccolo, avrò avuto tre mesi; sento spesso i miei familiari, anche solo per salutarci, chiedere come stanno e dire come sto io qui, in Italia: cerco un lavoro fisso, ma non mi lamento e non appena avrò imparato meglio l’italiano, mi darò da fare ancora di più».

Coppa d’Africa, zampata dei Leoni

Senegal vittoria contro l’Egitto nella competizione continentale

Non bastano i tempi regolamentari, né i supplementari. Decidono i rigori, l’ultimo è di Mané (che in gara ne aveva sbagliato uno), che ha la meglio su Salah, suo compagno di squadra nel Liverpool. Il presidente del Senegal, Macky Sall, ha subito dichiarato festa nazionale per celebrare lo storico risultato (sfiorato nel 2002 e nel 2019). In centomila festeggiano anche in Italia

Fonte Repubblica.it

Foto Repubblica.it

Che festa in Senegal, il Paese pieno di grandi talenti del calcio conquista per la prima volta la Coppa d’Africa battendo 4-2 l’Egitto ai rigori dopo una partita e tempi supplementari senza reti. Il pubblico appassionatosi alla competizione continentale ha dovuto aspettare due ore per avere il responso finale non senza grandi palpitazioni. Così dopo il penalty calciato da Sadio Mané, una delle perle del Liverpool, è scoppiata la gioia. Non solo, si diceva, nello stadio di Yaoundé (Camerun), bensì in tutto il Senegal e un po’ dappertutto, dove insomma la comunità senegalese è presente. I vincitori della Coppa d’Africa hanno festeggiato come hanno potuto, con strumenti e attrezzi per fare un chiasso assordante e liberare la gioia, e naturalmente canti e balli. In un paio di edizioni il Senegal ci era andato vicino, ma l’altra sera sul podio, meritatamente, ci è salita lei. Onore al grande Egitto di Salah.

Macky Sall, presidente del Senegal, ha subito dichiarato festa nazionale per celebrare lo storico risultato che ha consentito di portare la Coppa Dakar. Il presidente che avrebbe dovuto visitare le Comore alla fine di un viaggio che lo ha portato in Egitto ed Etiopia, ha cancellato l’ultima tappa per dare personalmente il benvenuto ai vincitori.

Fonte Eurosport

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FINALMENTE LA RIVINCITA!

Dopo le due sconfitte nelle finali del 2002 e del 2019, quindi i Leoni del Senegal hanno vinto la loro prima Coppa d’Africa. L’Egitto, che vanta sette titoli, stavolta ha dovuto piegarsi alla forza degli avversari. Alla fine ha avuto la meglio la nazionale guidata da Aliou Cissé, 4-2 grazie anche alle trasformazioni del “napoletano” Koilibaly e all’“inglese” Manè, che aveva sbagliato un rigore in apertura di partita. Ironia della sorte, Manè ha alzato la Coppa davanti al compagno di squadra del Liverpool, l’egiziiano Momo Salah, che avrebbe voluto trionfare anche con la sua Nazionale dopo aver conseguito numerosi titoli in Inghilterra con i Reds.

Il Senegal alla vigilia della Coppa era fra le squadre che godevano i favori dei pronostici. Una rosa completa, con fior di top player: il portiere del Chelsea Mendy, il difensore del Napoli, Koulibaly, il centrocampista del Paris Saint Germaine, Gueye, gli attaccanti Mané e Dieng. Una gara molto tattica, con il Senegal con più possesso palla e l’Egitto a puntare sulle ripartenze di Salah. A fine gara e supplementari, la soluzione dal dischetto: premiata la squadra che aveva più voglia di vincere.

Intanto, le agenzie di stampa informano un episodio di cronaca. A Torino, una volante della polizia è stata accerchiata, presa a calci e costretta ad allontanarsi da decine di (falsi) tifosi del Senegal. L’episodio potrebbe essere collegato a gruppi di malviventi che non vogliono la presenza delle forze dell’ordine nel quartiere Barriera di Milano. L’episodio verificatosi domenica sera a Torino riguarda, però, poche persone, che saranno sicuramente perseguite a termini di legge. E’ bene ricordare che Italia i senegalesi sono più di centodiecimila ed hanno festeggiato in altro modo.