Syad: “Ognuno è padrone del proprio futuro, ma deve costruirlo”

«Lavoro in pizzeria qui a Modugno. Sono riuscito a trovare lavoro grazie al fatto che ho imparato, anche se non molto bene la lingua italiana. Senza conoscere l’italiano è impossibile trovare lavoro».

Quando ho chiesto a Syad Nazim dove e come avesse imparato l’italiano è arrivata la prima sorpresa: «Io non posso andare a scuola il pomeriggio come fanno gli altri perché devo lavorare. Io sono libero la mattina e gli operatori di Costruiamo Insieme e la scuola di italiano nella struttura di Modugno hanno avuto la pazienza di insegnarmi la lingua». Syad, 25 anni, viene dal Pakistan, dalla città di Phalia nella regione del Punjab. Papà camionista e mamma casalinga, ha tre fratelli, due dei quali sono a Dubai dove lavorano. Il più piccolo, invece, è rimasto in Pakistan. Lui e i fratelli sono fuggiti dal Paese, spinti dai genitori, perché vittime di persecuzioni religiose ed è per questo che è restio a mostrare il suo volto: «metti una foto degli operatori che mi hanno accolto e ogni giorno i fanno sentire a casa». Il suo viaggio è stato lungo: «Iran, Turchia, Grecia. In Grecia sono stato cinque anni e facevo il benzinaio. Poi, a causa della crisi economica greca ho dovuto riprendere il viaggio: Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria per giungere in Italia a settembre 2015. Solo il viaggio fino alla Grecia mi è costato seimila euro».

La decisione che almeno i figli più grandi dovessero lasciare il Paese presa dalla famiglia è arrivata dopo che, a causa dell’ennesima aggressione, il papà di Syad è rimasto gravemente ferito. In Pakistan, Syad non ha mai lavorato. Ha frequentato la scuola per 12 anni. Quando gli chiedo qual è il sogno che vuole realizzare in Italia mi risponde serafico: «Vorrei trovare un lavoro che mi permetta di studiare e di prendere la patente. Sai, del Pakistan mi manca il fatto che a 12 anni guidavo la macchina e nessuno mi diceva niente. In Italia non è così, ma in Italia mi sento come a casa mia. Nei cinque anni trascorsi in Grecia avevo sempre paura. Qui, invece, mi sento più protetto e, nel mio piccolo, è come se avessi ritrovato una famiglia». Dopo questa affermazione, parte con un elenco di operatori dai quali si sente supportato e di ognuno specifica le qualità. Gli dico che li conosco tutti molto bene ma vorrei una sola definizione per tutti: «Ho iniziato a fidarmi di loro quando ho capito che erano loro a volerci incontrare, conoscerci. Per loro il lavoro non è darci un tetto e un piatto da mangiare. Quando sono arrivato avevo paura, mi isolavo. Loro mi hanno cercato, costruito un rapporto che adesso è indissolubile. Sono la mia famiglia italiana».

Parliamo dei problemi del suo Paese, del Pakistan, e del rapporto che mantiene con i genitori. Su questo argomento è sbrigativo: «I miei genitori non vogliono che torniamo in Pakistan. È troppo pericoloso. Credo che tutte le persone che sono in pericolo devono abbandonare quel Paese anche se il viaggio è pericoloso. Io rispetto molto quello che dice mio padre, nel mio Paese è così. Ma un giorno tornerò, per i miei genitori, per riabbracciarli».

Il suo pensiero sui trafficanti di uomini e secco: «Delinquenti! Fanno soldi su tragedie umane. Sono mercanti senza nessuna umanità!». Syad ha le idee chiare su quello che si aspetta dall’Italia: «L’Italia offre tante opportunità, ma dipende da te: ognuno è padrone del proprio futuro, ma se lo deve costruire!».