LAVORO

«Non vogliamo elemosine»

«Sudiamo nei campi, ma non rubiamo lavoro». Mosi e Sadiki, tratti della loro esperienza tarantina.

IMG-20171018-WA0016Manifattura, costruzioni, servizi, mercati, lavori domestici e nei campi. Sono alcuni fra i settori nei quali sono spesso impegnati extracomunitari in fuga da violenza e miseria. Come in ogni cosa, esistono approcci diversi con un Paese straniero e le regole di un vivere civile, decoroso per quanto talvolta possa essere complicato. Tanto per gli italiani, in questo caso, quanto per chi arriva dopo un lungo viaggio disperato e di speranza dall’Africa.

Su una cosa, Mosi, però, non transige e non la manda a dire. «Non mi piace stare davanti a supermercati e bar con il cappellino in mano a chiedere spiccioli alla gente che entra ed esce da quelle attività: i soldi, pochi o molti che siano, preferisco sudarmeli». Sudare, un verbo che spendono spesso nei loro ragionamenti i ragazzi ospitati nei Centri di accoglienza straordinaria.

Sadiki, due anni in Italia, come il suo amico non usa giri di parole. Fosse un calciatore si direbbe “entra a gamba tesa”, evidentemente sul tema del quale si parla ogni giorno a Taranto: neri e lavoro. «Siamo “quelli che arrivano e non vanno più via”“…rubano il lavoro, alla faccia di una città che vive momenti drammatici”. E i commenti, nei bar, per quelli che hanno più tempo da spendere davanti a una tazzina di caffè, sono anche più forti. Sadiki, conferma. «Sentito con le mie orecchie:«Rubano lavoro e perfino le donne: ne vedo di ragazzi, mano nella mano, con ragazze tarantine!».

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Detto dell’offesa nei confronti di un ragazzo che non sarebbe sciaguratamente considerato “degno” solo per il colore di pelle, e di una ragazza che ha tutto il diritto di tenere stretto per mano chiunque voglia, circoscriviamo le considerazioni al solo lavoro.

In un’altra rubrica del sito (“brevi”) riprendiamo percentuali che sfatano il mito del posto di lavoro “rubato”. Raccontato uno studio dell’Inps, non una società incaricata da quotidiani o periodici, radio o tv. Torniamo un attimo a Mosi. «Trovo umiliante elemosinare, ma rispetto scelta e coscienza e il pensiero di chi, invece, pensa diversamente: è necessario essere comunque tolleranti». Parla a ruota libera. Un italiano approssimativo, comunque comprensibile. Rappresenta l’idea con l’ausilio delle mani. Sorride. «L’ho imparato qui, i tarantini, maIMG-20171018-WA0019 gli italiani in genere, usano molto le mani per spiegarsi, come se disegnassero». Facciamo autocritica, vero: se ai tarantini, come agli “italiani in genere”, per dirla con lo stesso Mosi, fosse impedito l’uso delle mani per dare massa critica a un qualsiasi discorso, sarebbe una sofferenza indescrivibile. «Faccio raccolta nei campi, con me tanti altri fratelli neri, di varie nazionalità: la gente che racconta un’altra realtà sugli immigrati, vorrei che sentisse quello che dice chi ci dà lavoro: “i ragazzi nostri –raccontano – non vogliono lavorare, preferiscono starsene a casa, raccontare ai genitori che lontano da qui è meglio: quelli convinti partono e tornano; altri, che non la raccontano tutta, dicono lo stesso ma danno colpa agli altri e nel frattempo continuano a farsi mantenere dai genitori”; così dice chi mi ha dato lavoro, senza obbligarmi ad accettare orari certe volte discutibili: non mi preoccupo, però, più di tanto; potrei anche dire no, invece accetto e a fine giornata metto in tasca quel pugno di euro stabilito».

Anche Sadiki insiste sul cappellino fuori del supermercato. Aggiunge un risvolto. «Meglio nei campi che starmene fuori a un’attività commerciale; fateci caso, però, non sono solo neri a chiedere spiccioli: amici mi dicono che all’uscita di bar e supermercati stazionano stranieri dell’Est, italiani, anche tarantini, e questo mi dispiace, significa che sono in molti a non passarsela bene». Hanno ancora una manciata di secondi, Mosi e IMG-20171018-WA0014Sadiki. «Un po’ più di tolleranza da parte dei tarantini: c’è chi ha un profondo rispetto per noi, non ci sentiamo affatto discriminati, ma c’è sempre qualcuno che esagera…», s’interrompe Mosi. Sadiki prosegue. «Sono in pochi, sia chiaro: pensano che non parliamo bene l’italiano e, dunque, possono dirci dietro di tutto perché non lo capiamo; invece sorvoliamo, anche su considerazioni pesanti che facciamo finta di non aver compreso: e questo ci pesa più dell’umiliazione di chiedere l’elemosina».