Giovanni, milleduecento euro al mese, confessa la condizione
“Lavoratore povero”, ecco l’ultima categoria. Secondo l’Istat rientra nella categoria “occupati”, ma nell’Italia degli stipendi bloccati da venti anni lavorare non sempre significa fare una vita dignitosa. «Tante famiglie non reggono l’aumento del costo della vita», ha detto il presidente Sergio Mattarella
Ieri, giovedì, Uno maggio, Festa del Lavoro. Detta così, secondo quelli che scrivono bene, “Festa del lavoro” tout court, è un ossimoro. E’, cioè, una cosa e il contrario della stessa. In sintesi, la “festa del lavoro” (scritta a caratteri minuscoli, volutamente) è il lavoro che fa festa, non va a cercare più nessuno, come un tempo. Di lavoro ce n’è sempre di meno in giro. E quello che c’è è pagato male.
Non sappiamo nemmeno cosa le manifestazioni di Roma e Taranto, con il massimo rispetto per le idee messe in campo possano realmente fare nel segnalare un tema, il lavoro, che sta a cuore a tutti: quella tarantina ha uno spessore politico, quella romana è solo un avvicendamento di musica, la diretta Rai contiene qualsiasi tentativo di messaggio, criptico o palese che possa essere.

MATTARELLA: SALARI BASSI!
Il presidente della Repubblica, Segio Mattarella, ultimo Capo dello Stato a difesa della Costituzione, ha lanciato un monito sui salari bassi: come fa una famiglia monoreddito “a campare”, a sopravvivere ad una incessante ascesa dei prezzi sui beni primari. Qui si parla di carrello, di spesa alimentare, dunque di povertà, ma le prime pagine dei giornali scrivono di dazi su auto e tecnologia. Pazzesco. Ci vergogniamo anche un po’ a ricordarle certe cose, tante volte a qualcuno venisse in mente di considerare queste poche righe come qualunquismo o populismo: parole, sostanzialmente, da sbandierare al vento, come se volessimo fare scena. Invece, entriamo subito in partita, come si dice, in argomento.
L’altro giorno il Corriere di Torino, dorso del Corriere della sera, quotidiano magistralmente diretto da dieci anni precisi (dall’1 maggio del 2015) da Luciano Fontana, ha pubblicato un’intervista di Nicolò Fagone La Zita, a Giovanni, quarantotto anni, assunto a tempo indeterminato, milleduecento euro al mese. Praticamente “lavoratore povero”.

«LAVORO DALL’ETA’ DI 15 ANNI»
«Lavoro da quando ho quindici anni – racconta al giornalista del Corsera – la mia sfortuna è quella di essere un metalmeccanico, a Torino, nel 2025». Padre separato, contratto a tempo indeterminato, Giovanni rientra nella neocategoria “lavoratori poveri”. “Non cerca impiego”, scrive Fagone La Zita, perché Giovanni è assunto. Allo stesso tempo, pur volendo, “non fa gli straordinari perché mancano le commesse, la sua speranza è quella di finire il meno possibile in cassa integrazione”. Sarebbe un dramma nel dramma.
Secondo le statistiche Istat, Giovanni, come tanti altri suoi colleghi, rientra nella categoria degli “occupati”, anche se nell’Italia degli stipendi bloccati da venti anni lavorare non sempre significa fare una vita dignitosa, come invece previsto dalla Costituzione. «Tante famiglie – ha detto nei giorni scorsi Mattarella – non reggono l’aumento del costo della vita; i salari insufficienti sono una grande questione per l’Italia».

MILLEDUECENTO EURO AL MESE!
«Oggi – spiega Giovanni – guadagno circa milleduecento euro al mese, ma tra affitto, mutuo e mantenimento del bambino se ne vanno settecentocinquanta euro: di euro ne restano appena quattrocentocinquanta, per pagare le bollette, per fare la spesa e sostenere i costi quotidiani: arrivo a malapena a metà mese: non mi rivolgo agli amici per orgoglio; l’ultima volta ho chiesto aiuto a mio padre, ottantacinque anni; vive in Sicilia, quella stessa terra che ho lasciato affascinato da un futuro migliore».
In Sicilia, Giovanni ci tornerebbe pure, ma vuole stare accanto al figlio di undici anni e al quale non vuol far mancare nulla». Riflessione e chiusura circa l’intervista che può essere consultata interamente sul sito torino.corriere.it .«Gas, luce, beni alimentari, assicurazione, benzina: tutto è aumentato a ritmi insostenibili; non credo si tornerà indietro: mi sento abbandonato dalla politica, nessuno mi rappresenta davvero».