Andrea Occhinegro, portavoce dell’associazione ABFO

«Mio padre morto giovane, spinse me e la mia famiglia a impegnarci per i più bisognosi. Bello abbracciare i piccoli di una volta prossimi al matrimonio, qualcosa è cambiato in positivo nella loro vita. Mi ha fatto male la politica, qualcuno disse che avremmo voluto fare business trascurando gli indigenti»

Andrea Occhinegro, rappresentante ABFO, una delle associazioni di volontariato e assistenza presenti sul territorio. E’ lui il nostro graditissimo ospite dello spazio riservato sul nostro sito ad “Assistenza e Assistiti”. Con lui parliamo del suo impegno e dell’attività svolta in tutti questi anni in aiuto a gente in evidente stato di difficoltà.

Occhinegro, cosa l’ha indirizzata a fare associazionismo in modo così attivo?

«Ho compiuto questa scelta a causa di un evento luttuoso. Persi mio padre ancora giovane, tanto che in famiglia, insieme a mamma e sorelle, decidemmo di dar vita a un progetto benefico. Creammo dal nulla un’associazione che di fatto dalle sue origini si occupa di persone, famiglie, bambini, che vivono in condizioni economiche e sociali disagiate».

ABFO, acronimo che sta per Associazione benefica Fulvio Occhinegro. Quante cose ha già realizzato la sua associazione?

«Quando si parla di sociale c’è sempre tanto da fare, è un mondo infinito, a maggior ragione in una città nella quale c’è gente che soffre, ecco perché dico che il sociale non ha inizio né fine e c’è sempre da fare».Occhinegro 01Una cosa che ricorda con più orgoglio.

«Nel lontano dicembre 2012, dopo un tavolo tecnico in Prefettura al quale partecipò anche l’Amministrazione comunale di Taranto, riuscimmo a realizzare un Centro di solidarietà polivalente. In quell’occasione rispondemmo alle esigenze più importanti, quelle del pericolo-freddo: facemmo accoglienza in modo gratuito; ospitammo molte persone e il modo in cui ci spendemmo ci riempì di orgoglio. Quel Centro di solidarietà, poi, è andato avanti, esiste tuttora. Mi piace ricordare quel periodo in quanto a Taranto i senza fissa dimora dormivano per strada, non avevano altra possibilità di ripararsi dal freddo».

Cosa ci vorrebbe per una città come Taranto?

«Domanda impegnativa, l’accolgo volentieri, il problema principale di Taranto è che esistono divisioni: c’è sempre qualcuno che, invece di spendersi per il prossimo, ama criticare, esercizio sacrosanto, ma sicuramente più semplice da svolgere rispetto a un impegno giornaliero che assumono quanti fanno associazionismo: ma è più facile parlare piuttosto che fare, che si tratti di politici o si tratti di persone del sociale, del mondo della cultura. Credo sia proprio questo uno dei principali problemi di Taranto. E’ un atteggiamento che avverto un po’ ovunque, dallo sport alla cultura, al sociale appunto: la mia speranza è che prima o poi ci si possa sprovincializzare».Occhinegro 03Ci sentimmo tempo fa, fu attaccata. Qual è la reazione umana di una persona che si impegna nel sociale e viene, invece, indicata come elemento “inaffidabile”?

«Ricordo quel momento con amarezza, ma ritengo sia utile parlarne. In quell’attacco c’erano motivi di carattere politico. Fui accusato, insieme con la mia associazione, dopo cinque anni di ininterrotta attività nel sociale – svolta in modo del tutto gratuito insieme con la mia famiglia – di accompagnare all’uscita gente che non aveva risorse per mantenersi: ospitavamo, invece, cinquanta, sessanta persone a notte, compito molto impegnativo ma assunto con la massima generosità. Eppure a qualcuno era venuto in mente di indicarci come gente senza cuore, perché avevamo scelto di ospitare extracomunitari per fare business. Balla clamorosa, mai fatto, del resto bastava una telefonata in Prefettura per rendersi conto che non stavamo cacciando nessuno: ripeto, campagna elettorale. Un peccato, per discolparci da accuse inconsistenti dovevamo quasi schierarci con questo o quell’altro. Fu un brutto periodo, lo ricordo male, anche se poi ebbi modo di chiarire con l’interessato la polemica, tanto che in una successiva conferenza stampa lo stesso ritirò tuto quello che aveva detto».

Cosa vorrebbe si dicesse oggi della sua associazione?

«Il desiderio, sempre vivo, è che si continui a parlare della nostra associazione in termini benevoli, come un’attività nata per aiutare persone indigenti e continua a fare questo. Questo è il mio principale obiettivo. Ora che a distanza di quasi quindici anni incontriamo ragazzi felici e prossimi al matrimonio, e che avevamo aiutato da piccoli, ci riempie il cuore di gioia».

Un episodio, una battuta, riconoscenza.

«La riconoscenza ci interessa relativamente, facciamo assistenza senza aspettarci automaticamente sentimenti di gratitudine: capita, invece, di vedere gente che comincia ad essere autosufficiente e ci chiede di sospendere l’aiuto per fare del bene a chi in quel momento ha più bisogno».