Erika Blanc, fra cinema e teatro, dopo “Quartet”
«Ai giovani che fanno cinema e tv consiglio le tavole del palcoscenico. E’ la base di questo mestiere. Aspiravo a un ruolo nella commedia di Harwood, ho studiato, ce l’ho fatta». Squarzina, Strehler, Lionello. «Vi racconto la “k” ballerina del mio cognome…»
Teatro Orfeo di Taranto, in scena la commedia “Quartet” in programma all’interno del cartellone dell’associazione culturale “Angela Casavola”. Altro tassello, esclusivo appannaggio della cooperativa “Costruiamo Insieme” che ha affiancato in veste di sponsor la rassegna teatrale che si avvale della direzione artistica di Renato Forte.
In scena, fra i protagonisti della commedia scritta da Ronald Harwood, l’attrice Erika Blanc. Nota al grande pubblico, è stata protagonista di sceneggiati per la tv e film, non ultime le prove cinematografiche con Ozpetek, Avati, Castellitto e Gassman. Una seconda giovinezza, posto che la prima sia conclusa. Ci perseguita un dubbio, tanto che l’attrice ci scherza sopra. «Come li porto i miei 33 anni, bene?», dice mentre viene microfonata da Paolo D’Andria che cura regia, riprese e montaggio.
Teatro, signora. Ci dica fuori dai denti cos’è il teatro per lei?
«Parlo sapendo di non offendere nessuno, poi cosa possono farmi quanti si sentono colpiti dal mio modesto punto di vista, togliermi il saluto? Dunque, quanti fanno gli attori senza prendere in considerazione le tavole del palcoscenico, penso commettano un grave errore. Dunque, il teatro. S’è capito il mio punto di vista: è la massima espressione per l’attore, la base del mestiere per chi ha scelto di fare l’attore, cinema o tv che sia? Prima, passasse dal teatro».Una delle sequenze più ricercate e cliccate su youtube, il ruolo della nonna, giovane nello spirito, e saggia, con battute al fulmicotone ne “La bellezza del somaro” di Sergio Castellitto.
«La scena del “tutti a tavola” e qualcuno, uno dei ragazzi, tira fuori un serpente facendolo passare per un normale animale domestico: una delle scene più esilaranti. Guardo il rettile, rifletto e dico appena: “Poverino, tutta la vita a strisciare, senza le zampette…”».
La sua carriera, prima del teatro.
«Ho cominciato con i fotoromanzi, poi il cinema, che agli inizi non mi ha dato grandi soddisfazioni. Sì, si impara, ma il teatro è un’altra cosa. Verso i trentatré anni mi sono posta una domanda: “Quanto durerò ancora come “bella ragazza”?”. Così ho lavorato con Strehler e Squarzina, poi con Alberto Lionello, compagno di una vita».
Blank o Blanc?
«Sono partita con la “k”, doppia se consideriamo il nome, Erika; facevo il cinema e a qualcuno venne in mente di estendere una “k” civettuola anche al cognome, perché faceva tanto straniera: “Blank”. Ma chi se ne frega, mi sono detta, poi una volta salita su un palco, insieme ai miei registi, ho pensato che Blanc facesse più, come dire, intellettuale: e sia Blanc…».
Sembra davvero sbucata da uno di quei suoi ultimi film per quell’aria un po’ svanita, che le dà sempre un fascino irresistibile. “Quartet”, bel personaggio.
«Speravo in questo ruolo, ambivo a questa commedia: si ride, ci si emoziona; credo faccia per le mie corde, non crede? Amo il teatro, i suoi rituali, un po’ meno i suoi chilometri: oggi fra una rappresentazione e l’altra ce ne scappano anche cinquecento e, magari, alla mia veneranda età pesano; sa, ho ventitré anni io, non si direbbe, vero? ».Impagabile, signora Blanc. Sembra già entrata nel personaggio che interpreterà in scena. Non aveva detto trentatré anni?
«Trentatré, avevo detto così? Mah, Totò avrebbe detto “sto nel decennio”: ventitré, trentatré, che importa, a volte me ne sento anche meno; forse ne ho davvero tanti meno…».
Le è sfuggito qualcosa nella sua carriera?
«Non credo, ho avuto tutto da questo mestiere. Penso di aver compiuto una carriera incredibile. Ho sempre trovato un ruolo che facesse per me. Penso a Castellitto, ma anche a Proietti e Gassman; qualche volta, intorno, registro picchi di Alzheimer: l’importante è che questi sintomi non li abbia io…».
Non le fa difetto la battuta. Studia ancora, “Quartet”, per esempio, è impegnativo.
«Studio sempre, è importante per crescere e io, fuori dall’ironia, voglio ancora crescere; in “Quartet” ho fatto una sostituzione, alla prima prova ho notato che mi adoravano tutti: lavorare con Ponzoni, con la stessa Paola, una grandissima, è molto bello; e Pambieri? Meriterebbe di fare più cinema, grande attore…».
Lei, non scherza.
«Io, me la cavo. Ecco, io speriamo che me la cavo…».