Nessuno tocchi Armine, scrive Flavia Piccinni

La giornalista-scrittrice tarantina, da anni residente a Lucca, difende la modella armena scelta da Gucci. «Non sarebbe abbastanza bella», offendono professionisti e “deb” della comunicazione. «Altri si sarebbero focalizzati sulle origini della mannequin: la discriminazione non conosce stile se non quello del sopruso, è un mondo che ambisce alla diversità», prosegue nella sua tesi difensiva l’autrice di romanzi e saggi di grande successo.

«Abbiamo passato gli ultimi vent’anni a criticare le modelle: troppo magre, troppo belle, troppo differenti dalle donne qualsiasi; sono arrivate le oversize, e anche qui non sono mancate le critiche: troppo grasse, legittimano l’obesità, troppo poco somiglianti alle donne qualsiasi», scrive Flavia Piccinni, giornalista e scrittrice tarantina. Grande talento, di più, “Premio Campiello”, sezione giovani, una predestinata. I riconoscimenti, nonostante la sua giovane età, non si contano.  Tre romanzi (Quel Fiume è la notte, Lo Sbaglio, Adesso Tienimi) e un saggio sulla ‘ndrangheta (La malavita), Flavia parte da un romanzo che ambienta nella sua città dalla quale, giovanissima, si stacca per seguire la famiglia che si trasferisce a Lucca. Oggi scrive per The Huffington Post, sito americano fra i più seguiti al mondo e, ultimo dei suoi commenti, difende Armine, modella scelta da Gucci, da quanti considerano la ragazza di origini armene «non abbastanza bella».

«Adesso che la moda ha fatto della diversità la sua bandiera – modelle di etnie diverse, modelle con la vitiligine, modelle con handicap – abbiamo ancora da criticare», prosegue la giornalista-scrittrice. Questa volta l’intervento della Piccinni, si diceva, è in difesa («sulla pelle, letteralmente») dell’armena Armine Harutyunyan, scelta da Gucci come mannequin.

Incredibile, scorgere i messaggi, inoltrati alla vittima di questa assurda persecuzione. Giungono da ogni dove, contengono offese gravi, per quanto si possano comprendere frasi scritte in inglese o francese. La ragazza, ventitré anni, 37,3 mila follower su Instagram, è di colpo diventata oggetto di feroci attacchi. «La sua colpa?», attacca la scrittrice tarantina, «non essere abbastanza bella, secondo (i sicuramente bellissimi) disprezzatori professionisti».

«SE NON ODI, NON ESISTI!»

Naturalmente nella cultura dello hate sharing («odio la condivisione») dove se non odi non esisti, era abbastanza prevedibile la valanga di violenti insulti. «Lasciando da parte l’analisi estetica, perché, d’accordo con André Gide, “La bellezza non sta nella cosa guardata, ma nello sguardo” – scrive Flavia Piccinni – la riflessione è certamente più complessa e ancora una volta riporta la centralità del discorso sul desiderio maschile: non sei desiderabile per un uomo? Allora non lo sei affatto. Ci sbatte davanti anche l’imperante misoginia, e le dinamiche tossiche che continuano a essere alla base dei rapporti maschio/femmina ove tutto è filtrato attraverso l’apparenza».

Scorrendo gli insulti gratuiti e crudeli, c’è da rabbrividire. «“Ma è una donna?” – provoca la scrittrice riprendendo una delle espressioni più abusate nella variegata filippica di cattiverie – si sono chiesti alcuni utenti (anonimi) mettendo in dubbio la femminilità della modella, altri invece si sono focalizzati sulla sua origine armena, perché il razzismo (soprattutto quando si focalizza sulle minoranze etniche) non conosce stile se non quello del sopruso».

TORNA IN MENTE SCHOPENHAUER

La lezione di Alessandro Michele – che ha ampiamente appreso dalla scuola di Barthes come la moda sia un manifesto quotidiano potentissimo – si è rivelata ancora una volta una prova contemporanea di guerra pacifica: Armine Harutyunyan ha saputo catalizzare l’attenzione mondiale come non accadeva da tempo, e ci ha riportato alla miseria stereotipata che meritiamo. Questo un altro segmento della riflessione della scrittrice in difesa della modella armena. «Torna in mente Schopenhauer – riprende – che era solito ripetere come la bellezza fosse “una promessa di felicità”. Effettivamente ti fa illudere, la bellezza, che ogni cosa sia possibile. Ti fa credere che avrai un lavoro più facilmente (e i dati di un recente studio americano confermano che effettivamente sia così), e che raggiungerai una vita perfetta. Ma in tempi in cui la popolarità dura quanto un post su Instagram, forse già solo l’ipotesi di un successo è abbastanza».

Cosa sia la bellezza sarebbe un mistero. Poi ci fermiamo, riflettiamo e ci diciamo che non è proprio così. Può essere una cosa e il contrario della stessa. Chi scrive, professionista o “deb” che sia, ha in mente una sua idea di bellezza. Che poi non è così sua, in quanto inculcata da generazioni e media, come scrive la stessa Piccinni, che hanno eletto a bellezza canoni sempre diversi, a seconda delle stagioni. La bellezza, questo il tema della difesa, condivisa in toto, da parte di Flavia. «La bellezza viene imprigionata – in questo mondo che ambisce alla diversità – sempre di più in parametri rigidi, ristretti e sovente irraggiungibili. Parametri che sono prigioni per chi guarda, e sicurezze per chi critica illudendosi che nel sorriso placido e addomesticato di una bellezza aderente ai canoni non ci sia nulla di sovversivo». E come non darle ragione.