Isabel, boliviana, trentasei anni, racconta un addio
«Raccontai bugie a mio figlio, mentre il papà partiva per l’Italia. Prima un lavoretto da meccanico, oggi da trasportatore. Era il momento di raggiungerlo in Italia. Da Taranto la prima cartolina con il Canale navigabile e il castello. Mio figlio, la scuola e il calcio, finalmente Carlos adesso sogna»
«E’ stata una decisione sofferta, i primi tempi è stata dura sopportare la separazione da Juan, mio marito, la mia sofferenza è stata doppia: intanto perché amo mio marito, poi perché mio figlio, Carlos, aveva dovuto salutare il papà all’età di sei anni senza sapere quando lo avrebbe riabbracciato: anche questo, per me, è stato motivo di grande dolore».
Isabel, trentasei anni, immigrata boliviana, ma ormai integrata nel nostro tessuto sociale, si racconta. Tira finalmente un sospiro di sollievo. Pensa ai giorni del distacco. Il solo pensarlo, ancora oggi, le provoca sofferenza e due occhioni neri lucidi. «Ho ancora in questi occhi l’immagine di mio figlio mentre saluta il papà, le piccole bugie che io e mio marito in quel momento gli stavamo raccontando per evitare che il ragazzo rimpiombasse nella tristezza: gli avevamo detto che papà partiva, trovava lavoro e casa subito e poi ci avrebbe chiamati: non si scherza con i figli che si separano dai genitori; avrei potuto venire anche io in Italia, lasciando il piccolo con mia madre, ma non ci ho pensato un solo attimo, il distacco sarebbe stato più doloroso per tutti: o ti raggiungo con lui, dissi un giorno al telefono a mio marito, oppure resto qui, in Bolivia, nel mio piccolo villaggio insieme con Carlos».
Anche Juan, che nel frattempo era riuscito a farsi stimare, prima con piccoli lavoretti da meccanico, tempo dopo trovò un lavoro migliore e più sicuro. «Oggi fa il trasportatore, un’attività di grande responsabilità: anche se con il Covid è diventato tutto più complicato, il suo lavoro riesce a farlo lo stesso; certo, ha dovuto rinunciare a una parte del suo guadagno, perché compie meno viaggi rispetto al periodo precedente i due lockdown, ma si vive, anche se fra mille sacrifici: l’importante è essere tornati insieme».
IMPARIAMO DAI PICCOLI…
Carlos pare si sia ambientato. «Prima le elementari, poi la scuola media – dice Isabel – anche lui avverte il disagio provocato dal virus, ma è lo stesso per i suoi compagni di classe con i quali ha stabilito un ottimo rapporto; i ragazzi non si complicano la vita come invece fanno i grandi, mio figlio ha imparato bene l’italiano – io stento ancora un po’ – ma poi c’è una cosa che mette d’accordo tutti i ragazzi di questa età: il pallone; mio figlio è un appassionato di calcio, dei campionati sudamericani e degli assi del calcio che giocano in Italia e nel resto dei campionati europei; poi, oggi, con internet ci vuole poco a seguire le partite di calcio della Primera Division; tifa per il Bolivar, mentre in Italia tiene per la Juventus; conosce le formazioni a memoria e con i compagni di classe gioca al fantacalcio».
Isabel racconta il suo inserimento nel mondo del lavoro. «Con mio marito ne abbiamo parlato – dice – lui non poteva sopportare tutto il peso della famiglia: lo stipendio è discreto, facciamo economia, ma anche io dovevo impegnarmi, fare lavori per portare a casa qualche soldo; oggi posso ritenermi soddisfatta, faccio la domestica a casa di tre diverse famiglie, due imparentate fra loro, una terza trovata di recente e non lontana da casa mia: credo sia stato il mio carattere, quella che qui chiamano “serietà”, a convincere la gente a darmi piena fiducia; dopo tanta sofferenza comincio a riappropriarmi della felicità».
C’è ancora un rammarico nel cuore di Isabel. «Sono sincera, sono due le cose che mi intristiscono e non saprei quale mettere al primo posto: il distacco dalle nostre famiglie, di sicuro, anche se i nostri “cari” li sentiamo quando possiamo al telefono oppure con videochiamate; non c’è un gran segnale nella zona del villaggio nel quale abitano i miei genitori e quelli di Juan, ma alla fine riusciamo a parlare, dire delle cose: Carlos è un piccolo mago del computer, allora si collega nel tardo pomeriggio approfittando del fuso orario (Italia cinque ore avanti rispetto alla Bolivia, ndc) e così ci vediamo, parliamo, ci salutiamo; Juan è spesso in viaggio, ma ogni tanto anche lui partecipa a queste lunghe chiacchierate: stiamo vedendo i nostri nipoti crescere e i nostri genitori invecchiare…».
…MA IL COVID CHE SCIAGURA!
L’altro dispiacere che prende il cuore di Isabel. «Questo maledetto virus – conferma – sta condizionando e addolorando la vita di ognuno di noi; noi prendiamo il massimo delle precauzioni, indossiamo la mascherina, ma non possiamo fare a meno di preoccuparci o soffrire quando sentiamo che la pandemia sta condizionando la vita degli esseri umani; due mesi fa, il papà di una signora per la quale faccio le pulizie di casa è venuto a mancare: è stato colpito dal virus; soffriva di crisi respiratorie, ma riusciva a curarsi, purtroppo per lui e tanta altra gente, come leggo dappertutto, i contagi sono stati fatali: ecco l’altra mie sofferenza. Se poi a questo aggiungiamo che anche il lavoro che fa mio marito è discontinuo rispetto a un po’ di mesi fa, ecco che il motivo di rammarico non è solo quello della distanza fra noi tre e i nostri familiari».
Un breve passo indietro. Guarda al passato Isabel e tira, al tempo stesso, un piccolo sospiro di sollievo pensando alla posizione raggiunta oggi. «Riusciamo a farci bastare il nostro, noi che sappiamo cosa siano i sacrifici e la lontananza: ci sono comunità boliviane sparse un po’ ovunque, il più verso il nord dell’Italia, ma oggi, io Juan e Carlos, ci troviamo bene qui a Taranto; se mi chiede la cosa che più mi emoziona di questa città, non ho difficoltà ad ammettere il Ponte girevole: la prima cartolina che ci ha spedito dall’Italia il mio Juan, raffigurava il Canale navigabile, dunque il Ponte e il Castello; penso sia il simbolo della città che noi amiamo quanto amiamo La Paz: quando in tv sentiamo il nome di una delle due città ci batte forte il cuore. E’ come se questo Ponte ci avesse uniti, stavolta per sempre!».