Fadi e Jinah, egiziani, delusi dall’Italia, pensano al ritorno a casa

«Faccio il pizzaiolo, in un localetto che ora mantengo con enormi sacrifici. Un socio italiano mi ha mollato in un mare di problemi e debiti. Volevo fare il salto di qualità, assicurare una vita decorosa a mia moglie e i miei due ragazzi, niente da fare…»

«Quasi quasi…». Brutta cosa questa premessa, sa di sconfitta e, in realtà, suona come tale. E’ una frase che nel nostro ragionamento senza rete ricorre spesso. Il protagonista di questa storia se ne sta nel suo localetto sulla Litoranea, un pugno di chilometri da Taranto.

«Macché Alessandria d’Egitto, come dite qua: al Cairo me ne torno!». Fadi, quarantadue anni, da una ventina in Italia, pizzaiolo a tempo pieno – per qualche tempo un’attività in società con un italiano che non si sa che fine abbia fatto – se questo tempo glielo permettesse, è risoluto, non fa giri di parole. Risolve l’imbarazzo di chi gli chiede qualcosa in più di una normale chiacchierata, con una battuta, forse la più famosa dalle nostre parti. La sua è una storia come quella di tanti commercianti, che nel periodo di contagio da Covid-19, hanno visto crollare vertiginosamente i propri affari, fino a sotto lo zero.

«Quando si chiudono le saracinesche senza sapere quando e se le aprirai, la tua storia si fa dramma: è un po’ che io e mia moglie Jinah ne parliamo, siamo ridotti ai minimi termini: non si lavora, nemmeno la riapertura con servizio a domicilio prima, con i tavolini sul marciapiedi ora, si fanno i numeri di una volta, quasi quasi torniamo a casa».

Hanno due ragazzi, Fadi e Jinah. Quelli che un tempo erano marmocchi, sono nati e cresciuti qua. «Eravamo fidanzati – spiega – pensavamo di farcela trasferendoci in Italia: allora non c’era diffidenza nei confronti di chi veniva dall’Africa, magari perché la situazione era sotto controllo, qui arrivava solo chi aveva davvero voglia di lavorare; ora c’è…casino: so che non è una parola bella nella vostra lingua, ma è uno dei primi sostantivi che ho imparato non appena arrivato in Italia; per voi non è mai confusione, è un casino, parola più appropriata non c’è perché adesso quella confusione che si faceva spazio nelle nostre menti, quelle mia e di mia moglie, è un vero casino!».

MA DAVVERO, FADI?

Davvero vuoi andartene, Fadi? «Aspetto ancora qualche mese, magari c’è una piccola ripresa del lavoro, ma non la vedo bene, passo un sacco di tempo con le mai in mano, cioè senza far niente, poi mi dico: quasi quasi facciamo le valigie e via…».

C’è più di qualche ragione nel suo rammarico, anzi per dirla alla sua maniera, altro che disappunto, Fadi è «incazzato» davvero. «Accidenti a me e quel giorno che ho deciso di fare un passo avanti, provare a migliorare il tenore di vita mio, mia moglie e dei miei due figli; dopo aver fatto il lavapiatti, l’aiuto cuoco e, infine, imparato il mestiere di pizzaiolo con un corso di formazione con la Confcommercio di qua, un po’ di anni fa, sono arrivato dove in qualche modo volevo arrivare: a fare il pizzaiolo; avevo un po’ più di tempo per la famiglia, più o meno mille euro al mese, più le mance che in un mese oscillavano fra i centocinquanta e i duecento euro, niente male: non facevamo una gran vita, ma con qualcosa che guadagnava Fadi facendo le pulizie mettevamo soldi da parte».

Poi la svolta, pare di capire. «Certo, incontro il titolare di un localetto, francamente in condizioni non incoraggianti: non aveva manodopera, allora ci siamo stretti la mano, abbiamo firmato un po’ di carte e diventati soci; è durato due anni, nonostante si lavorasse i soldi non bastavano mai, le bollette di acqua e luce, i rifornitori, li pagavamo sempre più in ritardo; una volta ci staccarono la luce, i soldi per pagare la bolletta, li aveva persi…così mi disse; io ci ho creduto poco a questa storia, ma alla fine quando la cosa stava per ripetersi, lui, il socio, è sparito di punto in bianco, lasciandomi nei guai: ogni mattina davanti al locale, i rifornitori che chiedevano il conto».

Fadi ispirava comunque fiducia. «Non c’era altra strada – ammette – dovevano credermi, altrimenti che cosa avrebbero potuto farmi, picchiarmi? Alla fine, ci siamo messi sotto, io e mia moglie abbiamo raddoppiato gli sforzi, pagato poco per volta i rifornitori, quelli che ci portavano farina, acqua minerale, birra, e abbiamo ripreso a respirare: evidentemente abbiamo una cattiva stella, perché si è abbattuto il Covid e abbiamo dovuto chiudere: è lì che abbiamo maturato l’idea del “quasi quasi”…».

MANGIAVAMO CON 300 EURO…

Soldi per pagare le utenze e le società che vi avevano assistito, non ne avevate più. «Mi vergogno a dirlo – china il capo, il pizzaiolo egiziano – ma in casa abbiamo campato con trecento euro al mese, mangiato anche una sola volta al giorno: il “socio”, chi lo ha visto più, dileguato, aveva spiccato il volo, volatilizzato, appunto…».

E ora, si fa largo la sconfitta. «E’ triste ammetterlo – confessa – non vedo altre vie d’uscita, il governo ha speso parole d’elogio nei confronti delle piccole imprese, ma io che mi sono rivolto a un patronato, non ho avuto un solo euro: c’era sempre qualche problema».

Quasi quasi, dice Fadi. «Aspetto che finisca l’estate, dovesse andare avanti così, non c’è via d’uscita, ho pagato a caro prezzo la presunzione che dopo venti anni potevo fare appena qualcosa di meglio per la mia famiglia; nella sfortuna, mi ha detto un amico ragioniere, mi è anche andata bene: se solo il mio socio avesse fatto debiti su debiti, sparito lui a me sarebbe toccato pagare, con soldi o con una condanna per truffa…».

Viste le citazioni, gli indichiamo la storia del bicchiere mezzo pieno. «Conosco – conclude Fadi – ma non vedo sereno all’orizzonte, questa dovrebbe essere un’estate clamorosa, ma così non è, stando a quello che dicono i colleghi: la litoranea è solo una strada di passaggio; io e Jinah ci guardiamo spesso in faccia, facciamo a turno ad abbassare il capo, una volta è lei ad arrendersi, una volta io… così, ci diciamo, quasi quasi…».