Dagli Stati Uniti all’Italia, passando dal caso Floyd
George ha rianimato il dibattito sul razzismo. «Succede ovunque, trattati così negli Stati Uniti, ma anche nel resto del mondo», spiegano i nostri ragazzi che non smettono un attimo di seguire la vicenda del fratello afroamericano ucciso a Minneapolis. «Se vogliamo che i nostri figli crescano in un Paese all’altezza dei suoi grandi ideali, possiamo e dobbiamo essere migliori, tutti»
«Dobbiamo augurarci un ritorno alla normalità dopo la crisi sanitaria ed economica del Covid-19, ma dobbiamo ricordare che essere trattati in modo diverso a causa del colore della pelle e della razza è tragicamente, dolorosamente ed esasperatamente normale». Una delle tante frasi consegnate a social, blog, siti, organi di stampa. Che la pronunci un giovanotto della città di Minneapolis o un ex presidente degli stati Uniti che bene conosce le difficoltà che hanno ovunque, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa, perché no, in Italia, poco importa. George, quarantasei anni ha dovuto rimetterci la pelle perché i riflettori della cronaca tornassero prepotentemente su un problema che viviamo ogni giorno, in Italia. Non solo, anche a Taranto: immigrazione, richieste d’asilo, visto per sei mesi, rinnovabile per altri sei mesi ancora, dopo di che vieni rispedito al mittente. Come accaduto a due ragazzi tunisini, Samir e Rami, sentiti la scorsa settimana. Dopo dieci anni hanno rimesso insieme i soldi per pagarsi un altro viaggio in Italia, sono arrivati al porto di Taranto. E’ qui che vorrebbero restare, ma non sappiamo, alla fine, cosa spetterà loro.
«Trattati in modo diverso a causa del colore della pelle e della razza», dunque. A proposito di George, che poi è George Floyd. Per tutti, ormai, solo tragicamente George. La pensano allo stesso modo anche i nostri ragazzi, scioccati da quanto accaduto nei giorni scorsi Minneapolis.
MALTRATTAMENTI…
«Trattati così, in modo violento, negli Stati Uniti – ci spiegano ragazzi che non smettono un attimo di seguire la vicenda del fratello afroamericano ucciso a Minneapolis – sia che si tratti di del sistema sanitario o del sistema giudiziario o di fare jogging strada, o semplicemente di guardare gli uccelli in un parco; non dovrebbe essere normale nell’America di oggi; non può essere normale: se vogliamo che i nostri figli crescano in un Paese all’altezza dei suoi grandi ideali, possiamo e dobbiamo essere migliori, tutti». Parola di Barack Obama, il primo presidente coloured della storia di un grande e, spesso, controverso Paese.
Pochi sanno come sia andata la storia del povero George. Di certo non compiamo chissà quale scoop se proviamo a raccontarla noi, dopo aver smanettato su internet, youtube e altri social. Ma ci sono frasi dolorose, come un pugno improvviso allo stomaco, taglienti come la lama di un coltello. “Polizia? Venite presto, un tale ci ha rifilato una banconota falsa di venti dollari per comprarsi delle sigarette!”. A nulla servono altre dichiarazioni in qualche modo pettinate dei due commessi di Cup Food. In un secondo momento, strano a dirsi, quasi a scagionare il gesto violento e definitivo di Derek Chauvin, il poliziotto che ha soffocato l’uomo di quarantasei anni. «Era ubriaco, fuori controllo!», dicono i due commessi. O glielo fanno dire, chissà. Sta di fatto che George, per essere fuori controllo, non fa un solo gesto che possa far pensare di essere «fuori di testa».
Fermato sulla trentottesima strada da due pattuglie di agenti di polizia, Floyd era stato trovato nella sua auto, trascinato fuori e ammanettato. Senza che lui ponesse resistenza. Senza accennare la minima reazione. Dunque, che bisogno c’era di fare ricorso a una manovra così violenta per immobilizzarlo. Quanta violenza e quanto disprezzo c’era in quel gesto per la razza nera?
I filmati che testimoniano l’accaduto confermano. Nessuna resistenza da parte di George prima di cadere, essere ancora strattonato e immobilizzato a terra. In un video che ha raccolto immagini girati dalle telecamere e dagli smartphone dei passanti, grafici e telefonate d’emergenza, il popolare quotidiano New York Times ha ricostruito tutta la drammatica sequenza, dall’arresto alla morte del quarantaseienne.
…E DUREZZA
La scena, documentano le immagini, va avanti per minuti, nonostante George implori aiuto e gridi «Non riesco a respirare, mi state uccidendo!». Niente da fare, il poliziotto continua a premergli il ginocchio sul collo. E i passanti che assistono alla scena che dura ben nove minuti, si rivolgono all’agente, gli chiedono di smetterla e di controllargli il polso. Qualcuno urla, «Guarda, non si muove!». Un altro, ancora: «Gli esce sangue dal naso!». Alla fine il poliziotto si alza. Il corpo di Floyd senza vita viene caricato su una barella. Per lui non c’è più niente da fare.
Alla fine resta un problema di umanità, calpestata, e di limiti all’esercizio della forza da parte di chi agisce indisturbato, convinto che quella divisa gli consenta di essere anche brutale, fuori dalla norma. L’aggravante. E’ proprio la divisa indossata dall’uomo che ha soffocato Floyd. E anche del suo collega, che, mostra il video, resta in piedi, a guardare, senza intervenire per porre fine a quella inaudita, brutale violenza. L’agente Chauvin, già licenziato insieme agli altri tre colleghi che avevano preso parte al brusco e violento fermo di George, è stato arrestato.
Joe Biden, vicepresidente degli USA, ha risposto accusando Trump di aver incitato alla violenza contro i cittadini statunitensi dopo aver minacciato di schierare i militari a Minneapolis per sedare le violenze. «Non citerò il tweet del presidente – ha scritto su Twitter – non gli darò risalto, ma sta incitando violenza contro i cittadini americani in un momento di dolore per così tanti: sono furioso, e dovreste esserlo anche voi».