Profughi
“MI TUFFO NELLE MIE RIFLESSIONI E VOLO AL DI SOPRA DEL MONDO”
Marc Chagall – pittore e profugo.
In questi anni abbiamo raccolto e raccontato storie di miseria e disperazione, di guerre e distruzioni, di naufragi e persone salvate in mare. Anche di tante persone morte in mare fuggendo da qualcosa: guerra, fame, pregiudizio, persecuzione religione o politica. Non fa differenza.
Nessuno scappa, rischia la morte, abbandona i suoi affetti e la sua terra senza un motivo valido o almeno capace di supportare un viaggio fra una non-vita, la morte e una nuova vita auspicata, immaginata, sperata.
Negli ultimi tempi abbiamo parlato di talenti e di risorse sulle nostre pagine.
«Tenuti a dormire in attesa dei documenti» aveva affermato, non a torto, un ospite del CAS di Modugno che ho intervistato qualche settimana fa.
Ma quanti talenti, quante persone che hanno segnato la storia hanno vissuto una vita da profugo? Quanti sono stati vittime di persecuzioni e costretti a lasciare i propri Paesi, i propri cari, le proprie abitudini?
Il domenicale di oggi propone una piccola carrellata di profughi che hanno lasciato il segno.
«L’umorismo è il più potente meccanismo di difesa. Permette un risparmio di energia psichica e con una battuta blocchiamo l’irrompere di emozioni spiacevoli».
Sigmund Freud fu costretto a lasciare l’Austria, il suo Paese, per raggiungere Londra con la moglie e la figlia per ottenere lo status di rifugiato politico.
«Ti manderò un bacio con il vento e so che lo sentirai».
Pablo Neruda nel 1949 fu costretto a rifugiarsi in Argentina a causa delle persecuzioni autoritarie del Governo di Gabriel Gonzales Videla. Era un oppositore scomodo che avrebbe pagato con il carcere o con la vita il coraggio delle sue idee.
Condannata all’esilio dopo aver testimoniato di fronte al Comitato delle Nazioni Unite contro l’Apartheid, Miriam Makeba dichiarò: «Ci sono tre cose per le quali sono venuta al mondo e ci sono tre cose che avrò nel cuore fino al giorno della mia morte: la speranza, la determinazione e il canto».
Albert Einstein, fuggito dalla Germania nel 1933 a causa delle persecuzioni antisemite, non ha fatto più ritorno nel suo Paese e neanche rimise piede in Europa. Nel 1921 aveva vinto il Premio Nobel per la Fisica. Pose dimora negli Stati Uniti. Una delle sue affermazioni più celebri e profonde: «L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata, l’immaginazione racchiude il mondo».
Ci sarebbero tante altre persone da citare e ricordare per quanto, nonostante le sofferenze, hanno voluto restituire al mondo, a quel mondo di cui si sentivano parte. Il pezzo di mondo che li ha esclusi è una piccola parte rispetto al mondo che li ha inclusi riconoscendo i loro talenti, le loro intuizioni, il loro apporto alla crescita culturale e scientifica che spesso ha condizionato e cambiato il corso della storia.
Mi piace chiudere con una grande donna, Rigoberta Menchu, attivista per i diritti umani insignita del Premio Nobel per la Pace nel 1992. A causa del suo impegno in difesa dei diritti umani fu costretta a lasciare il suo Paese, il Guatemala, nel 1981. Ha scritto: «Il razzismo è l’espressione del cervello umano ridotta ai minimi termini».